"Sono riuscito, con molta cura e molti affanni, a recuperare una copia corretta della traduzione delle cinque Lettere portoghesi scritte a un nobile gentiluomo di stanza in Portogallo. Ho sentito tutti quelli che s'intendono di sentimenti lodarle o ricercarle con tanta sollecitudine, che ho creduto, dandole alle stampe, di far loro gran piacere. Non conosco il nome di colui al quale sono state scritte, né di colui che ne ha fatto la traduzione, ma mi è parso di capre che, rendendole note, non avrei recato loro un dispiacere. Difficilmente sarebbero state pubblicate senza errori di stampa, che le avrebbero sfigurate." (Claude Barbin, 1669.)
Fu non molto tempo fa che in una bancarella di libri usati trovai questo curioso, minuscolo quanto anonimo libretto nell'edizione Marsilio che vedete qui accanto. Non saprei dire perché mi rimase appiccicato alle dita così tenacemente da finire poi incastonato nella mia libreria. Forse il caso, forse una necessità improvvisa, forse qualcosa mi aveva inconsciamente colpito e ispirato... forse semplicemente il fatto che il libro era effettivamente anonimo, nel senso letterale che in copertina non era riportato il nome dell'autore.
Non avrei mai potuto immaginare che in quelle 30 pagine scarse, ampliate a 120 da una corposa pre(post)fazione, da numerose annotazioni e dal testo francese a fronte, si potesse trovare una così alta espressione di letteratura epistolare da far impallidire Goethe e tutti gli altri specialisti del genere.
Cinque lettere, solo cinque misere lettere, scritte da un'anonima religiosa del XVII secolo, firmatasi semplicemente Marianna, a colui che, senza grandi rimorsi, seppe sedurla e volle abbandonarla. Cinque lettere rimaste senza risposta, aggiungo, quasi qui fosse necessario precisarlo.
Ma perché questo strano interesse per delle lettere anonime? In primo luogo è lo stesso interesse che colse il pubblico a esse contemporaneo, quello della Francia di Luigi XIV, che accolse la traduzione dal portoghese di quel libricino in sedicesimo che aveva tutti gli ingredienti della storia d'amore che tutti stavano aspettando: il seduttore cinico, la giovinetta inesperta, l'amore proibito e le mura di un convento a far da sfondo alla vicenda. In secondo luogo l'interesse deriva dai tanti misteri, tuttora irrisolti, che sono celati tra le righe di quello che fu un caso editoriale tra i più controversi di sempre.
Il primo mistero riguarda la sua stessa esistenza: perché mai l'editore Claude Barbin, uno che aveva in scuderia gente come Molière, Perrault, La Fontaine e La Rochefoucauld, si prese la briga di dare alle stampe cinque lettere sgrammaticate di una perfetta sconosciuta? Perché poi non volle mai rivelare la fonte delle lettere? Chi le aveva scritte? In che modo erano finite nelle sue mani? E soprattutto, dove erano spariti gli originali in portoghese? Se fossimo abbastanza cinici, potremmo alzare la mano e addossare all'editore la responsabilità di aver architettato un'enorme, per quanto geniale, inganno. In fondo il meccanismo è lo stesso che nei secoli a venire avrebbe decretato il successo di quel certo tipo di cinema, prevalentemente horror, a cui oggi appiccichiamo l'etichetta "Found Footage" (il cui significato, come sappiamo, è però decisamente più ampio). Da questo punto di vista Claude Barbin potrebbe definirsi un precursore, così come, rimanendo nell'ambito cinematografico, potrebbe definirsi anche come il vero padre della Nunsploitation.
A conferma di tali sospetti, fu infatti il fervente dibattito sull'autenticità delle lettere che decretò l'enorme successo editoriale dell'opera, che sarebbe arrivata alla cinquantesima ristampa entro la fine del secolo. Com'era infatti possibile che una monaca di modesta erudizione fosse stata in grado di esprimere il suo dramma, come scrisse Gabriel Guéret, critico letterario dell'epoca, "con un pathos degno di Racine e di Corneille"?
Non c'è alcun dubbio che Claude Barbin fosse perfettamente consapevole che il successo commerciale di quell'operazione era strettamente legato al mistero della paternità delle lettere, al punto che uno dei maggiori indiziati di aver contribuito all'inganno, Gabriel-Joseph de Lavergne, conte di Guilleragues, negò fino alla morte il suo coinvolgimento.
A causa di una nota in calce a una ristampa del 1721, che goffamente attribuiva la traduzione a tale Cuilleraque, egli fu infatti ritenuto da molti il vero autore delle lettere, al punto che ancora oggi, nelle sue biografie, viene citato come tale. Egli in realtà fu autore di componimenti di dubbia qualità, tanto che la domanda più ovvia è come sarebbe mai riuscito a scrivere una prosa così ispirata e così lontana dai suoi standard. A chi invece si chiede come Guilleragues, se davvero fu il ghostwriter che si riteneva fosse, abbia potuto acconsentire a sottrarre il suo nome alla fama perpetua per una vile questione di denaro, beh, si può rispondere che, se pur nel lungo termine, v'è comunque riuscito.
Sarebbero stati necessari ancora molti anni prima che alla monaca portoghese fosse attributo un nome e un cognome. E le circostanze della scoperta, se vogliamo, furono inverosimili quanto lo erano state tutte le precedenti teorie. Fu il critico letterario Jean François Boissonade de Fontarabie a dichiarare nel 1810 di aver trovato, tra le pagine di una copia della prima edizione, le seguenti parole vergate in una calligrafia sconosciuta: "La monaca che ha scritto le lettere si chiamava Mariane Alcaforada, religiosa a Beja, tra l'Estremadura e l'Andalusia. Il cavaliere a cui furono scritte era il Conte di Chamilly, detto all'epoca Conte di Sant-Léger".
Il nome di Chamilly era in realtà già venuto alla luce centocinquant'anni prima a causa di voci secondo le quali, durante la campagna di Candia del 1669, il militare sarebbe stato visto gettare a mare, palesemente disperato, le lettere di una donna. Come quelle lettere siano in seguito potute riemergere dalle acque e approdare nell'ufficio di un editore, non è mai stato spiegato.
Una religiosa di nome Maria Ana Alcoforado (1640-1723), vissuta all'epoca dei fatti nel Convento della Concezione di Beja, fu comunque rintracciata: la giovinetta sarebbe entrata dodicenne nella comunità, avrebbe preso i voti nel 1659 e sarebbe divenuta badessa nel 1709. A conferma dell'identità dell'Autrice delle "lettres", ci sarebbe il particolare di una donna citata più volte nelle lettere, tale Dona Brites, che fu in effetti benefattrice del convento in quegli stessi anni. Ogni tassello sembra andare a posto, quindi, ma c'è un particolare geografico su cui alcuni negazionisti insistono molto. Mi spiego meglio: l'Autrice delle lettere fornisce pochissime informazioni sul luogo in cui è reclusa e, in particolare, in quella che si ritiene essere la quarta lettera Marianna dice: "Nei giorni scorsi Dona Brites insistette molto perché uscissi dalla mia camera, credendo di distrarmi mi condusse sul balcone da cui si vede Mertola". Mertola, ridente cittadina sulle rive del fiume Guadiana, dista 54 chilometri da Beja. Possibile che Marianna potesse vedere Mertola a tale distanza? In effetti sì, visto che tra le due città, secondo Wikipedia, c'è un dislivello di 156 metri e ciò, calcolatrice alla mano, sposterebbe l'orizzonte visibile a oltre 300 chilometri. Bisognerebbe purtroppo essere sul posto e verificare se l'orografia della regione lo consente, prima di dare una risposta certa.
Altro punto sul quale si insiste parecchio è un passo della quinta lettera, dove Marianna dice di se stessa "Ero giovane, ingenua". L'Autrice delle lettere aveva 26 anni al momento della sua passione proibita... e quale ventiseienne, si obietta, definirebbe se stessa giovane e ingenua? Probabilmente qualsiasi ventiseienne lo farebbe, dico io, se fosse stata reclusa in un convento di clausura sin dall'età di dodici anni.
Mi paiono, se permettete, obiezioni la cui solidità è pari a quella di una casa senza fondamenta. Ad oggi non è ancora stato stabilito con certezza chi fosse davvero l'autore o l'autrice delle "lettres". E a questo punto, è quasi certo che non sarà stabilito mai. La pista Guilleragues torna spesso in auge a causa di alcuni letterati che, lente di ingrandimento alla mano, avrebbero trovato delle impercettibili similitudini tra le lettere portoghesi e i suoi scialbi poemetti, ma, potrei dire "fortunatamente", sono piste che non portano da nessuna parte. Qualcuno di recente avrebbe addirittura attribuito la paternità delle lettere a Racine, per via di una sua ipotetica amicizia con Guilleragues, ma sono ipotesi che si sgonfiano con la stessa velocità con cui si gonfiano.
Da parte mia posso solo dirmi lieto che nelle più recenti edizioni le cinque lettere siano ancora anonime, anche nel rispetto di quell'ipotetica religiosa che, semmai sia davvero esistita, certamente non desiderava che le sue confessioni avessero una tale risonanza.
Fu non molto tempo fa che in una bancarella di libri usati trovai questo curioso, minuscolo quanto anonimo libretto nell'edizione Marsilio che vedete qui accanto. Non saprei dire perché mi rimase appiccicato alle dita così tenacemente da finire poi incastonato nella mia libreria. Forse il caso, forse una necessità improvvisa, forse qualcosa mi aveva inconsciamente colpito e ispirato... forse semplicemente il fatto che il libro era effettivamente anonimo, nel senso letterale che in copertina non era riportato il nome dell'autore.
Non avrei mai potuto immaginare che in quelle 30 pagine scarse, ampliate a 120 da una corposa pre(post)fazione, da numerose annotazioni e dal testo francese a fronte, si potesse trovare una così alta espressione di letteratura epistolare da far impallidire Goethe e tutti gli altri specialisti del genere.
Cinque lettere, solo cinque misere lettere, scritte da un'anonima religiosa del XVII secolo, firmatasi semplicemente Marianna, a colui che, senza grandi rimorsi, seppe sedurla e volle abbandonarla. Cinque lettere rimaste senza risposta, aggiungo, quasi qui fosse necessario precisarlo.
Ma perché questo strano interesse per delle lettere anonime? In primo luogo è lo stesso interesse che colse il pubblico a esse contemporaneo, quello della Francia di Luigi XIV, che accolse la traduzione dal portoghese di quel libricino in sedicesimo che aveva tutti gli ingredienti della storia d'amore che tutti stavano aspettando: il seduttore cinico, la giovinetta inesperta, l'amore proibito e le mura di un convento a far da sfondo alla vicenda. In secondo luogo l'interesse deriva dai tanti misteri, tuttora irrisolti, che sono celati tra le righe di quello che fu un caso editoriale tra i più controversi di sempre.
Scena dal film "Les Lettres portugaises" (Francia, 2014) di Bruno François-Boucher con Ségolène Point |
A conferma di tali sospetti, fu infatti il fervente dibattito sull'autenticità delle lettere che decretò l'enorme successo editoriale dell'opera, che sarebbe arrivata alla cinquantesima ristampa entro la fine del secolo. Com'era infatti possibile che una monaca di modesta erudizione fosse stata in grado di esprimere il suo dramma, come scrisse Gabriel Guéret, critico letterario dell'epoca, "con un pathos degno di Racine e di Corneille"?
Scena dal film "A Religiosa Portuguesa" (Francia, 2009) di Eugène Green con Leonor Baldaque |
A causa di una nota in calce a una ristampa del 1721, che goffamente attribuiva la traduzione a tale Cuilleraque, egli fu infatti ritenuto da molti il vero autore delle lettere, al punto che ancora oggi, nelle sue biografie, viene citato come tale. Egli in realtà fu autore di componimenti di dubbia qualità, tanto che la domanda più ovvia è come sarebbe mai riuscito a scrivere una prosa così ispirata e così lontana dai suoi standard. A chi invece si chiede come Guilleragues, se davvero fu il ghostwriter che si riteneva fosse, abbia potuto acconsentire a sottrarre il suo nome alla fama perpetua per una vile questione di denaro, beh, si può rispondere che, se pur nel lungo termine, v'è comunque riuscito.
Sarebbero stati necessari ancora molti anni prima che alla monaca portoghese fosse attributo un nome e un cognome. E le circostanze della scoperta, se vogliamo, furono inverosimili quanto lo erano state tutte le precedenti teorie. Fu il critico letterario Jean François Boissonade de Fontarabie a dichiarare nel 1810 di aver trovato, tra le pagine di una copia della prima edizione, le seguenti parole vergate in una calligrafia sconosciuta: "La monaca che ha scritto le lettere si chiamava Mariane Alcaforada, religiosa a Beja, tra l'Estremadura e l'Andalusia. Il cavaliere a cui furono scritte era il Conte di Chamilly, detto all'epoca Conte di Sant-Léger".
Scena dal film "Die Liebesbriefe einer portugiesischen Nonne" (Germania Ovest, 1977) di Jesús Franco |
Una religiosa di nome Maria Ana Alcoforado (1640-1723), vissuta all'epoca dei fatti nel Convento della Concezione di Beja, fu comunque rintracciata: la giovinetta sarebbe entrata dodicenne nella comunità, avrebbe preso i voti nel 1659 e sarebbe divenuta badessa nel 1709. A conferma dell'identità dell'Autrice delle "lettres", ci sarebbe il particolare di una donna citata più volte nelle lettere, tale Dona Brites, che fu in effetti benefattrice del convento in quegli stessi anni. Ogni tassello sembra andare a posto, quindi, ma c'è un particolare geografico su cui alcuni negazionisti insistono molto. Mi spiego meglio: l'Autrice delle lettere fornisce pochissime informazioni sul luogo in cui è reclusa e, in particolare, in quella che si ritiene essere la quarta lettera Marianna dice: "Nei giorni scorsi Dona Brites insistette molto perché uscissi dalla mia camera, credendo di distrarmi mi condusse sul balcone da cui si vede Mertola". Mertola, ridente cittadina sulle rive del fiume Guadiana, dista 54 chilometri da Beja. Possibile che Marianna potesse vedere Mertola a tale distanza? In effetti sì, visto che tra le due città, secondo Wikipedia, c'è un dislivello di 156 metri e ciò, calcolatrice alla mano, sposterebbe l'orizzonte visibile a oltre 300 chilometri. Bisognerebbe purtroppo essere sul posto e verificare se l'orografia della regione lo consente, prima di dare una risposta certa.
Convento de Nossa Senhora da Conceição - Beja, Portugal |
Mi paiono, se permettete, obiezioni la cui solidità è pari a quella di una casa senza fondamenta. Ad oggi non è ancora stato stabilito con certezza chi fosse davvero l'autore o l'autrice delle "lettres". E a questo punto, è quasi certo che non sarà stabilito mai. La pista Guilleragues torna spesso in auge a causa di alcuni letterati che, lente di ingrandimento alla mano, avrebbero trovato delle impercettibili similitudini tra le lettere portoghesi e i suoi scialbi poemetti, ma, potrei dire "fortunatamente", sono piste che non portano da nessuna parte. Qualcuno di recente avrebbe addirittura attribuito la paternità delle lettere a Racine, per via di una sua ipotetica amicizia con Guilleragues, ma sono ipotesi che si sgonfiano con la stessa velocità con cui si gonfiano.
Da parte mia posso solo dirmi lieto che nelle più recenti edizioni le cinque lettere siano ancora anonime, anche nel rispetto di quell'ipotetica religiosa che, semmai sia davvero esistita, certamente non desiderava che le sue confessioni avessero una tale risonanza.
Avete assistito al primo episodio di... Obsploitation Library. |
Me ne parlò brevemente il professore di letteratura francese all'università. Disse che la moda dei romanzi epistolari settecenteschi (da "Les lettres persanes" di Montesquieu a "Les liaisons dangereuses" di Laclos, senza contare i numerosi romanzi meno noti) era stata lanciata da un libriccino apparentemente di poco conto eppure di grande successo con le presunte lettere di una monaca portoghese... Non approfondì però il discorso sulla veridicità o finzione letteraria di tali lettere.
RispondiEliminaBeh, però è significativo che un breve cenno di un insegnante ti sia rimasto in mente dopo tanto tempo. Evidentemente era destino che prima o poi questa storia ti sarebbe piovuta nuovamente addosso.
EliminaA me la storia era nota solo grazie alla mia conoscenza del film di Jess Franco. Della monaca portoghese extra-celluloide non sapevo nulla, quindi un benvenuto a questo post.
RispondiEliminaNon ho un ricordo chiarissimo di quel film, ma potrei quasi giurare che fosse molto più boccaccesco di quanto non fosse stato il libricino che lo avrebbe ispirato. Come potrebbe essere altrimenti, dopotutto? Quelle cinque lettere portoghesi non danno molti spunti su cui sbizzarrirsi. Il film francese del 2009, che ho visto di recente, parla anch'esso praticamente di tutt'altro...
EliminaSì, sono andato a leggere la trama del film del 2009, che non conosco, e ho visto che in effetti parla di tutt'altro...
EliminaRubrica che spacca il culo, complimenti!
RispondiEliminaNon conoscevo l'opera e ho trovato il post super-interessante.
E la mia teoria, in parte negazionista, è: l'editore, per le questioni che citi, ha creato un caso. Ma...
Ma basandosi su qualcosa che egli effettivamente ha saputo, ha rinvenuto, magari per caso. Fiutando bene, ha ricreato un mito.
Moz-
Se potessi, scommetterei cinque euro sil fatto che l'editore si sia inventato tutto. Certo, alcuni particolari sono difficilmente spiegabili (il nome di quella Dona Brites, per esempio, non può essere affatto un caso) ma mi viene da pensare che certe "coincidenze" siano state pilotate successivamente, nel corso della sfrenata ricerca di un nome da dare alla fantomatica religiosa.
EliminaProbabile, un mix di serendipità e culo forzato^^
EliminaMoz-
La mia preferenza una volta tanto va alla tesi possibilista, magari l'editore da gran furbone, avrà arricchito e rimaneggiato parte dei testi, ma una base di verità ci sarà comunque stata.
RispondiEliminaComplimenti per la rubrica!
In fondo tu (possibilista) e Moz (negazionista) state dicendo più o meno la stessa cosa. Ahaha
EliminaAnche a me piacerebbe pensare che sia tutto vero, comunque. Purtroppo c'è un particolare che in tutto questo mi disturba non poco, e cioè la posizione di quel convento, dal quale decisamente non si può guardare molto lontano (e nemmeno si poteva tre secoli fa, giurerei). Prova a cercarlo sullo Street View di Google e guardati in giro...
A questo punto devo vedermi il film di J.Franco!
RispondiEliminaLe opinioni di Nick e Moz sono diverse per sfumature, ma simili: sarà andata sicuramente così..
...e in tutto questo, colui che ce ne ha guadagnato il vecchio Jessie, a quanto pare. Senza occuparsi nemmeno più di tanto della questione, tra l'altro.
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