venerdì 13 settembre 2024

Fuori speciale: l'entomofagia come volontà e rappresentazione

“Fuori speciale” è una serie di articoli che vengono scritti di getto nel periodo di pubblicazione dello speciale “La grande abbuffata”. Pur non essendone parte integrante, ciò che viene qui trattato ruota intorno all’argomento principale senza spezzarne il filo logico. Si tratta, in estrema sintesi, di piccoli approfondimenti che non hanno trovato posto nella struttura principale. “Fuori speciale”, in uscita tutti i venerdì, non è una lettura necessaria alla comprensione degli articoli de “La grande abbuffata” (che usciranno invece il lunedì), è viceversa una lettura che può essere ignorata o rimandata, a vostro piacimento. 
***

Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico. (Matteo 3:4)
Perciò potrete mangiare i seguenti: ogni specie di cavalletta, ogni specie di locusta, ogni specie di acrìdi e ogni specie di grillo. (Levitico 11:22)
Alcuni preferiscono chiamarla distopia, che è un’etichetta ultimamente sin troppo abusata, ma io preferisco utilizzare le parole “narrativa (o cinema) di anticipazione” (*), che per certi versi è simile alla distopia ma porta con sé la capacità di prevedere con esattezza situazioni che avranno, in un futuro più o meno remoto, un preciso riscontro nella realtà.
La capacità di riconoscere il futuro cui stiamo andando incontro è spesso argomento di discussione, in quanto quella che chiamiamo distopia, intesa come rappresentazione di un futuro spiacevole e indesiderabile, è un concetto che la mente umana tende a respingere per autoproteggersi. E lo respinge anche quando quel futuro è ampiamente probabile e pure facilmente prevedibile se solo si prova ad analizzare con cura i segnali che ci sta lasciando nel presente. Tra questi segnali ce ne sono alcuni che sarebbe bene non sottovalutare e che si possono ricondurre ai perversi meccanismi tipici della cosiddetta “Finestra di Overton” (**), una strategia per configurare dei progressivi cambiamenti nell’opinione pubblica, per cui delle idee, inizialmente del tutto respinte, possono in seguito essere accettate e diventare norma sociale e giuridica. 

Nella pratica, come ci spiega il sociologo Joseph Overton, si tratta di un sottile sistema di comunicazione persuasiva che si realizza tramite piccole asserzioni che gradualmente vengono inserite in vari contesti, quali stampa e televisione. L’obiettivo è quello di far digerire alla gente delle idee inizialmente deprecabili fino a renderle accettabili e, nel lungo termine, legalizzabili. Il tutto si può compiere in sei fasi, da completare in sequenza: 1) idea inconcepibile; 2) idea radicale ma non impensabile; 3) idea accettabile; 4) idea sensata; 5) idea diffusa; 6) idea legalizzabile. Una volta individuato lo step di partenza, si cercherà di far progredire l’idea verso lo stadio successivo, infiltrandola nel tessuto sociale e insinuandola ripetutamente nella coscienza collettiva attraverso tecniche ormai ampiamente collaudate (***). Qualche esempio? Pensiamo al concetto di guerra, che fino a qualche anno fa era un’idea assolutamente intollerabile (tanto che c’è ancora un articolo della nostra Costituzione che afferma che l’Italia la ripudia): oggi siamo più o meno dalle parti della guerra come “sensata”, talmente sensata che già alcuni paesi iniziano a prospettare la necessità di dover preparare i civili alla guerra, cosa che rende l’ultima fase del nostro schema molto più vicina di quanto pensiamo.

Uno schema che procede parallelamente all’esempio appena citato riguarda l’alimentazione proteica a base di insetti, che fa leva sulla preoccupazione umana di riuscire a sopravvivere su un pianeta che avrebbe ormai già raggiunto e superato la fatidica soglia di 8 miliardi di persone. Se solo fino a qualche anno fa l’idea in Occidente era inconcepibile, di recente si è iniziato a sussurrare, prima timidamente e poi sempre meno, che l’entomofagia potrebbe essere la soluzione apparentemente più pratica ed economica (****), e quindi accettabile, al problema della nutrizione umana. Per arrivare al punto in cui siamo (*****) si è resa necessaria la stessa strategia: piccole asserzioni che gradualmente vengono inserite in vari contesti e poi amplificate da dibattiti che arrivano a coinvolgere, in ultima istanza, personaggi carismatici, quali attori e cantanti, che godano di una certa fiducia da parte della popolazione (******).
Uno dei canali in cui vengono gettati più spesso i semi del dibattito è il cinema, che storicamente ha sempre strizzato l’occhio alla politica. Già nel 2020, quando l’attenzione del mondo era altrove, il regista e sceneggiatore francese Just Philippot presentava “La nube” (“La Nuée”), un lungometraggio horror che sarebbe stato distribuito in tutto il mondo attraverso la piattaforma Netflix. 

In realtà definirlo horror è abbastanza fuori luogo, visto che sono completamenti assenti tutti gli stereotipi del genere “natura ribelle” nei quali animali di tutti i tipi, dagli uccelli alle formiche, dagli squali ai ragni giganti, si ribellano allo strapotere dell’uomo attraverso una qualche mutazione genetica di dichiarata origine atomica o chimica. Visto che i tempi in cui si guardava al nucleare e al progresso con sospetto sono ormai terminati, e con essi quel genere di film, “La Nuée” non poteva che trasformarsi in un dramma familiare dai toni giusto un pelino dark.
La Nuée” narra la storia di Virginie e dei suoi figli Laura, la solita adolescente sociopatica, e Gaston, il ragazzino concentrato solo sui suoi allenamenti di calcio. Il padre è mancato tempo prima, forse suicida, ma la figura maschile qui è sostituita dalla presenza di Karim, un viticoltore di origini nordafricane che, senza secondi fini, non si tira indietro quando c’è da fornire aiuto nei lavori più pesanti né quando c’è da prestare denaro a fondo perduto.
Siamo nella Francia rurale e Virginie decide di trasformare l’allevamento di capre del marito in un più sostenibile allevamento di locuste. Il motivo ce lo spiega lei stessa in un breve passaggio all’inizio del film, ed è appunto l’intento di anticipare oculatamente le imminenti quanto necessarie politiche riformiste in tema di alimentazione alle quali l’umanità non potrà sottrarsi ancora per molto.

Tutto è molto bello, all’inizio. Assistiamo a un bell’aperitivo a base di locuste alla brace intinte ora nello zenzero ora nella cannella e assistiamo alle varie fasi di produzione della farina proteica, da vendere poi a dettaglianti o a grossisti come mangime animale (si noti che il consumo della locusta nell’alimentazione umana sarebbe stato autorizzato dall’Unione Europea solo l’anno successivo all’uscita del film). 
Laura, nel frattempo, sta andando a scuola e qui viene continuamente insolentita da un gruppo di bulli senza un minimo di coscienza green che si prende gioco della bizzarra attività di famiglia. Gaston divide invece il suo affetto tra la capretta Huguette, superstite dell’allevamento paterno, e alcune sue nuove amiche locuste, ovvero il “nuovo che avanza” (cit.), che ospita nella sua cameretta dentro una teca di vetro. 

Naturalmente, a questo punto il regista decide che la premessa modernista può bastare e volta pagina. Ci rendiamo presto conto che gli affari non vanno così bene per Virginie; le locuste non riescono a riprodursi abbastanza velocemente e la produzione di farina ne soffre; inoltre, ciò che Virginie riesce a ricavare dalla vendita è una cifra decisamente inferiore al prezzo di mercato (*******), il che contribuisce ad aggravare un clima familiare già ampiamente compromesso.
Tutto ciò si tramuta ben presto in un’ossessione malata. Virginie è testarda e non considera accettabile il fallimento. Si ostina, con una forza di volontà inspiegabile, ad allevare le sue cavallette in un’atmosfera che via via si fa più opprimente (bravo il regista a sottolinearlo utilizzando come sottofondo lo zillare ininterrotto delle locuste). 

La maggior parte degli spettatori al cinema a questo punto sta solo aspettando che lo sciame del titolo faccia quello che ci si aspetta che faccia, ovvero fuggire dall’allevamento e abbattersi affamato sulla città e sui suoi ignari abitanti. Ma ciò non accade. Non c’è alcuna vittima, tranne la già citata capretta, un cane e un paio di vicini di casa, periti per aver ficcato il naso troppo da vicino negli affari dello sciame. C’è sì una fuga (anzi, due), ma lo sciame nell’affrancarsi dalla propria condizione sembra avere altri progetti. Lo sciame ha sete di sangue ma chiede e pretende, come un’antica divinità pagana, che l’umanità gli si offra spontaneamente. Non c’è vittoria senza sottomissione del vinto. Fuor di metafora, non si arriva all’ultima fase dello schema di Overton senza che la popolazione abbia accettato, giustificato e infine sostenuto il cambiamento. In questo stesso schema si può tentare di interpretare il film, che trova il suo climax nel momento in cui Virginie giunge a donare sé stessa in un sacrificio finale che equivale a dire “il cambiamento ha un costo altissimo, ma è preciso dovere dell’umanità pagarlo, per poter aspirare alla salvezza”. In estrema sintesi: la perdita come conseguimento.

Non siamo molto lontani, come logica, dal sacrificio per eccellenza della tradizione cristiana, ossia la morte di Cristo sulla croce. Cristo, con la sua morte, non ha placato l’ira di Dio provocata dai peccati dell’umanità, ma ha insegnato a trasformare la parte più disprezzata dell’esistenza, la sofferenza, in un sacrum facere, per garantirsi l’accesso, attraverso la resurrezione, a un livello superiore.
La scelta delle locuste, in questo contesto, è ancor più rivelatrice, in quanto non fa che confermare ancora una volta la volontà di portare l’umanità a compiere un sacrificio. Tutti si ricordano della presenza dell’insetto sterminatore nei testi biblici, da Esodo 10, dove le cavallette costituiscono l’ottava piaga mandata dal Signore al Faraone, ad Apocalisse, passando per Salmi, Proverbi, e i profeti minori (Gioele, Amos, Naum). Tuttavia, il simbolismo della locusta va ben oltre la distruzione e la punizione. I racconti biblici non solo ci mettono in guardia dalla disobbedienza, ma ci spingono anche a considerare il nostro rapporto con l'ambiente e la nostra responsabilità in merito. 

(*) Editrice Nord aveva battezzato proprio così una propria collana negli anni Settanta.
(**) Dal nome del suo ideatore, il sociologo e attivista statunitense Joseph Paul Overton (1960-2003).
(***) Si veda https://www.eurocomunicazione.com/2024/02/28/le-finestre-di-overton-e-la-manipolazione-delle-opinioni/
(****) In realtà si trascura il fatto che il 70% della superficie agricola dell’Unione Europea (coltivazioni, seminativi, prati per foraggio e pascoli) è oggi destinata a produrre mangime e foraggio per il bestiame invece che cibo per le persone (fonte: https://www.greenpeace.org/static/planet4-italy-stateless/2019/02/47c7205a-report_soldi_in_pasto.pdf).
(*****) Ad oggi, settembre 2024, l’Unione Europea ha dichiarato idonei al consumo umano (e quindi liberamente utilizzabili e commercializzabili), le larve essiccate di Tenebrio Molitor (il verme della farina), intere o sotto forma di polvere (Reg. 2021/882), la Locusta Migratoria, autorizzata sotto forma congelata, secca e di polvere (Reg.2021/1975), l’Acheta Domesticus (il grillo domestico) sotto forma congelata, secca, polverizzata (Reg. 2022/188) e in polvere parzialmente sgrassata (Reg. 2023/5) e l’Alphitobius Diaperinus (un tipo di coleottero) in forma congelata, secca, polvere e di pasta (Reg. 2023/58)
(******) Si veda come esempio https://www.ilpost.it/flashes/nicole-kidman-mangia-insetti/
(*******) Ad oggi il prezzo della farina di grillo oscilla attorno ai 70 euro al chilo, il che lo rende certamente un alimento alla portata di pochi. È però molto facile prevedere che, una volta diventata presenza fissa negli shop online e sugli scaffali dei nostri supermercati, il prezzo scenderà rapidamente. Da considerare inoltre che ad oggi solo l’azienda vietnamita Cricket One Co. Ltd commercializza in Europa tale prodotto e, di conseguenza, ci si aspetta che il prezzo scenda ulteriormente quando i primi concorrenti si faranno avanti.

2 commenti:

  1. A quanto ho sentito la farina di grilli (di grillo) sarebbe soprattutto un ingrediente da usare nella grande industria alimentare: biscotti o pizze o torte eccetera. Quindi se non volete mangiarla occhio alle etichette.
    Personalmente nutro un certo schifo all'idea della farina di grilli, ma so anche che esistono dei tabù che forse dovremmo superare: ad esempio leggevo di certi popoli che non mangiavano i molluschi e i crostacei, che a noi piacciono tanto, perché orrendi a vedersi.
    Personalmente però io passo.

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    1. Se i crostacei sparissero dalle tavole di tutto il mondo la mia esistenza continuerebbe uguale a prima. Faccio fatica anche a comprendere chi sostiene di apprezzarli: non sanno di niente e quando l'hai finito hai solo le mani sporche e la stessa fame di prima. Diverso il discorso dei molluschi ma solo se li trovo a tavola nelle occasioni tipo pranzi di Natale (certamente non me li compro apposta).
      Al momento, hai ragione, gli insetti si trovano solo tritati nei biscotti "proteici" con indicato chiaramente in confezione il contenuto (ho un collega che ne divora a pacchi ogni giorno suscitando lo sdegno di tutti), ma chi può dire dove li infileranno domani.

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