Come ebbi già modo di scrivere in passato, la fantascienza prima e la scienza poi hanno a lungo ragionato sul modo di elevare l’uomo dalla sua condizione attuale a una condizione transumana e post-umana.
Inutile sottolineare che siamo già – tutti – transumani, dal momento che utilizziamo abiti, utensili, occhiali, apparecchi acustici, dentiere o protesi, o qualunque altro ausilio esterno che ci consente di sopravvivere, o migliorare (o sostituire) i nostri sensi o parti del nostro corpo: questo è transumanesimo di primo livello.
Il livello superiore è quello costituito dal telefono cellulare e da internet, e quello ancora superiore dalle cosiddette “tecnologie immersive”. La realtà virtuale, come sapete, prevede che ogni persona abbia un avatar per interagire in un mondo fittizio alternativo a quello vero, dove sono possibili non solo nuove forme di interazione sociale (con tutte le derive del caso, come lo stupro nel metaverso denunciato da un’adolescente inglese), ma anche l’emergere di una economia virtuale; è legata soprattutto al mondo dei videogiochi (dove andrebbe più correttamente definita come “realtà aumentata”), ma ci sono già stati tentativi di renderla universale, e appetibile a tutti, con progetti come Second Life della società americana Linden Lab e con il Metaverso di Meta (Meta Platforms, Inc.), che controlla tra gli altri Facebook e Instagram.
Non ho sottomano i dati ufficiali, ma mi sembra che la diffusione di Second Life abbia avuto una brusca frenata già pochi anni dopo la sua nascita (che, ricordiamolo, risale al 2013); quanto al Metaverso, so che ha causato a Meta diversi miliardi di dollari di perdite. La ragione di questo fallimento è forse da ricercarsi in parte nel timore delle persone di esporsi troppo, dato che le tecnologie alla base di questi progetti sono in grado di raccogliere un’infinità di dati degli utenti, inclusi quelli biometrici, ma anche nel rischio di un maggiore controllo e censura. C’è anche la possibilità che la maggior parte delle persone preferisca la vita vera a un suo patetico surrogato, ma magari mi sbaglio.
Ma post-umano significa anche l’ibridazione del corpo umano con parti meccaniche o con substrati biosintetici o di altro tipo, rendendolo un’entità non più esclusivamente biologica. Il nuovo traguardo è l’impianto di chip nella mano o, in via sperimentale, nel cervello, dove si porta il metallo nella carne (vedesi il progetto Neuralink di Elon Musk); la tappa finale del transumanesimo sarà poi portare l’uomo nella macchina, affidando i ricordi umani a un supporto (un corpo robotico, un computer) che li preservi, in barba alla questione dell’essenza della coscienza che tanto ha ossessionato e continua a ossessionare scienziati, filosofi e figure religiose di ogni sorta. (Il futurologo Ian Pearson, per esempio, affronta il tema del caricamento della memoria umana su supporto informatico da almeno venticinque anni.)
Dopo questa lunga premessa, veniamo finalmente al cinema. David Cronenberg è l’alfiere di un “cinema del corpo mutante” in cui il tema viene affrontato sviscerandone le criticità, soprattutto con opere come “eXistenZ”(1999) e “Crimes of the future” (2022), quest’ultima particolarmente attinente a questo speciale in quanto parla di modificazione del corpo anche in termini di digestione.
Il film è ambientato in un futuro in cui lo sviluppo tecnologico ha permesso di eliminare il dolore fisico ed è possibile operare la chirurgia su persone coscienti, senza anestetico, e controllare le funzioni corporali tramite computer e macchine collegati al corpo umano. La chirurgia clinica ed estetica viene spettacolarizzata durante spettacoli dal vivo con pubblico pagante, la deturpazione dei corpi diviene la nuova frontiera dell’erotismo (“la chirurgia è il nuovo sesso”) e dell’arte, ma in realtà è un’arma nelle mani del potere.
Questa spinta all’ibridazione ha provocato in alcune persone alterazioni spontanee della propria biologia, come nel caso di un bambino di otto anni che si nutre di plastica. Il padre del bambino fa invece parte di un gruppo di evoluzionisti radicali che hanno modificato di proposito il proprio apparato digerente per poter digerire la plastica e altri prodotti chimici e si nutrono della "candy bar", un composto di rifiuti tossici.
Considerato che la tecnologia militare è avanti di decenni rispetto a quella a uso civile, quello che oggi consideriamo fantascientifico potrebbe essere già realtà o in preparazione, e l’abbandono delle nostre tradizioni e abitudini in cucina, che oggi viene solo incoraggiato, in futuro potrebbe esserci imposto per “salvare il pianeta”. Un giorno la manipolazione genetica potrebbe essere così progredita da permettere di inserire nel nostro DNA filamenti del DNA di qualcuno di quei vermi o tarme che mangiano la plastica, e consentirci così di consumare i rifiuti che produciamo. Il sogno bagnato di chi immagina un’economia circolare, ma in un’accezione del tutto inedita: il trionfo del capitalismo. Produci consuma crepa (cit).
Oltre a quello degli insetti, in questo periodo si discute molto anche di carne sintetica. La questione solleva interrogativi circa i rischi per la salute, la questione etica e l’impatto economico di questo prodotto. Il processo di produzione prevede di fare la biopsia a un animale, raccogliendo le cellule staminali dai tessuti muscolari e nutrendole in un bioreattore con ormoni e il siero estratto dal sangue di un vitellino, cavallo o pollo appena nato, oppure da un suo embrione.
Durante il tira e molla del governo sul via libera alla vendita in Italia, OMS e FAO hanno sollevato la questione di oltre cinquanta aspetti potenzialmente critici per la salute nei cibi artificiali (contaminazione microbica, di nanoplastiche o metalli pesanti, presenza di antibiotici o additivi, eccetera). Non solo non è possibile garantire la corretta proporzione tra grassi e proteine e la presenza dei micronutrienti presenti nella carne da allevamento (qualcuno, va detto, derivante da integratori somministrati agli animali, come la famosa vitamina B12), ma non è neppure possibile escludere che la carne sintetica non sarà imbottita di antibiotici come e più della carne vera, dato che le cellule in coltura sono sprovviste di sistema immunitario. È altamente probabile che queste cellule che saranno fatte riprodurre costantemente sviluppino dei tumori, e ci sarà il problema di smaltire le scorie inquinanti della produzione. In generale mancano studi sulla sicurezza per il consumo alimentare umano, come per molti altri prodotti sperimentali delle lobby industriali.
Quindi, già dal punto di vista etico questo tipo di prodotto solleva più di una perplessità, dato che causa comunque la morte di animali; e anche volendo esaminare la questione da un punto di vista meramente economico è difficile vedere vantaggi nella carne sintetica, perché la sua produzione resterebbe appannaggio delle multinazionali, contribuendo ad affossare i piccoli produttori, già penalizzati da infinite regole e balzelli. Se poi un giorno queste multinazionali volessero fare qualcosa di analogo anche con i vegetali, l’intera filiera agricola così come la conosciamo oggi potrebbe letteralmente scomparire e l’intera alimentazione umana concentrarsi nelle mani di pochi, con conseguenze inimmaginabili.
Sentite cosa scrive il controverso economista francese Jacques Attali in un suo saggio del 2019 intitolato “Cibo. Una storia globale dalle origini al futuro” (Histoires de l'alimentation: de quoi manger est-il le nom?).
Dal capitolo 8: “Il XXI secolo sarà l’epoca della riduzione della distanza tra esseri umani e animali, come il XX è stato quello della riduzione e poi dell’eliminazione (almeno in linea di principio) delle barriere tra i diversi gruppi etnici umani. Gradualmente verranno chiusi i macelli e gli allevamenti in batteria, che torturano gli animali a vita, e ciò costituirà un fattore importante per accelerare la lotta contro le sofferenze degli animali, ridurre il consumo di carne e sviluppare il veganesimo. E una volta che l’umanità sarà sensibilizzata alla sofferenza animale, si farà lo stesso con le piante: ci renderemo finalmente conto che hanno comportamenti molto simili a quelli umani e sono anche molto altruiste. Ciò porterà altre importanti conseguenze sulla nostra alimentazione, e cominceremo addirittura a pensare di smettere di mangiare prodotti appartenenti al regno vegetale.” […] “Sensibilizzare le persone sul tema dell’altruismo vegetale può compromettere il consumo di verdure in un lontano futuro? Saremo ancora in grado di mangiare esseri viventi o mangeremo solo cibi sintetici? O non saranno forse gli animali stessi a venire sostituiti da robot per alcune funzioni?”
Temo che il buon Attali stia sopravvalutando l’umanità: la gente non ha mai avuto pietà per gli animali, figuriamoci se potrebbe mai averne per le piante! Comunque, andando avanti lo scenario dipinto da Attali si tinge di tinte ancora più fosche. Se l’umanità smetterà di mangiare prima la carne e poi i vegetali, potrà sempre ripiegare sul cibo sintetico prodotto da stampanti 3D, grazie alle quali ognuno potrà progettare e mettere a cuocere il proprio pasto da remoto, e in anticipo: così si eliminerà anche ogni occasione di pranzo comunitario di incontro e condivisione; e se le persone smetteranno di mangiare assieme, lo scambio di parole e di idee fra loro diverrà un evento sempre più raro e difficoltoso, a tutto scapito della capacità di comunicazione, che subirà quindi un’involuzione. La sua ricetta per rovesciare questa tendenza Attali la spiega nelle ultime pagine del libro, non prima di sconvolgerci con un’immagine davvero terrificante: “Cosa diventeremo, allora?” procede Attali. “Automi alimentati con elementi artificiali, esseri dalla natura prioritariamente meccanica e biologica solo in via accessoria? Diventeremo cloni nutriti da altri cloni? Un’ultima riflessione vertiginosa: quando le cellule staminali potranno essere impiegate per produrre nuovi tipi di animali e piante, organi ed esseri viventi, non finiremo forse per consumare noi stessi, come in una forma definitiva di cannibalismo? Persi nell’illusione dell’immortalità, e nel silenzio della morte.”
Con tali prospettive in procinto, forse, di tramutarsi in realtà e altre immaginate come un futuro non troppo lontano nel tempo, chi avrà bisogno di rivolgersi ancora all’horror per sperimentare qualche brivido di terrore?
"Existenz" ha alcune scene di cui mi chiedo come abbia fatto anche solo a inventarsele. Ovvio che quando guardo i suoi film spero sempre che le sue siano solo fantasie che non hanno modo di diventare realtà neppure fra un secolo... ma forse la mia è una speranza vana.
RispondiEliminaSe diventassero realtà tra un secolo non sarà più un problema mio. La paura è che invece ci siamo più vicini di quanto immaginiamo.
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