Regista, sceneggiatore, direttore artistico, animatore, vignettista,
insegnante. Anatoly Solin (1939-2014) aveva alle spalle una carriera
quarantennale eppure, nonostante ciò, di lui in rete non si trovano che poche
righe: nessuna biografia, nessuna intervista, niente di niente. Solo un breve
accenno ai suoi trascorsi artistici sulla wikipedia russa. Nemmeno oggi, a pochi
giorni dalla sua scomparsa, troviamo un granché. Solo un telegrafico comunicato
dell’agenzia Tass nel quale si mantiene il riserbo anche sulle cause della
morte.
Diciamo pure che tutto ciò non mi stupisce: Anatoly Solin
non è mai stato un personaggio facile, soprattutto in considerazione del fatto che
i suoi lavori più significativi sono stati realizzati in un’epoca in cui il suo
paese era ben attento a che nulla di ciò che accadeva oltre cortina trapelasse
in Occidente. Nemmeno opere di animazione quali "Le avventure del Barone
di Munchausen", "Due aceri", "Grazie, cicogna" e "Come
una volpe raggiunse la lepre" riuscirono mai ad avere una benché minima
visibilità. E ciò è altrettanto vero oggi, nonostante siano passati quasi
vent’anni dalla disgregazione di quella che una volta si chiamava Unione
Sovietica. Un gran peccato, davvero. Un peccato soprattutto perché Anatoly
Solin fu amato da almeno tre generazioni di bambini.
Ma ci fu in particolare un film che evidentemente non
piacque al regime comunista di Brežnev. L’anno era il 1975. Il mondo intero
osservava, non senza preoccupazione, le mosse di colui che fu il capo assoluto
di una nazione enorme, un paese di oltre trecento milioni di abitanti. Leonid
Il'ič Brežnev fu segretario generale del Partito (il famoso PCUS), presidente
del Soviet Supremo (l’equivalente del nostro capo di stato) e Maresciallo
dell’Unione Sovietica (il più alto grado militare). In oltre vent’anni di
potere fu il burattinaio di avvenimenti storici che vorremmo non fossero mai
accaduti, quali la Primavera di Praga del 1968 e l’invasione dell’Afganistan
del 1979. Fu lui a decidere, nel 1976, per l’installazione di missili a testata
nucleare SS20 in Europa orientale. Una decisione che, non vale nemmeno la pena
ricordarlo, diede poi il via ad un’escalation nucleare che portò negli anni
Ottanta il mondo sull’orlo dell’olocausto nucleare.
Sul versante economico
interno Brežnev fu meno attento: il paese era ormai largamente urbanizzato, l’economia
era in ginocchio, il prodotto interno lordo scendeva in picchiata e le
industrie faticavano a mantenere il ritmo di quelle dei rivali americani anche,
e soprattutto, a causa di un’arretratezza tecnologica imbarazzante.
Fu in
questo contesto che Anatoly Solin realizzò un cortometraggio di una decina di
minuti dal titolo «Человек и его птица» (The Man and his bird): un film di
animazione che racconta la storia del periodo sovietico vista con lo sguardo
delle persone normali, di quei cittadini costretti a lavorare al limite delle
proprie forze in ambienti e situazioni alienanti e al limite della
sopravvivenza. Una giungla urbana fatta di grattacieli impersonali e masse di persone in costante
movimento. Un mondo innaturale come probabilmente era innaturale la vita
di quei trecento milioni di abitanti: una moltitudine di persone a cui solo
i sogni non potevano essere rubati.
Ed è proprio attraverso i sogni che era vagamente possibile l’evasione dalla realtà quotidiana. Sogni naturalmente irraccontabili, inammissibili. Ma se a volte lo spirito non si piega e non si può ingabbiare, altre volte si può assuefare alla propria prigionia. È questa la storia narrata in questo breve film, dove ci vengono presentati un uomo e un uccello. Due esseri che si trovano nella condizione di dover fare una scelta tremendamente importante per la loro vita, una scelta che come vedremo sarà diametralmente opposta. Un messaggio, quello di Anatoly Sorin, a suo modo sovversivo. Un messaggio abbastanza sovversivo da fargli meritare l’oblio. Buona visione.
Ed è proprio attraverso i sogni che era vagamente possibile l’evasione dalla realtà quotidiana. Sogni naturalmente irraccontabili, inammissibili. Ma se a volte lo spirito non si piega e non si può ingabbiare, altre volte si può assuefare alla propria prigionia. È questa la storia narrata in questo breve film, dove ci vengono presentati un uomo e un uccello. Due esseri che si trovano nella condizione di dover fare una scelta tremendamente importante per la loro vita, una scelta che come vedremo sarà diametralmente opposta. Un messaggio, quello di Anatoly Sorin, a suo modo sovversivo. Un messaggio abbastanza sovversivo da fargli meritare l’oblio. Buona visione.
Sarà piaciuto poco al regime, ma questo corto ha uno stile decisamente sovietico.
RispondiEliminaLa cultura è palesemente sovietica. Puoi contestare il tuo mondo ma, immagino, rimane sempre quello il tuo mondo.
EliminaCon un finale alla Chagall...
RispondiEliminaMi sembra che oggi sia sovversivo anche da questo lato della ex cortina di ferro.
Soprattutto oggi in Italia, hai ragione....
EliminaLa musica è agghiacciante... mi ha messo addosso una grande ansia fin dall'inizio, non so nemmeno perché.
RispondiEliminaUn video alienante... credevo finissime molto male, invece...
Mi fa davvero piacere che tu abbia notato la musica di accompagnamento, che fu scritta dalla leggendaria compositrice russa Sofija Gubajdulina (si dice che la struttura delle sue opere rispettasse la sequenza di Fibonacci)
EliminaDifficile non notarla! Mi ha messo un nodo in gola dall'inizio alla fine...
EliminaSignifica che la nostra compositrice ha raggiunto il suo scopo....
EliminaCiao Tom, giungo qui a seguito del tuo commento sul blog a proposito della figura dell'impiegato. :-) Intanto il video mi è piaciuto molto, pur se ha un'atmosfera molto alla "grande fratello". Io ho trovato piuttosto angosciante la trasformazione dell'uccello. Il luogo di lavoro assomiglia proprio a un carcere, con gli impiegati come detenuti, ognuno con il numero sull'uniforme che equivale a quello del macchinario su cui lavorano. I colori acquarellati stemperano molto la cupezza della storia, e le linee sghembe e tremolanti del disegno destabilizzano le linee squadrate di edifici, ambienti e personaggi. Per quanto riguarda la reazione del regime sovietico, che dire? A ogni latitudine tutte le dittature sono piuttosto suscettibili!
RispondiEliminaIl luogo di lavoro raffigurato come un carcere non è poi molto diverso dalla nostra stessa realtà. Ci mancano solo i numeri di matricola... anzi no, abbiamo anche quelli sulle nostre buste paga.
EliminaVisti però sotto la prospettiva dell'era del comunismo sovietico ci sembra però talmente irreale che quasi non lo riconosciamo....