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venerdì 12 dicembre 2014

Colui che vide Carcosa

Buon straniero, sto male e mi sono perso. Indicami, ti prego, la strada per Carcosa! (A. Bierce)


Nel suo celebre dipinto “Il sole sul cavalletto” (1973) Giorgio De Chirico ci accompagna in un teatro, la cui essenza viene suggerita dai due tendoni arrotolati ai lati. C’è una poltrona a sinistra e il cavalletto di un pittore sulla destra. Sullo sfondo una finestra si apre su un paesaggio mediterraneo. Sul cavalletto un sole giallo è unito da un filo ad un identico sole nero sullo sfondo. Una luna nera, attraverso un altro filo, è unita ad una luna gialla in primo piano, appoggiata sulle assi di legno del palcoscenico.
Una singolare rappresentazione del doppio a cui sarebbe interessante riuscire oggi a trovare una chiave interpretativa. Il saggio di Willard Bohn "The Rise of Surrealism: Cubism, Dada, and the Pursuit of the Marvelous" cerca una risposta nelle opere del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, il cui pensiero, forse più di quello di chiunque altro, influenzò il pittore. Nelle pagine del saggio l'Autore individua così gli elementi che governano l’intera produzione artistica di De Chirico: da una parte gli elementi che danno corpo all’impulso apollineo, cioè un impulso razionale, che porta equilibrio nell’uomo, dall’altra parte le ispirazioni che assomigliano invece all’ebbrezza estatica e che incorporano l’istinto dionisiaco, un impulso irrazionale alla vita. Le opere di De Chirico rappresenterebbero in quest’ottica una dicotomia, ovvero un perfetto equilibrio tra lo spirito dionisiaco e lo spirito apollineo, un’armoniosa simmetria di contrasti di cui scorgiamo l’emanazione nella dualità degli astri. 

martedì 9 dicembre 2014

Veduta di Carcosa

Si era preso un giorno per riordinare idee e appunti, cercando in Rete altre informazioni sul neopaganesimo e anche su Hastur “l’indicibile”, la misteriosa divinità citata nei libri dei Federici. Non aveva trovato che oscuri riferimenti a una fantomatica creatura che viveva in un posto chiamato “Lago di Hali”, che non era segnato su nessuna cartina geografica. Secondo gli autori di quei siti deliranti, Hastur era uno dei Grandi Antichi, creature stellari giunte sulla terra da un misterioso “universo esterno”. I nomi degli altri Antichi erano ancora più deliranti: Cthulhu, Nyarlathotep, Glaaki, Koth. A detta di un blogger olandese, molte antiche civiltà avevano adottato i culti di quelle creature, spesso mascherandole dietro alle religioni tradizionali, come per esempio il pantheon egiziano, greco e romano. Indubbiamente Brando era stato colpito da tutta quella mole di informazioni bislacche. In alcune illustrazioni poteva, infatti, distinguere dei paesaggi metafisici, con le caratteristiche della geometria non euclidea che anche il Maestro De Chirico aveva dipinto frequentemente.
Quando diversi mesi fa abbiamo iniziato questa serie di post, una delle prime questioni che ci siamo posti accarezzava la possibilità che i paesaggi descritti nel “Re il Giallo” potessero essere (o essere stati) in qualche modo reali. Ad una mente lucida potrà sembrare ridicolo il solo pensare di poter trasportare nel nostro mondo le descrizioni contenute in un libro; tantomeno, come è il nostro caso, poter ricavare qualcosa di concreto da un libro che apparentemente non esiste, uno pseudo libro, ma lo scopo di questa rubrica è proprio quello di analizzare tutte le ipotesi, prima di scartare quelle più assurde.
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