lunedì 30 settembre 2024

La Grande Abbuffata: scorpacciate da paura (Pt.2: cannibali)

Se lo zombi appartiene alla fantascienza e al folclore, il cannibale appartiene invece, oltre che al mito, alla storia e alla cronaca. Accanto a miti come quelli di Crono e di Medea, a fiabe su streghe antropofaghe (per esempio Hansel e Gretel), al racconto allegorico di Dante sul Conte Ugolino della Gherardesca, destinato a divorare in eterno la testa dell'arcivescovo Ruggieri, abbiamo infatti i celebri racconti del conquistatore spagnolo Cortés e dei suoi uomini sulle tradizioni cannibali che degli aztechi. Presso gli aztechi il sacrificio di esseri umani era solitamente seguito dal consumo del corpo delle vittime, spesso prigionieri di guerra o schiavi, o di alcune sue parti: i corpi venivano fatti ruzzolare giù dai gradini delle piramidi, trasportati nei templi, smembrati e suddivisi per essere divorati. Il rituale serviva a uno scopo ben preciso, doveva essere cruento e prevedeva lo spargimento di sangue, che veniva raccolto e bevuto. Naturalmente, il sacrificio di esseri umani, prima del sorgere delle religioni di stato, era praticato in gran parte del mondo, inclusi Egitto e Africa sub-sahariana, Medio Oriente, sudest asiatico, Cina, India e Europa; tuttavia, non ci sono evidenze di feste retributive in queste lande, dove i prigionieri venivano sì sacrificati ritualmente, ma raramente venivano mangiati, se non dagli iniziati ai riti misterici. 
Eli Sagan (che scrisse molto sugli stadi dell’evoluzione sociale partendo dalle teorie freudiane) riteneva che il cannibalismo derivasse da un conflitto fra amore e odio, e l'aggressione ora le fosse scatenata dalla rabbia e dalla frustrazione. Nel suo saggio del 1974 "Cannibalism: Human aggression and cultural form", uno studio psicostorico sul concetto di sublimazione, descrive il progressivo sviluppo dal cannibalismo (divoramento orale) alla caccia alle teste (raccolta anale) fino al sacrificio umano e poi alla schiavitù e ad altre forme di dominio “fallico” (classismo, razzismo, sessismo). Questo spiega perché qualche volta i prigionieri erano trattati con estrema gentilezza prima di essere torturati, uccisi e mangiati, un comportamento che è difficile ricondurre a impulsi umani innati esacerbati dalla guerra; non spiega però perché per gli aztechi i nemici uccisi fossero sacrifici, cioè rendessero contenti gli dèi, e quindi le guerre stesse fossero riti religiosi e le si prolungasse di proposito, in modo da avere più prigionieri da sacrificare possibile prima della resa del nemico. 

Secondo Marvin Harris (“Cannibali e re. Le origini delle culture”, 1977) il fatto che tutte le parti commestibili del corpo venissero consumate in modo strettamente paragonabile al consumo della carne animale, rendendo pertanto i sacerdoti l‘equivalente di macellai, prova che nell’America centrale dell’era post-glaciale l’esaurimento delle risorse animali e il deficit agricolo dopo secoli di produzione intensiva rese necessario trovare una nuova fonte di proteine e di grassi. L’uccisione e la redistribuzione copiosa della carne umana fornivano le proteine alla gente comune, garantendo il controllo politico ai ricchi e ai potenti (che intanto continuavano a nutrirsi di animali). Il che significa, per converso, che altrove (in Europa o in Cina, per esempio) fu la disponibilità di specie di animali domestici a favorire la proibizione del cannibalismo e, probabilmente, lo sviluppo di religioni incentrate sull’amore e sulla misericordia, e perfino l’attribuzione del cannibalismo ad aberrazioni come le streghe, i licantropi, i vampiri, gli ebrei e (più di recente) i comunisti. Sulla base di ritrovamenti di ossa con segni di denti umani o di utensili, di frantumazioni o altre manipolazioni, gli esperti ipotizzano che a un certo punto della storia umana il cannibalismo fosse comune in varie aree del mondo come pratica funebre, inclusa l’Europa. Non c’è alcuna certezza però circa la diffusione del fenomeno. Dato che neppure gli studiosi sono concordi, sarebbe errato giudicare le popolazioni antiche sulla base di episodi che, per quanto ne sappiamo, potrebbero rappresentare solo dei casi isolati. La verità storica è spesso inafferrabile, ma questo a volte non fa che alimentare l’interesse per un certo argomento, come in questo caso: e la riprova sono proprio tutti i film di cui andremo a parlare. 
A proposito di cannibalismo “funerario”, il primo che mi viene in mente è la pellicola del 2022 “Bones and All” di Luca Guadagnino, adattamento del romanzo ”Fino all'osso” di Camille DeAngelis: una storia d’amore tra cannibali che si amano, letteralmente, “fino all’osso”. Per lo spettatore medio il filone cannibalico è però forse sinonimo di gastronomico, cioè di un genere dove l’antropofagia è un espediente creativo per far sparirei cadaveri, in cui qualche “spostato” che per via di un trauma irrisolto ha preso gusto per la carne umana unisce l’utile al dilettevole. In effetti questo sottogenere, che potremmo definire “culinario”, esiste, e ne fanno parte titoli come gli hongkonghesi “The Eight Immortals Restaurant: The Untold Story” (“Bat sin fan dim: Yan yuk cha siu bau”, 1993) di Danny Lee e HermanYau, “Human Pork Chop” (“Pang see: Song jun tin leung”, 2001) di Benny Chi-Shun Chan (*) e “There’s a Secret in My Soup” (“Ren tou dou fu tang”, 2001) di Chi-Kin Yeung (*), in cui la carne umana finisce spesso per fare da ripieno a uno dei più famosi piatti della cucina cinese, i ravioli. 

Ne fanno parte di diritto anche film come "Lo strangolatore di Vienna" (1971) di Guido Zurli, “Il ristorante all’angolo” (“Blood diner”,1987) di Jackie Kong e i film dedicati al personaggio letterario di Sweeney Todd, il barbiere londinese che farcisce i pasticci di carne con i cadaveri dei suoi clienti (**). 
Tuttavia, il cannibalico è anche il vettore per tematiche più profonde. Per esempio, con Tobe Hooper, volutamente o meno, il cinema cannibalico americano entra a gamba tesa nella questione animalista. “Non aprite quella porta” (“The Texas Chain Saw Massacre”, 1974), con la storia dei cinque poveri malcapitati in balia di una famiglia di cannibali nella campagna texana, mostra corpi umani trattati come capi di bestiame, corpi appesi a ganci da macellaio da cui tagliare tranci di carne sanguinolenti. 
Un massacro suggerito più che mostrato che si fa invettiva animalista, tanto più feroce in quanto riguarda un paese che glorifica la mattanza di animali come fenomeno economico e culturale. 
Mentre il sogno americano mostra la corda, la sua mostruosa progenie non si arrende al capitalismo che avanza, rivendica il suo diritto a esistere sostituendo ciò che le è stato sottratto (il macello, il bestiame) con un suo surrogato (il fienile, il bestiame umano). C’è anche una caricatura del nucleo patriarcale americano, e presumibilmente anche del cristianesimo e delle sue derivazioni, con il mito salvifico del corpo e del sangue di Cristo. 
Questa topografia sudista, alla Joe Lansdale (distributori di benzina deserti, case diroccate, polvere rotolante e chilometri di sterrato nel nulla), è la stessa del Wes Craven di “Le colline hanno gli occhi” (“The Hills Have Eyes”, 1977), aliena e alienante quanto e più dei paesaggi esotici dei cannibalici di casa nostra. Verrà anzi inasprita da Craven, perché le colline dove i cannibali deformi dimorano sono state scelte per dei test nucleari. 
Anche qui il canovaccio inizia nel solito modo, con una famiglia di vacanzieri che decide di passare per il luogo sbagliato e viene decimata senza pietà. Stavolta però le vittime si ribellano e diventano carnefici nella rappresentazione, come spiegato dallo stesso regista, di una lotta tra classi scatenata dalle disuguaglianze in seno alla società. Se il franchise di “Non aprite quella porta” conta nove film tra sequel, prequel e remake, Craven diresse il sequel del suo film nel 1984 ed entrambi, originale e sequel, furono rifatti (rispettivamente da Alexandre Aja nel 2006 e da Martin Weisznel nel 2007). 

A fare da apripista al filone, oltreoceano, era stato il padre del gore Herschell Gordon Lewis, che con “The gore gore girls”(1972) intonava il suo canto del cigno prima di lasciare l’industria cinematografica e dedicarsi a una carriera da giornalista pubblicista (ma trent’anni dopo tornerà al cinema per una manciata di film, fino alla morte avvenuta nel 2016). La storia verte sull’indagine sugli efferati delitti e mutilazioni di alcune ballerine di uno strip club: non è in senso stretto un film cannibalico, ma mette in scena delle natiche ridotte a carne battuta, un viso fritto nell’olio e schizzi di latte e cioccolata da capezzoli recisi chel o rendono un gustoso, ehm, antipasto per i film a venire: Lewis prepara il banchetto e se il pasto non viene poi consumato, poco ci manca. 
Escluse le eventualità in cui i poveri si mangiano tra loro per sopravvivere, oppure quelle in cui sopravvissuti a disastri e calamità sono costretti a divorare cadaveri nell’attesa dei soccorsi (celebre il caso dei sopravvissuti delle Ande del 1972, raccontato nei tre lungometraggi “I sopravvissuti delle Ande” (“Supervivientes de los Andes”) di René Cardona, ‘76, “Alive - Sopravvissuti” (“Alive”) di Frank Marshall, ‘93 e “La società della neve” di Juan Antonio Bayona, 2023), oggi il cannibalismo è praticamente solo un fenomeno da cronaca nera. La cassa di risonanza dei media fa sì che queste storie sembrino tantissime, comunissime, ma per fortuna non è così. Perché le storie di Ed Gain (***), Jeffrey Dahmer, Peter Kürten, Nikolaj Dzhurmongaliev, Andrej Čikatilo, Leonarda Cianciulli (la Saponificatrice di Correggio), Issei Sagawa, solo per citarne alcune, fanno davvero accapponare la pelle. Alcune di queste sono state trasposte al cinema, ma sono troppe anche solo per menzionarle tutte. Ma non è finita qui. 

Non è un mistero che in rete ci siano siti di incontri dedicati a persone desiderose da un lato di mangiare carne umana, e dall’altra di essere mangiate. I casi di cannibalismo su persone consenzienti in Germania avvennero proprio grazie a questi forum: in una di queste chat, per esempio, il cannibale Armin Meiwes conobbe la sua vittima, Bernd Jürgen Armando Brandes (Brandes, per inciso, partecipò al banchetto, consumando il suo stesso membro). A queste vicende si cerca di trovare un movente psicologico che si può ricondurre in qualche modo al non superamento dell’infanzia, e l’omicidio viene interpretato come un modo per punire uno dei genitori (generalmente la madre) oppure per riappropriarsi del proprio bambino interiore, quella fanciullezza che la società e la condizione familiare hanno sottratto a queste persone troppo presto. Motivi psicologici vengono addotti anche alla volontà di essere uccisi e mangiati. A questo punto sorge spontaneo domandarsi come mai i cannibali moderni siano quasi sempre uomini. È colpa del vagheggiato patriarcato di ritorno, e, se anche così fosse, qual è la sua genesi? 
Per trovare la risposta bisognerebbe forse riflettere sull’importanza di generare dei figli come atto d’amore e crescerli rendendoli indipendenti e sensibili, ma andiamo avanti. Un’altra domanda da porsi è perché la violenza si manifesti proprio con il trasformare l’atto del mangiare in atto di morte. In questo caso la spiegazione è molto più semplice, anzi ovvia, a pensarci bene. Per il bambino la bocca è il centro del piacere: è con la bocca che si nutre dal seno della madre, è con la bocca che esplora il mondo e il suo stesso corpo, è con la bocca che affina il piacere del gusto. Nel cannibalismo il bisogno fisiologico di mangiare si coniuga con il bisogno psicologico di inglobare gli altri, coloro che si ama e coloro che si odia, in quanto tutti corresponsabili della propria infelicità, e spesso si sublima (o vi si intreccia) l’istinto sessuale, ed ecco perché il cannibale è di norma anche un bulimico: la fame di carne umana non può essere mai saziata perché non ha una base organica, ma si origina nell’anima. 

L’attore hollywoodiano Armie Hammer venne travolto da uno scandalo nel 2021, quando una sua ex rivelò che le aveva proposto di farsi asportare una costola perché lui potesse prepararla al barbecue, e in alcuni messaggi resi pubblici confessava di avere fantasie sessuali BDSM estreme e di pensare costantemente a sangue, violenze, stupri e cannibalismo. Nel caso di questo cannibale “mancato” si è puntato il dito su una famiglia disfunzionale, la cui storia è narrata nella miniserie documentaristica del 2022 (forse contenente filmati falsificati) “House of Hammer”. L’anno successivo Hammer dichiarò in un'intervista di aver sviluppato un’ossessione per il sadomasochismo a seguito di molestie sessuali da parte da parte di un pastore battista quando aveva appena 13 anni. Ad ogni modo, le autorità della California non sporsero denuncia e la storia si sgonfiò: è ancora presto per capire se e come questa vicenda possa influire sulla sua carriera. Perfino un cannibale “istruito” come Hannibal Lecter, il personaggio creato dallo scrittore Thomas Harris e protagonista di cinque film e una serie tv (****), è, a dispetto della sua raffinatezza da gourmet, tutto fuorché un assassino razionale, benché il suo cannibalismo venga razionalmente coltivato. Dal quinto film della serie, che racconta la genesi del mostro, si evince infatti che la psiche del giovane Hannibal è stata segnata da un trauma infantile risalente alla guerra, quando alcuni uomini avevano ucciso e mangiato la sua sorellina, servendo anche a lui le sue carni. Il fatto che Lecter sia diventato uno psichiatra allude alla fallacia della medicina nel trattare la psiche umana: la psichiatria è in grado forse di scandagliarla, non certo di scinderla dai suoi mostri e demoni. Neppure la forza dirompente dell’esperienza sciamanica è in grado di farlo, almeno secondo Andrzej Żuławski, anzi sembra amplificare la sua voglia di eccessi. Nel film del 1996 "La sciamana", il desiderio di carne umana è indissolubilmente legato al sesso, sincopato ed eccessivo proprio come per il regista è ogni aspetto della vita. Un antropologo cade preda di due grandi passioni, quella erotica per una giovane studentessa e quella professionale per dei resti umani che dovrebbero appartenere a uno sciamano di tremila anni fa. La ragazza sembra posseduta da qualche tipo di spirito che si manifesta, soprattutto, durante i loro tarantolati incontri sessuali, una possessione spiritista (o demoniaca) che si fa sempre più evidente e totalizzante, fino a fagocitare completamente l’uomo, nel più vero senso del termine.

Anche Jess Franco affronta il tema cannibalico annaffiandolo con abbondanti sesso e nudità, ma non si tratta affatto una novità per il regista iberico: “Delirium”, del 1968, "Greta, la donna bestia" (“Haus ohne Männer”), del ‘76, “Il cacciatore di uomini" (“Chasseur d'hommes”) e "La dea cannibale" (“Mondo Cannibale”, diretto a quattro mani con Francesco (Franco) Prosperi), del 1980, sono tutti intrisi di eros e violenza. Il più interessante del lotto è "Greta, la donna bestia", una variazione del filone WIP (Women In Prison) dove un manipolo di inermi convitte è vessato da una spietata direttrice/torturatrice (siamo in una clinica per donne con disturbi sessuali). Il cannibalismo arriva all’apice di una successione di sempre maggiori efferatezze, dalle violenze agli stupri, il tutto declinato in favore di telecamera (le riprese in super 8 del sesso e delle sevizie sono rivendute a un depravato erotomane in cerca di nuovi stimoli, creando un interessante effetto metacinematografico).




(*) Entrambi i film sono basati su un vero caso di cronaca noto come “The Hello Kitty Murder”.
(**) Una lista forse non esaustiva, la mia: “Sweeney Todd: the demon barber of FleetStreet“ di George King, 1936, "Macellai" ("Bloodthirsty butchers") di Andy Milligan, 1970, "The tale of Sweeney Todd" di JohnSchlesinger, 1997, e “Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street“("Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street") di Tim Burton, 2007, sono tutti film che rivoltano la logica dello sfruttamento di classe: qui sono i ricchi a sfamare, letteralmente, i poveri.
(***) Ed Gein è il principale ispiratore di Leatherface, il villain di Hooper con la maschera di pelle umana, il grembiule da macellaio costantemente sporco di sangue e la motosega.
(****) “Manhunter - Frammenti di un omicidio” (“Manhunter”) di Michael Mann, 1986; “Il silenzio degli innocenti” ("The Silence of the Lambs") di Jonathan Demme, 1991;  “Hannibal” di Ridley Scott, 2001; “Red Dragon” di Brett Ratner, 2002; “Hannibal Lecter - Le origini del male” ("Hannibal Rising") di Peter Webber, 2007, per quanto riguarda il cinema; “Hannibal” (2013-2015, 39 episodi) alla tv. 

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