venerdì 25 ottobre 2013

La casa delle belle addormentate

Oltre quarant’anni fa, esattamente il 9 giugno 1972, fu pubblicato sul settimanale “Il mondo” un interessante articolo nel quale veniva riportato un simpatico aneddoto sulla percezione della letteratura giapponese da parte di noi occidentali. Spunto della riflessione fu il clamore che seguì la scomparsa dello scrittore giapponese Yasunari Kawabata, avvenuta solo poche settimane prima.
Il redattore dell’articolo riferiva un fatto al quale era stato testimone quattro anni prima a Dorchester, nel corso di un festival dedicato al poeta e scrittore britannico Thomas Hardy.
Nel corso delle celebrazioni, alle quali erano presenti quasi esclusivamente scrittori inglesi, qualcuno, sorpreso della presenza di una delegazione giapponese, disse: “Hardy è uno scrittore troppo legato al proprio angolo di mondo per poter essere capito da stranieri così “stranieri” come sono i giapponesi”. Uno di loro reagì con molta finezza a quella stupida villania. “Certo la regione in cui Hardy ha ambientato le sue storie è completamente estranea ad un giapponese, ma non gli sono estranei i sentimenti che il grande scrittore inglese ha fatto vivere attraverso le sue storie.”
Il lungo articolo, del quale vi risparmio i dettagli, si chiuse con un‘interessante riflessione: “Non badate alle forme artificiali del vivere, ma addentratevi nel cuore delle cose, nella sostanza della vita". Il redattore a cui dobbiamo queste semplici, ma al tempo stesso illuminanti parole, si chiamava Carlo Cassola.

Il compianto autore de “La ragazza di Bube” e de “Il taglio del bosco” aveva perfettamente centrato il bersaglio. Quando si legge un libro non è importante chiedersi come quest’ultimo sia stato confezionato, bensì quale sia il messaggio celato sotto la superficie. 
Questa breve introduzione si adatta perfettamente all’argomento di oggi, vale a dire la presentazione di uno dei più celebri romanzi del già citato Yasunari Kawabata il quale, oltre ad averci regalato una serie incomparabile di capolavori (è stato il primo giapponese insignito del prestigioso premio Nobel per la letteratura, nel lontano 1968), ha contribuito alla maturazione letteraria di numerosi suoi connazionali, primo tra tutti il controverso Yukio Mishima.

La storia narrata da “La casa delle belle addormentate” (眠れる美女, Nemureru bijo) è decisamente singolare, per non dire incredibile, vista attraverso gli occhi di un lettore occidentale. La situazione in cui viene a trovarsi il protagonista, un settantasettenne disilluso di nome Eguchi, dovrebbe tuttavia essere letta lasciandosi alle spalle i filtri censori ai quali la nostra educazione ci ha abituato: solo in questo modo potremmo riconoscere quei sentimenti che ognuno di noi, nessuno escluso, conserva nel proprio intimo. L’amore, la bellezza, la malinconia per gli anni che trascorrono inesorabilmente e fanno di noi dei poveri vecchi, soli e incompresi, in balia delle generazioni successive, ma che al tempo stesso conservano un anelito di giovinezza nei ricordi di una vita, ricordi di momenti piacevoli ma anche piccole istantanee di occasioni ormai andate definitivamente perdute.
Dopo aver fatto qualche passo lei si voltò, ma vedendo che lui la guardava, si affrettò di colpo. Non s’incontrarono mai più. Eguchi sapeva che lei era morta più di dieci anni innanzi. Ormai settantasettenne, aveva già perso molti amici e parenti, ma il ricordo di quella ragazza era ancora vivo. Con ogni probabilità, a conoscere l’incomparabilità di quella bellezza oltre ad Eguchi non v’era nessuno, e c’era da credere che con la morte ora non lontana di lui, essa sarebbe definitivamente scomparsa dal mondo.

Il vecchio Eguchi, consigliato da un amico, si reca in una “casa d’appuntamenti” piuttosto particolare. Un luogo dove i clienti, tutti anziani, tutti ben oltre la soglia del vigore sessuale, possono trascorrere la notte con giovanissime donne addormentate da un potente narcotico. I frequentatori della casa devono sottostare ad una regola ben precisa: non possono molestare le belle addormentate per nessun motivo, né cercare di svegliarle, cosa tra l’altro impossibile da farsi. “Scherzi di cattivo genere non ne fate; non sta bene neppure infilare le dita nella bocca delle ragazze che dormono” si premura di fargli sapere la maitresse, già in occasione della sua prima visita.
Eguchi viene più volte assalito dalla tentazione di infrangere il divieto, ma non lo fa. Si limita a guardarle, ad ascoltarne il respiro, al massimo a toccarne il viso, i capelli, la pelle, e così facendo si inebria del sapore di quella giovinezza che gli si trasmette per tramite di quel contatto “rubato”. 
La ragazza dormiva voltata dalla sua parte, con il capo leggermente reclinato in avanti: sul collo morbido e sottile si delineava così una riga, quasi impercettibile. I lunghi capelli erano sparsi sul cuscino. Il vecchio Eguchi levò gli occhi dalle labbra della ragazza alle ciglia e alle sopracciglia di lei e non ebbe dubbi che si trattasse di una vergine. La carnagione di lei, sulla quale egli non scorgeva la peluria sottile, era soffusa di splendore. Dal viso al collo non aveva neppure un neo. Il vecchio si sentì irresistibilmente portato ad amare la ragazza e nella sua mente fluì l’illusione che anche lei lo amasse. Poggiò una mano sul suo seno e lo racchiuse delicatamente nel palmo. 
E’ davvero facile a questo punto storcere il naso e condannare il comportamento di Eguchi ma, come giustamente disse Carlo Cassola, è necessario provare ad “addentrarsi nel cuore delle cose”. Quella di Eguchi è tutto sommato una riflessione sull’ineluttabilità della morte.

Alla sua età, Eguchi non voleva aggiungere un altro squallido incontro: a questo pensava dopo essere venuto in quella casa, nel momento decisivo. C’è qualcosa di più brutto di un vecchio che si accinge a trascorrere la notte disteso accanto ad una ragazza immersa nel sonno al punto da non poter aprire gli occhi nemmeno un momento? Eguchi non era forse venuto in quella casa per scoprire fino in fondo la bruttezza della vecchiaia?
Come non mettersi nei panni del vecchio Eguchi? Come non lasciare da parte la desolante realtà della casa delle belle addormentate e coglierne la poesia? (Gabriel Garcia Marquez, per esempio, comprese in pieno il messaggio di  Kawabata e ne trasse ispirazione per il suo romanzo “Memoria delle mie puttane tristi”).
Va anche detto che l’esistenza stessa della casa, che ai nostri occhi può sembrare pura follia o, meno prosaicamente, una pura perversione, può essere spiegata solo cercando di calarsi nella psicologia giapponese, alla perenne ricerca di quella spensieratezza perduta, esclusiva solo dei bambini.
In Giappone l’infanzia è l’età in cui tutto è permesso: i bambini ricevono dalla madre ogni tipo di indulgenza, ottengono sempre tutto ciò che vogliono, fino a quando non vengono immessi nel sistema scolastico che, come è noto, è tra i più severi del mondo. Da quel momento, fino alla morte, il giapponese entra a fare parte di un sistema che non ammette errori, regolato da tradizioni ferree e rigide regole di disciplina. Non c’è adulto in Giappone che non cerchi di rievocare il ricordo del suo periodo di spensieratezza e  la sua ricerca diventa per molti un’ossessione, al punto che nascono come funghi luoghi dove ci si può abbandonare e tornare un po’ bambini. La casa delle belle addormentate è appunto uno di questi luoghi. La società non solo li accetta, ma ne alimenta la proliferazione al fine di poter garantire una valvola di sfogo che, se negata, potrebbe trasformarsi in un serio problema sociale.

Nel quartiere Akihabara di Tokyo esiste un locale, il Soineya, che sembra proprio sia stato realizzato sull’esempio descritto da Kawabata nel suo romanzo. Si tratta di una specie di “Maid Café” in cui i clienti, accolti da bellissime ragazze in abito da sera, possono scegliere la loro preferita e appartarsi in stanzine per riposare insieme, senza però fare altro! I clienti del Soineya infatti non sono in cerca di avventure sessuali, bensì di qualche coccola e del caldo abbraccio di una ragazza amorevole. Dormire per venti minuti accanto ad una ragazza costa all’incirca ¥3000 circa (€30), ai quali bisogna aggiungere circa ¥3000 di quota associativa. È possibile fermarsi a dormire fino ad un massimo di 10 ore (¥60.000) e, ovviamente ogni tipo di coccola extra è da pagare a parte. Per esempio:
Riposare fra le braccia della ragazza per 3 minuti: ¥1000
Ricevere delle carezze sulla schiena  per 3 minuti: ¥1000
Accarezzare la ragazza sulla testa per 3 minuti: ¥1000
Fissare la ragazza negli occhi per 1 minuto: ¥1000
Far cambiare abito alla ragazza: ¥1000
Ricevere un massaggino ai piedi per 3 minuti: ¥1000
Fare un massaggino ai piedi della ragazza per 3 minuti: ¥2000
Riposare appoggiando la testa sulle gambe della ragazza per 3 minuti: ¥1000
Far riposare la ragazza con la testa appoggiata sulle proprie gambe per 3 minuti: ¥2000

…ma era altrettanto certo che, per i vecchi, che pagavano quel denaro, giacere accanto a una ragazza così rappresentava una gioia senza pari. Poiché la ragazza non apriva mai gli occhi, i vecchi non avvertivano nessun complesso di inferiorità per il proprio decadimento, veniva loro concessa illimitata libertà nella fantasia e nei ricordi sessuali. Forse per questo non rimpiangevano di pagare più che per una donna sveglia. E che le ragazze addormentate ignorassero tutto dei vecchi contribuiva alla loro serenità….

15 commenti:

  1. Adoro questa cultura così particolare e fondamentalmente aliena per noi occidentali.
    Non ho capito se le immagini che posti riguardano anche un film o se esiste solo la versione romanzo.

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    1. Sono alcuni fotogrammi tratti da uno dei diversi film tratti da questo romanzo. Ne dovrebbero esistere almeno tre. Il più vecchio, che davvero mi piacerebbe trovare, risale al 1968 ed è uscito in Italia con il titolo de "La casa delle vergini dormienti".

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  2. Post molto interessante. In effetti credo che nel mondo occidentale ci sia un equivoco fondamentale sulla funzione della prostituzione. Viene vista come una forma di commercio per necessità fisiologiche, e viene puntualmente condannata come sfruttamento della donna. Se poi il cliente è un uomo anziano, la condanna viene corroborata dallo schifo per il vecchio "bavoso" che suscita disgusto.
    Contemporaneamente, c'è una costante lotta dei progressisti contro le costrizioni religiose e l'affermazione che la sessualità non deve essere costretta a divieti di alcun genere PURCHE' sia conseziente, perché la sessualità è una necessità umana.
    E qui si potrebbe discutere a lungo: se viene riconosciuta come necessità, non lo è anche per un uomo anziano? E l'uomo anziano, ovviamente, come cavolo fa ad avere una partner? É credibile che possa sedurla con la sua avvenenza? Non giustifica quindi l'esistenza della prostituzione come servizio per una necessità fisiologica e anche psichica?... (Discorso scabroso, andrebbe sviluppato a parte).

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    1. Il tuo è un discorso davvero delicato. La prostituzione è un fenomeno che credo sia condannabile a prescindere. Sul discorso del farlo in maniera "consenziente" bisognerebbe analizzare caso per caso. Dubito che siano molte le prostitute che esercitino per il puro piacere di farlo: alle spalle c'è sempre una storia di miseria e di sopravvivenza.

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  3. Mi ricorda, seppur il contesto sia molto diverso, "La baracca dei tristi piaceri" di Helga Schneider. Il concetto però direi che è uguale, qui non si può fare sesso con le ragazze per ovvi motivi ma tenta di far capire come la pace dei sensi non riesca ad essere soppiantata da nulla, età o stile di vita che si conduce. E' importante avere contatti fisici, fino alla fine.
    Grazie del consiglio letterario, me lo segno! E poi come non fidarsi di Cassola...

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    1. Il protagonista di questo libro si distingue dalla normale clientela della "maison" perché è ancora attivo sessualmente. Nonostante ciò sceglie di non abusare delle ragazze. "La baracca dei tristi piaceri" non lo conosco e mi segno immediatamente il titolo. Grazie e benvenuta sul blog!

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  4. Questo è un libro che mi è piaciuto molto ma che inizialmente, proprio per la visione troppo occidentale di cui parlavi tu, mi ha causato qualche difficoltà. Ci ho messo un po', più di qualche pagina, ad entrare in quella stanza col vecchio Eguchi; non perché trovassi strana la reazione del vecchio in una situazione simile, ci può anche stare che la costrizione all'immobilità conduca il pensiero a livelli più profondi, è appunto la situazione, così apparentemente incredibile, che inizialmente destabilizza.

    Comunque, ripeto, è un bel libro (detto da me poi, che non prediligo la scrittura orientale, vale anche di più) ma...le immagini che hai messo da dove arrivano? Eguchi era molto meglio nella mia testa! ;)

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    1. Se ho letto questo libro è un po' anche merito tuo (e della recensione che scrivesti sul tuo blog mesi fa). ^_^. Quelle immagini provengono da uno dei film tratti dal libro di Kawabata. Anch'io nella mia testa immaginavo Eguchi molto diverso (più simile a me, diciamo) ma, in effetti, se ci pensi bene, come altro avrebbe potuto essere?

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    2. In effetti, sull'età ci siamo... potevano scegliere di meglio però!

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  5. Non conoscevo assolutamente questo libro ma immediatamente segnato in wishlist! *--*

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  6. Anche io sono rimasta incuriosita dal post di startfromscratch; sono contenta di poter leggere anche la tua opinione.
    Il mondo di questi particolari luoghi d'incontro (sia quello del libro che quello di cui parli alla fine del post) sono senz'altro piuttosto strani per una persona dalla mentalità occidentale. L'incredibile serietà e rigidità del sistema scolastico e del lavoro giapponese mi sembra altrettanto strana. Quando sto per leggere un libro giapponese cerco sempre di prendere un minuto per lasciare da parte questi miei preconcetti e inoltrarmi nella storia senza i pregiudizi addosso; ovviamente è più facile a dirsi he a farsi :)
    Comunque, ho divagato per dire, in sostanza, che leggerò sicuramente questo libro (prima o poi) e che spero di essermi scrollata di dosso i preconcetti quel che basta per arrivare a cogliere le riflessioni di Kawabata.

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    1. Mi piacciono tantissimo le tue divagazioni! ;) - Spero che tu abbia prima o poi l'opportunità di leggerlo: sarei davvero curioso di leggerne una recensione anche da te.

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  7. Anch’io leggendo il libro di Katabawa mentre entravo nel racconto mi rendevo conto della necessità di abbandonare la valutazione morale per assumere quella propria dell’autore e della cultura giapponese. Allora ho potuto apprezzare l’ambiente nel quale l’autore ci introduce quasi dandoci la mano come se noi fossimo accanto a lui e contagiandoci nel suo atteggiamento contemplativo : nei riguardi della natura , della casa e delle ragazze .

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    1. Esatto, il punto è proprio questo. Difficile per gente della nostra cultura non equiparare la pratica delle "belle addormentate" alla prostituzione, ma se si riesce a saltare l'ostacolo si finisce per apprezzarla come una forma d'arte.

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