martedì 18 novembre 2014

Inside the Wall

“Soli, o a coppie, quelli che davvero ti amano camminano su e giù fuori dal muro. Qualcuno mano nella mano, qualcuno si riunisce in gruppi. I cuori sanguinanti e gli artisti resistono e, quando hanno dato tutto ciò che potevano, alcuni barcollano e cadono. Dopo tutto non è facile sbattere il tuo cuore contro uno stupido fottuto muro.”
Ora, nella mia stanza, ascolto queste parole […] dei Pink Floyd. E capisco che non sapevo ci fosse un muro intorno a me, ma ora che lo so spero tanto che qualcuno passeggi freneticamente su e giù là fuori, e che magari si prenda un tè nel frattempo che mi aspetta, e che non si lamenti se sono una capra che non sa rendersi conto dell’amore, e che passeggi ancora un po’ e che non si stanchi.
Ho impiegato un tempo che non mi spiego per leggere questo minuscolo ebook firmato da quella giovane e simpatica collega blogger che risponde al nome di Ornella Spagnulo. Un anno e mezzo durante il quale quella leggerissima manciata di byte non ha fatto altro che traslocare continuamente da un supporto digitale all’altro, per atterrare definitivamente in quell’e-reader che mi ero regalato la scorsa estate. Sono infine bastate solo poche righe perché mi rendessi conto di quanto era celato in quel piccolissimo spazio di memoria. Il racconto di una vita intera, dai primi anni della fanciullezza sino all’età della consapevolezza, passando da amori tribolati ad amicizie contrastate, descritti come tutti noi vorremmo essere capaci di descriverci pur non sapendolo fare.
No, non è banalmente il recupero delle pagine ingiallite del diario di una ex adolescente pentita, di quelle che cercando bene se ne trovano ormai a milioni in rete. Se così fosse, probabilmente non sentirei il bisogno di parlarne qui sul blog. The Wall è una matura introspezione compiuta a posteriori, un’analisi accurata di trent’anni di vita trascorsi in perenne oscillazione tra certezze e dubbi, gioie e dolori, audacie e paure. Non mancano naturalmente quei piccoli turbamenti e quei piccoli batticuori che trascinano il lettore, quasi in apnea, sino all’ultima riga.

Ma cos’è esattamente The Wall? È un concept book ispirato al celebre album dei Pink Floyd. Ve lo ricordate? Quello della band britannica fu uno dei più grandi successi negli anni di passaggio tra i Settanta e gli Ottanta. Raccontava la storia di un musicista che, devastato dalla crescente disumanizzazione di coloro che lo circondavano, decideva di costruirsi attorno un muro psicologico di protezione. Solo alla fine di un doloroso processo mentale sarebbe riuscito ad abbattere il muro e ad offrirsi finalmente al mondo senza difese. Il concept book di Ornella Spagnulo nasce e si sviluppa da quella stessa idea. Il muro come schermo protettivo. Il muro come linea di confine tra noi e gli altri. Ci sono vari modi per costruire mura: ti puoi chiudere in casa, e stai pur certo che si costruiranno da sé. Il muro lo puoi costruire appoggiandoti a un passato di delusioni. Ribellandoti al presente: rischi di invecchiare senza accorgertene.

Ogni capitolo di The Wall è un oggetto a sé stante e corrisponde, nella medesima sequenza pensata da Roger Waters, ad ogni singolo brano del disco. Così il punto di partenza non è altro che una sessione di psicanalisi, l’innesco del racconto, ciò che mette in discussione la stessa possibilità di esistenza del muro. “Non è questo ciò che ti aspettavi di vedere? Se vuoi scoprire cosa c'è dietro questi occhi freddi dovrai solo farti strada con le unghie attraverso la tua maschera”. È facile identificare se stessi nelle esperienze narrate da Ornella, ed è maledettamente consapevole il suo modo di relazionarsi con il lettore, al quale pone davanti agli occhi tutta la sua anima, spogliata dell’ingombrante presenza del corpo, senza voler celare nulla se non nomi e cognomi. Come tutti si trova a dover fare i conti con l’incomunicabilità, con il doversi rapportare con la diversità (reale o apparente) del mondo esterno rispetto al proprio. Anche quindici o vent’anni fa, seppure in maniera nettamente diversa da oggi, era difficile trovare qualcuno con i propri “stessi interessi” e con il quale “parlare di cose profonde”. Le amicizie, allora come oggi, tendevano ad essere superficiali e vivevano il tempo necessario ad una palpebra per battere sull’altra un paio di volte. I primi amori erano ancora, allora come oggi, aleatori: Ho dato il mio primo bacio a tredici anni a un ragazzo che subito dopo mi ha detto: «Questo bacio non significa niente». I secondi amori erano, allora come oggi, ancora più dolorosi, spesso e volentieri devastanti. Apriamo la porta, c’è la ragazza di lui, non capisco subito il suo nome perché sono troppo preoccupata di capire se le sto simpatica o se mi vede come una nemica. La capirei in ogni caso. […] Rivederlo è come ricucire pezzi della mia vita. E vedere che i rapporti cambiano non fa male. […] A conti fatti ripenso a quella frase sua, del ragazzo che a suo tempo in una lettera di carta scrisse: “Non so quale donna mi accompagnerà per il resto della vita, ma so che quella donna ti dovrà assomigliare. Pure molto.
L’amore è prevedibilmente un capitolo molto importante all’interno di The Wall. Tutto sommato era inevitabile che lo fosse: l’amore è un ideale che iniziamo a costruirci attorno sin da bambini, dal momento esatto in cui ci rendiamo conto che non esiste solo quello materno. Lo immaginiamo, lo idealizziamo, ne subiamo l’influsso anche se non lo conosciamo. Un influsso che è innanzitutto paura. Paura che non si possa realizzare, paura di non poter competere e infine paura della solitudine. Paura di dover infine dire “L’amore vero non l’ho incontrato” e di dover “tornare delusi alla tomba col vuoto nel cuore”.

In uno dei suoi brutti periodi l’eroe del concept-album omonimo rifletteva che “giorno dopo giorno, l'amore diventa grigio come la pelle di un uomo che muore”. Il punto quindi non è incontrare l’amore, bensì conservarlo puro. Ed è maledettamente difficile se ci si confronta con chi ha già dimostrato di esserci riuscito. “Notte dopo notte facciamo finta che vada tutto bene, ma io sono diventato più vecchio e tu sei diventata più fredda e niente è più così divertente.”
Amicizia, amore, sessualità. Consapevolezza del proprio corpo. Quel corpo che è una cosa sacra quanto l’anima e non è affatto opportuno darlo in prestito a chicchessia. Attraverso il corpo passano i pensieri e le emozioni, prima di avvicinarlo a un altro corpo ci vogliono molta accortezza e un ragionamento sensato. Anche i baci sono importanti, i baci sono il muro che si dischiude. E passa l’alito, il respiro, passa quello che sei.
The Wall non è perfetto. Per la sua stessa natura non potrebbe essere perfetto. Se dovesse capitare tra le mani di un purista dell’editing probabilmente verrebbe riscritto e rivoluzionato. Alcune parti verrebbero forse addirittura tagliate con l’accetta. Ma il bello di The Wall è proprio il suo essere imperfetto, perché è solo nell’imperfezione che noi lettori ci riconosciamo.

Uno dopo l’altro scivolano via i capitoli del libro e, attraverso di essi, riviviamo la commedia e la tragedia della nostra vita, i tempi della scuola e quelli del doposcuola, i nostri sogni e le nostre illusioni. Ma, per quanto simili, siamo tutti persone diverse ed è forse dannatamente egoista pensare di poter far proprie esperienze altrui che non sempre rivestono un carattere universale. Quello di Ornella, prendendo a prestito le sue stesse parole, è “un contenitore di frammenti che riconosce nel ricordo di un’adolescenza conflittuale la leva per costruire un’identità riflessiva e cosciente.” Possiamo prendere a prestito alcuni suggerimenti, se non addirittura alcune soluzioni, ma se anche noi abbiamo il nostro muro, anche piccolo, anche solo qualche mattone, dovremo alla fine cavarcela da soli. “Il muro è caduto, io sono viva”, dice ad un certo punto l’autrice. Ma è abbastanza rimanere vivi? Questa è la domanda che alla fine mi (vi) pongo, perché quel muro, semmai lo abbiamo (ri)conosciuto, semmai lo abbiamo affrontato e vinto, non è forse altro che una parte di noi, forse addirittura la più importante, quella a cui teniamo come a noi stessi. E allora? Forse la risposta sta in questa frase: “Io credevo che una volta distrutto il muro sarebbe scomparso tutto. Invece resta, nella cenere, come nella parte più antica di me.”

Se almeno un poco vi ha incuriosito quanto avete letto qui sopra, non mancate di ripassare qui sul blog tra pochi giorni. Potrete conoscere di persona Ornella Spagnulo la quale, gentilissima, si è prestata ad una piccola intervista. Ci svelerà interessanti retroscena sul suo concept book e, naturalmente, ci parlerà della versione “outside the wall” di se stessa, della sua attività di blogger e di scrittrice, dei suoi sogni, delle sue speranze e magari dei suoi progetti per il futuro. Nell’attesa che ciò avvenga vi invito ad esplorare in lungo e in largo il suo blog "Cronaca di una vita intima".



14 commenti:

  1. Io credo che non lo hai letto subito questo libro semplicemente perché non era ancora arrivato il momento giusto.
    Non solo non siamo noi a scegliere i libri( anzi capita il contrario) ma un libro che oggi apprezzeresti magari un anno fa lo avresti detestato.
    Semplicemente è arrivato il momento giusto. ;)

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    1. Probabilmente sì. C'è il momento per leggere e il momento per fare altre cose. E quando arriva il momento di leggere magari non ci si trova nello stato d'animo giusto per apprezzare. Che fosse tutta una questione di fortunate coincidenze?

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  2. Ah concordo con con i vostri commenti precedenti: ogni cosa ha il suo tempo che sia un libro che sia un'esperienza e forse, tornando al tema del post, certe volte è il forzare determinate esperienze che facilita la costruzione di un muro.

    Io non so se ho avuto un muro o meno, perché onestamente non ho mai sentito una profonda distanza fra me e l'esterno, fra me e gli altri; anche gli scontri, le delusioni, le sofferenze non le ho mai calcificate dentro piuttosto credo di averle masticate a dovere inghiottendole e poi espellendo quello che poteva solo essere superfluo, ma mi rendo conto che di muri ne ho visti tanti. Io sono una di quelle che da piccola era fuori dal muro e cercava di tendere la mano a chi stava dentro, ho cercato di aiutare e soprattutto ascoltare con il cuore e non con le sole orecchie le persone che urlavano nei propri silenzi, ma non è facile nemmeno stare fuori. Quando i muri sono troppo spessi spesso c'è anche la volontà di crogiolarvisi dentro, molti hanno muri di vetro costruiti apposta per controllare le reazioni di chi sta fuori, lo dico senza ipocrisia: non tutti sono sinceri dietro questi muri, ma ci sono persone che lo sono e credetemi: la cosa più difficile è cercare di fargli esternare questa consapevolezza che dentro di loro vi è già.
    Un cane che si more la coda, incontri ostici che portano a mancanza di fiducia e così via, ma questa è solo la mia opinione!

    Leggerò volentieri l'intervista ad Ornella (sperando che il commento non l'abbia infastidita!).

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    1. Ritengo sia una questione molto delicata da affrontare quella dei muri. Incomunicabilità, solitudine, emarginazione: ci sono passati in molti e temo sinceramente. Oggi il web sta contribuendo in maniera veramente più efficace al fenomeno e, sebbene molti pensano di essere circondati da amici, in realtà sono più soli che mai. Se una volta i muri erano di mattoni, oggi sono di vetro antiproiettile: impossibili da attraversare. E il peggio è che mi guardo in giro e mi accorgo che "fuori" c'è sempre meno gente. A te non pare?

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    2. Il problema è che il web accentua un'inclinazione sociale che c'è sempre stata - ovvero la velleità di certi legami - perché la estende enormemente.
      La comunicazione fittizia c'è anche nel legame più stretto e spesso è ben nascosta nell'amicizia più affiatata, per questo secondo me dobbiamo preoccuparci di più del nostro piccolo ecosistema di conoscenze e/o amicizie, se solo ci accorgessimo di quante volte scambiamo frasi di circostanza la cosa ci atterrirebbe!

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    3. È vero. L'inclinazione a guardare il proprio orticello c'è anche nei rapporti reali. D'altra parte è così ovunque in natura, non sono tra gli esseri umani. Diciamo che noi, rispetto agli animali siamo più bravi a sfruttare le armi più sottili della non comunicazione a nostro vantaggio. Il silenzio, per esempio, è una delle armi più potenti e i grandi comunicatori, i personaggi che controllano le masse, questo lo sanno bene.

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  3. Eh, argomento molto complesso. Penso che noi tutti abbiamo "muri", più o meno ne siamo consapevoli e talvolta, volontariamente, dichiariamo che non ne abbiamo.
    Credo che sia una forza la consapevolezza di averne e che ne avremo di nuovi, perché in fondo vivere davvero e cercare di liberarsi da vincoli e limiti, personali o esterni, che impediscono una vera crescita, consiste anche nell'affrontare i "muri".

    E siccome è "materia ardua" ^_^ prendo in prestito le parole di Haruki Murakami, lette poco tempo fa:

    "Per me i muri sono un simbolo di ciò che separa gli uomini dai sistemi valoriali. Limitano, schermano, isolano. In certi casi possono anche proteggerci. Però per proteggerci, dobbiamo escludere quelli che si trovano dall’altra parte del muro - questa è la logica dei muri. All’improvviso diventano un sistema rigido, che si oppone alla logica di altri sistemi, spesso con la forza. Il Muro di Berlino era un esempio lampante di questa dinamica. A volte mi sembra che abbattiamo un muro per erigerne un altro altrove. Può essere un muro fisico o invisibile, che condiziona il modo di pensare. Alcuni muri ci proibiscono di andare avanti, altri muri ci limitano. Finalmente un muro è caduto, il mondo è cambiato, tiriamo un respiro di sollievo. Eppure, improvvisamente da qualche parte è già sorto il prossimo muro. Un muro etnico, religioso, un muro dell’intolleranza, del fondamentalismo, un muro di avidità e paura. Non riusciamo a vivere senza un sistema fatto di muri? Per noi scrittori i muri sono vincoli da spezzare. Non facciamo che questo con le nostre storie - metaforicamente parlando -. Scavalchiamo i muri che separano il reale dall’irreale e la consapevolezza dalla mancata presa di coscienza. Scopriamo il mondo al di là del muro, torniamo di qua e raccontiamo dettagliatamente quanto abbiamo visto, senza pretendere di giudicare il significato del muro o dei suoi pro e contro. Non facciamo altro che rappresentare precisamente quello che appare dall’altra parte. In questo consiste il lavoro quotidiano di uno scrittore."

    Uno stralcio da Il mio Muro di Berlino di Haruki Murakami, Discorso di ringraziamento per il «Welt-Literaturpreis», 2014

    Forse ho virato in modo netto verso l'"universale", ma credo fermamente che in questo caso l'esperienza personale e intima sia da ricollocare in un contesto più grande.

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    1. Interessante questo pezzo di Murakami. Mi mancava. Non è assolutamente fuori luogo estendere il concetto nel senso più generale. Da’altra parte noi stessi siamo parte di un gruppo e il gruppo a cui apparteniamo è formato da singoli. Ci sono muri ovunque, basta guardarsi in giro. Li costruiamo per proteggerci, per proteggere le nostre cose, ma è soprattutto per proteggere i nostri privilegi che costruiamo muti. E a chi non riesce ad adattarsi a questa logica non resta che costruire altri muri tutt’attorno, nella speranza spesso vana di non essere notati, di non apparire diversi.

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  4. L'idea mi sembra interessante e originale. Mi hai incuriosito e ora vado a leggermi l'intervista.

    ("Se dovesse capitare tra le mani di un purista dell’editing probabilmente verrebbe riscritto e rivoluzionato." Ehm... cof cof... perché mi sento presa in causa? Così, coda di paglia, immagino!)

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  5. Seguo il suo blog da un paio d'anni ma non mi sono ancora decisa a leggerlo...

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    1. Mah, guarda, io ho tenuto il libro della Spagnulo sul reader per un anno e mezzo prima di decidermi a leggerlo. Siamo più o meno sullo stesso piano.

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