martedì 9 giugno 2020

Orizzonti del reale (Pt.23)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Le virtù del Dharma, dicevo in chiusura dello scorso articolo, si sono affievolite, e l’umanità brancola nel buio dell’ignoranza, della diffidenza, della corruzione e del declino spirituale. L’Induismo chiama l’era oscura che stiamo vivendo Kali Yuga. Se ho utilizzato questa immagine “orientaleggiante” è perché furono molte le personalità del tempo a mostrare interesse per l’Induismo e il Buddhismo. La più importante di queste fu senz’altro Richard Alpert. Durante il suo soggiorno in India, Alpert assunse un nuovo nome, con il quale nei decenni successivi divenne noto come uno dei più importanti maestri spirituali delle discipline orientali in Occidente: Ram Dass (cioè “servo di Dio).
Forse l’ho già accennato in precedenza, ma anche Leary si lasciò affascinare dall’Oriente e molta della sua teoria è ispirata a queste due religioni (sebbene considerasse il Buddhismo più una filosofia che una religione vera e propria, una posizione un po’ ingenerosa ma abbastanza diffusa). Per esempio, chi ha letto il post che ho dedicato a “Il Gran Sacerdote” sa che all’inizio di ogni capitolo del libro è riportato un esagramma tratto da I Ching, il Libro dei Mutamenti. Inoltre, non è difficile ricondurre la sua definizione di vita come “the game”, il gioco, al “lila” dei Veda, quello che cambia (e di parecchio) è il significato: il lila è l’universo come gioco, manifestazione divina, un’”azione senza azione” spontanea, senza tensioni o conflitti.

Ma anche se Leary credeva che Buddhismo e Induismo fossero le uniche religioni a dare accesso ai livelli più alti di coscienza, la sua distanza dal collega e amico di un tempo resta incolmabile. Una differenza di vedute che può essere riassunta, a mio parere, nel fatto che Alpert giudicava le sedute psichedeliche inconcludenti, ovvero destinate a non lasciare traccia una volta terminate, mentre per Leary furono proprio queste ad aprirlo alla comprensione delle “Sette Lingue di Dio”.
Anche la divisione “settenaria” del concetto-chiave di Leary, pur essendo il sette un motivo ricorrente in molte altre religioni e culture, deriva o rivisita più direttamente concetti appartenenti a Induismo e Buddhismo. Leary parla infatti delle “sette Lingue di Dio” come di sette livelli di energia della coscienza (vuoto, torpore, socio-mentale, sensoriale, somatico, cellulare, atomico), ovvero sette livelli di consapevolezza.

Nell’Induismo e nel Buddhismo abbiamo invece due stati del mentale, che spesso ho trovato così descritti: rupa e arupa, o manas inferiore (forma-pensiero) e manas superiore (pensiero astratto o corpo causale), ove i primi quattro gradi (corrispondenti al grado solido, liquido, gassoso ed eterico) appartengono al mentale inferiore e i successivi tre (super eterico, subatomico, atomico) a quello superiore. In pratica il rupa sarebbe la sede dell’intelligenza dell’uomo comune, che non ha ancora preso coscienza di possedere delle facoltà mentali superiori; l’arupa si riverbera sul rupa, “dall’alto”, come una vibrazione, o un’onda. Bisognerebbe poi menzionare almeno i sette chakra… ma il discorso rischia di diventare troppo lungo.

Leary indica poi anche i farmaci che li inducono e le scienze e le religioni che studiano ogni livello. L’eroina proietta la coscienza nel vuoto e questo rappresenta, agli occhi del drogato, tutto il suo fascino. Narcotici, barbiturici e alcol intrappolano le coscienze nel primo e nel secondo livello. Ci sono droghe che danno accesso a più di un livello di consapevolezza (l’hashish, per esempio, al quarto e al quinto), mentre con LSD e mescalina si abbandona il reame del corpo (livello cellulare). Solo l’uso di LSD, nell’ambito di un percorso di illuminazione e di fede, permetterebbe di accedere, talora simultaneamente, a tutti e sette i livelli. Con un alto dosaggio di LDS si accede a un livello precellulare in cui si alternano visioni di reincarnazione e regressione, in cui è possibile osservare come al microscopio processi di cui normalmente non siamo consapevoli, la bianca danza dell’energia in cui il mondo che conosciamo si dissolve in linee bianche pulsanti, in cui noi stessi pulsiamo all’unisono con il primigenio battito cosmico.

Ma eccoci giunti al punto dolente. Si potrebbe pensare che a premesse del genere facciano seguito dei dati scientifici, per esempio sulla morfologia del cervello in rapporto a questi sette livelli, ma in realtà non ve ne sono. Non ci sono dati concreti che riguardano la struttura del cervello o la sua organizzazione neurale o chimica. Lo stesso accade anche in “Neurologic” (pubblicato nel 1973, quando Leary era già in prigione), dove si espone la teoria della vita umana che si evolve secondo sette stadi, o circuiti (bio-survival, emotion-locomotion, mental-manipulative, socio-sexual, rapture, ecstasy, neurogenetic) (*), che comportano macroscopiche alterazioni nella morfologia, nel comportamento, nella fisiologia, e, soprattutto, nelle funzioni neurologiche - e dove l’autore immagina l’emersione futura di nuovi circuiti nel sistema nervoso. In qualche modo Leary doveva essere consapevole delle lacune dei suoi scritti, se decise di aprire l’introduzione di “Neurologic” in questo modo: “Le teorie presentate in questo saggio sono Fantascienza. Filosofia della scienza. PSY PHI. Sono scientifiche in quanto si basano su risultati empirici di fisica, fisiologia, farmacologia, genetica, psicologia comportamentale e, soprattutto, neurologia. Sono immaginarie nel senso wittgensteiniano secondo cui tutte le teorie e le speculazioni al di là delle proposizioni della scienza naturale sono soggettive.” (La traduzione è mia.)
Questo rende tutti i suoi libri, ”The Politics of Ecstasy” in testa, più delle curiosità che dei saggi veri e propri. La prosa è ispirata, accattivante, ma i concetti alla base sono fumosi. Leary è sempre stato accusato di essere più un visionario più che un teorico, più uno scrittore di fantascienza che uno scienziato, specialmente in quella fase della vita in cui cominciò a parlare di intelligenze extraterrestri. Avendo letto alcuni dei suoi libri, non me la sento di dissentire.

(*) In seguito Leary teorizzò otto livelli anziché sette, concetto sviluppato in “Exo-Psychology”, del 1977, e “Info-Psychology: A Re-Vision of Exo-Psychology”. Ad oggi non ho letto nessuno dei due.

7 commenti:

  1. Vado fuori tema per ringraziarti di cuore: grazie per aver acconsentito alla mia richiesta di guest post ❤.
    Grazie anche per avermi risparmiato al visione di quel film, ahahah!

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  2. Mi sono spesso interessato al buddhismo, soprattutto nelle sua derivazione dello zen, e devo ammettere che anch'io tendo a considerarlo più un sistema filosofico che una religione... Penso che ciò deriva (vale per me, forse valeva anche per Leary) dal fatto che a livello teologico ha una serie di miti e figure complesse, non diversamente dalle altre religioni, però si distingue poiché non ossessiona i fedeli col concetto di "peccato" o "infrangere le leggi", ma li invita a seguire certe virtù ai fini di un cammino verso il proprio equilibrio interiore.

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    1. Probabilmente tutti quelli che dicono che il Buddhismo non è una religione lo fanno sulle stesse basi.

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  3. Interessante il fatto che Leary fosse cosciente delle lacune dei suoi scritti, questo mette in una luce nuova una gran parte delle comuni credenze su di lui.

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    1. Si tratta di una mia interpretazione, non è detto che sia corretta.

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  4. ...e vedrai quando in OdR arriverà il momento del guest post dell'etrusco!

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