mercoledì 24 luglio 2013

La ricerca dell’immortalità

Di mummie ho già scritto in precedenza su questo blog, e se ci torno su nuovamente è perché trovo l’argomento molto interessante, e più prosaico, e meno orrorifico (o meramente orrorifico, se preferite) di quanto di primo acchito si possa pensare. Ora qualcuno storcerà il naso, forse. Se così fosse, spero di contribuire a farlo ricredere… complice un vecchio dossier sull’ormai scomparsa rivista "Hera" che mi ha dato l’idea di addentrarmi nel seguente excursus nel poco esplorato mondo delle mummie.
Se il binomio mummia/Egitto è ormai idea radicata, la mummia non è certo prerogativa unica di quell’area geografica, né di quella cultura o di quell’epoca. Ci sono mummie che invece di pochi millenni hanno solo pochi secoli, o pochi decenni… mummie su suolo europeo, o asiatico… mummie “religiose” e mummie “politiche”… Non c’è praticamente luogo al mondo che non abbia le sue mummie, perché la conservazione del corpo, in primis, non è che un tentativo di raggiungere simbolicamente l’immortalità, cosa che, prima ancora che appannaggio dei potenti (come i faraoni) era prerogativa di un’altra categoria di eletti, gli artisti, che con i loro versi o pitture immortali, eccetera eccetera, si assicuravano un posto duraturo nella memoria dei posteri, nella storia dell’umanità. Sto parlando di conservazione volontaria del corpo, ovviamente, e non di quei casi in cui le condizioni climatiche unite al caso hanno permesso ad un corpo di mantenersi integro, invece che deteriorarsi come natura vorrebbe.
Nella religione cattolica e ortodossa tuttora è uso comune conservare, esporre e venerare il corpo dei santi defunti, o parte di esso. Chi non ha mai visitato una chiesa o cattedrale e non ha visto, in un’apposita teca, un osso, una mandibola o un dito esposti al pubblico sguardo? Non è forse, questo, macabro come e più di un film dell’orrore? Forse esagero, o sbaglio, ma francamente il senso di tutto questo mi sfugge, non riesco veramente a comprendere che cos’abbia questo a che vedere con la spiritualità; anche se concordo sul fatto che la morte non dovrebbe essere un tabù, non mi pare che questo rito collettivo tipico del cristianesimo aiuti molto i cristiani a familiarizzare con la morte, né tantomeno ad accettarla.

In Oriente poi c’è anche di peggio, perché il terribile (benché affascinante, non lo nego) fenomeno dell’automummificazione è una realtà tipica del buddismo che viene perseguita a scopi mistico-religiosi. Non che tutti i monaci buddisti ci si dedichino, naturalmente, ma non è neanche così rara: l’automummificazione è, diciamo, la conseguenza di pratiche che possono durare degli anni, cui il monaco comincia a sottoporsi quando è ancora in vita per permettere la conservazione del proprio corpo dopo la morte, senza che lo stesso debba subire alcun trattamento esterno. Lo scopo è raggiungere la “buddità” nel proprio corpo, o nel Nirvana. Questo stato, definito Nikushin-Butsu, permette loro di dissolversi nel Nirvana senza dover attraversare il ciclo karmico delle nascite e delle morti: l’immortalità attraverso l’incorruttibilità. Il monaco si dedicava (dedica) a pratiche di meditazione, autocontrollo e sviluppo del legame mente-corpo sempre più ferree e ricorreva (ricorre) ad un rigoroso regime alimentare, dapprima disidratandosi allo scopo di diminuire i grassi e ridurre i batteri intestinali, poi astenendosi perfino dal cibo per lunghi periodi fino a smettere del tutto di mangiare; in questo modo il suo metabolismo rallentava, e quando infine era ridotto in fin di vita, spesso si faceva seppellire vivo in piccole grotte o cavità con appena un piccolo spiraglio per respirare, per poter trascorrere il tempo che gli restava in meditazione finché la morte infine non sopraggiungeva. A quel punto, similmente a quanto accade in Occidente con i santi, se la mummificazione si era compiuta (e per dovere di cronaca, ciò non sempre avveniva) i loro corpi venivano collocati nei templi e adorati come statue (è proprio vero che tutto il mondo è paese…). È indubbio che per far questo occorra una grande motivazione, oltre che una fortissima volontà.

In Giappone il sacerdote Kōbō Daishi, o Kukai (774-835), creò la cosiddetta disciplina dello Shingon, una delle sette del cosiddetto buddismo esoterico: la parola Shingon, che letteralmente significa “parola vera”, è la traduzione giapponese del termine sanscrito mantra. I suoi seguaci vissero per la maggior parte tra il XII e il XIX secolo; 19 corpi mummificati si trovano in templi situati tra le montagne sacre della prefettura di Yamagata, nella zona settentrionale dell’Honshu, l’isola principale del Giappone.
Un’altra setta a praticare l’automummificazione era lo Shugen-do, che portava in sé elementi derivati dallo sciamanesimo e i cui membri vivevano in rigoroso ascetismo tra le montagne.
Anche la Tailandia ha avuto casi famosi di automummificazione: nell’isola di Koh Samui, non lontano dalla rinomata spiaggia di Lamai Beach, sorge un tempio che ospita le spoglie del monaco Phra Khru Samathakittikun, morto nel 1973 a 79 anni. Il suo corpo è stato verificato e gli organi interni sono ancora intatti; mentre lì vicino, nel tempio di Wat Kiri Wongkaram, la mummia di un altro monaco mummificato è esposta da oltre 30 anni in un’urna di vetro.

I casi più eclatanti si sono però verificati in Tibet. A parte quello del monaco (seguace di Kukai) vissuto nella seconda metà del XV secolo chiamato Sangha Tenzin, ritrovato a Ghuen, un villaggio dell’Himachal Pradesh,  c’è il famosissimo caso del lama Khambo Dasha Dorjo Itighelov, guida spirituale della repubblica di Burazia fino al 1927. Prima di morire, il lama promise che il suo spirito sarebbe ritornato una volta che il buddismo avesse superato le persecuzioni dell’epoca comunista, e questo, tra lo sconcerto degli scettici, sembra essere puntualmente avvenuto nel 2002, come reso noto all’epoca anche da numerosi giornali. Ma andiamo con ordine. Dalla morte di Khambo Itighelov ogni anno, in occasione delle festività religiose, i fedeli si recano in pellegrinaggio persino dai villaggi più remoti della Cina e della Russia presso il monastero di Ivolghinskij ad Ulan-Ude, dove si trovano le sue spoglie, per rendergli omaggio. Si crede che in lui si sia reincarnato il primo capo della chiesa buddista, Pandito Khambo, lama Zajaev, che morì nel 1777 a 75 anni e promise di ritornare dopo altri 75 anni, nel 1852: l’anno di nascita, appunto, del lama Khambo Itighelov. A sua volta, Khambo Itighelov visse 75 anni e promise di ritornare dopo altri 75. Il suo corpo, che era stato semplicemente inumato nella terra, avvolto in un lenzuolo e cosparso di sale, fu esumato 30 anni dopo ed appariva intatto: per questo non fu cremato, ma conservato. Dopodiché, nel 2002, a 75 anni esatti dalla sua morte, la scienza ha confermato quello che i fedeli già sapevano: il corpo non presentava segni di corruzione, la mummia, che precedentemente pesava 37 chili, ne pesava circa 42, e da altri esami effettuati i suoi tessuti ed organi interni risultavano talmente ben conservati da essere praticamente indistinguibili da quelli di una persona vivente. Sembrerebbe proprio un caso di morte apparente, e non fu possibile identificare nessun processo o fattore noto che potesse averla causata, finché su richiesta dei monaci ogni altro esame fu sospeso, se non per sempre per molto, molto tempo; i fedeli difatti sono convinti che il lama non sia morto, ma si trovi in uno stato di profonda meditazione, un livello di astrazione dal corpo descritto nel 1400 dal famoso lama Bogdo Zonkhavy.

Fin qui abbiamo esplorato l’aspetto se vogliamo più nobile della mummificazione, quello legato alla sfera religiosa e spirituale, ma che dire di quei casi in cui la pratica è stata utilizzata esclusivamente per fini politici, nell’ambito di un culto della personalità che certamente non giovava ai cari estinti, ma piuttosto alla “causa” (qualunque essa fosse), o piuttosto ai loro successori?
La mummia politica per antonomasia è quella di Lenin, il padre della rivoluzione russa, e la sua mummificazione la si deve ad un’abile mossa politica di Stalin, il suo successore. Stalin capì ben presto che, per cementare il suo labile consenso in un difficile momento di radicale ridefinizione della società russa, doveva presentarsi come il legittimo erede di Lenin (benché segretamente si opponesse invece alle sue idee), e lo fece facendo di Lenin un’icona, una reliquia sacra che accendeva l’animo dei patrioti, e non solo. Il successo di quest’operazione per Stalin fu solo estemporaneo, ma la fama di Lenin resiste, e anche oggi che il comunismo è tramontato e il muro di Berlino è caduto la mummia di Lenin, simbolo storico intramontabile, è ancora esposta nel Mausoleo della Piazza Rossa. Oltre a Lenin, furono molti i leader politici a subire un processo di mummificazione dopo la morte: Mao Tse-Tung in Cina, Ho Chi Minh in Vietnam, Kin II Sung in Corea del Nord, ecc.ecc. Analoga sorte, in Italia, ebbero le spoglie di Garibaldi e di Mazzini, gli eroi dell’Unità d’Italia – che pure non coltivarono mai il culto della personalità e certamente non avrebbero gradito una tale pratica…
La ricerca dell’immortalità è così tipicamente umana, così comune, così… patetica, che è impossibile darne un giudizio obiettivo. O severo. Tutti, in un modo o nell’altro, cercano di lasciare il proprio segno nel mondo.
In più pazzi (e i più ricchi) pagano profumatamente per far ibernare il proprio corpo una volta morti, nella speranza che in futuro la medicina abbia fatto progressi tali da farli letteralmente rinascere. In America società che offrono questo servizio nascono come funghi, ma nessuna di esse può garantire ai propri clienti il felice esito della prova che accade ai (fortunati?) protagonisti di “Le meraviglie del 2000”  (interessante romanzo fantascientifico di Emilio Salgari che, se non avete letto, vi consiglio di recuperare).
Quelli che hanno i piedi per terra (o semplicemente non hanno molti soldi da buttare) scelgono di riprodursi, insomma di fare figli: che cos’è questo, in fondo, se non un tentativo inconscio di rendersi immortali tramite la perpetuazione dei propri geni? Io che non ho figli ho lo stesso il mio bambino, la mia creatura: è il mio blog, il mio tentativo di lasciare un’impronta di me stesso, anche minima.
Il futurologo Ian Pearson, e come lui molti altri, sostiene che in futuro in futuro la vita diventerà nient'altro che un'altra forma di tecnologia, che l’umanità potrebbe sviluppare collegamenti tali tra la tecnologia informatica e il cervello umano da permettere a quest’ultimo,  letteralmente, di downloadarsi nel cyberspazio, generando così una coscienza globale. Che dite, è preferibile questo all’automummificazione, o no?

14 commenti:

  1. Un articolo insolito, ma molto interessante. Non conoscevo la pratica dell'automummificazione di cui parli, ma mi consola sapere che l'idea di venerare un corpo morto (cosa che mi ha sempre fatto ribrezzo) non sia una tara del mondo cristiano. Infatti ho sempre ritenuto non solo di pessimo gusto, ma anche materia di corruzione e mercimoni l'adorazione delle reliquie di santi o presunti tali, tant'è che una delle novelle del Decameron che preferisco è quella di Frate Cipolla! Quanto all'Egitto, invece, ho sempre avuto un'impressione diversa della percezione del culto dei morti: non tanto la mummia e la sepoltura come mezzi di apoteosi e adorazione, quanto come strumenti in grado di traghettare materialmente il defunto nell'aldilà. Ovviamente, però, sono solo percezioni. :)

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    1. Non è una tara esclusiva del mondo cristiano, questo è vero, ma diciamo pure che quest'ultimo ha molto da insegnare in questo senso alle altre confessioni. Per quanto riguarda le mummie egizie, mi sarebbe piaciuto parlarne un attimino di più ma temevo di finire per dilungarmi oltremisura.

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  2. Anch'io ho sempre provato ribrezzo per la pratica di esporre cadaveri "sacri". Le reliquie, poi, le trovo un'aberrazione. Quando entro in chiese celebri in cui sono esposti cadaveri e frammenti di essi, evito accuratamente gli altari in questione.
    Presumo che la mummificazione, come suggerisci nel tuo articolo, sia una sublimazione del desiderio di immortalità, per se stessi o per gli altri.

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    1. Senza contare tutti i chiodi della Croce "miracolosamente" ritrovati. Sembra quasi una forma di feticismo...

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    2. Chiodi ce ne saranno in giro centinaia! Cosa non si fa per attirare qualche pecorella in più all'ovile...

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  3. Il prepuzio di Cristo no, eh dai... Ma come si fa!

    Articolo davvero interessante. Per quanto mi riguarda, le mummie hanno sempre suscitato in me sensazioni contrastanti: da una parte il fascino di percepire un briciolo dell'essenza vitale prima presente nel corpo del defunto, dall'altra il senso di disagio provato nell'osservare il volto di qualcuno che non è più di questo mondo.

    Provo a immaginare di essere mummificata e di subire le occhiate di gente sconosciuta che mi scruta e indaga, violando il mio corpo e la mia intimità. Sono morta, d'accordo, ma il mio cadavere è pur sempre parte di ciò che sono stata e non mi piace che venga posto alla mercé di tutti...

    E' come se un corpo mummificato trasmettesse ancora una parte di quell'energia cosmica che lo pervadeva, come se rimanesse attaccato al mondo terreno tramite un filo invisibile. Inquietante, innaturale.
    Mi chiedo cosa ne pensi l'anima, patto che permanga e aleggi nei dintorni anche dopo la morte.

    Giuliana

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    1. Ciao e benvenuta sul blog! L'anima? Spero davvero abbia di meglio da fare che aleggiare attorno a quel che resta del corpo. Sarebbe l'equivalente di una dannazione eterna. Mi auguro che la morte porti a un diverso stato dell'esistenza, cosicché tutte le cose materiali appartenenti alla vita possano perdere dei significato. Se così fosse non mi importerebbe che i miei resti venissero osservati (e in qualche modo violati) da sconosciuti. Anzi, mi farebbe più male venire osservato dai miei cari, in quella orrenda versione "cartonata" del mio ex-corpo.

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  4. Il "fisico" Frank J. Tipler, nel tentativo di dare un fondamento scientifico alla dottrina cristiana* ipotizzò che la resurrezione potesse intendersi come la sopravvivenza sul supporto informatico delle nostre menti.
    Tornando alle mummie, anch'io le associo all'antico Egitto. C'è da dire, però, che se è vero che i santi cristiani venivano conservati, interi o a pezzetti, mi vengono in mente i monarchi di Francia, i cui cuori sono conservati a Saint Denis. Non è un'usanza simile a quella dei vasi canopi? Credo che anche i cuori degli Asburgo siano tenuti da qualche parte, forse nella Cripta dei Cappuccini a Vienna. Ecco, più che alle generalità del defunto guarderei allo scopo di queste tecniche. Nel caso dei santi, sembra quello di esporlo per la venerazione dei fedeli - e non mi sembra così diverso da quanto fece Stalin. Nel caso dei Faraoni e dei cuori dei regnanti, invece, lo capisco di meno. I Faraoni erigevano tombe monumentali, ma i corpi erano destinati a essere seppelliti per l'eternità, non potendo prevedere l'arrivo dei cercatori di tesori e di reperti archeologici. Quanto ai cuori... che qualcuno si aggirasse tra di essi, magari un sovrano appena incoronato e in cerca della saggezza di chi l'ha preceduto?
    Sto solo fantasticando.
    E ora ho voglia di rivedere La Mummia!

    ______
    *
    In realtà, alla teoria del Punto Omega. In un momento di follia ho ordinato il libro di Tipler, che mi aspetta da un paio d'anni.
    È tutta colpa di Dan Simmons! :P

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    1. Mi è appena tornato in mente perché i Faraoni si facevano mummificare. Mica c'era anche per loro la credenza che il corpo dovesse essere integro per affrontare il viaggio nell'oltretomba?

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    2. Esatto. Il corpo del faraone doveva giungere incorrotto al cospetto di Osiride per essere giudicato ed eventualmente lasciato passare allo stato successivo dell'esistenza. Lo scopo di estrarre gli organi interni e riporli nei vasi canopi non avveniva però in una logica di conservazione degli stessi: semplicemente si estraevano quelle parti la cui presenza avrebbe potuto accelerare il processo di putrefazione (che, viste le temperature tipiche dell'Egitto, sarebbe stata estremamente rapida).

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  5. Vi sono molte culture, questo ci fa capire che da sempre l'uomo ha tentato di ingannare la morte, rincorrendo il mito dell'immortalità, sai qual'è il vero problema? Che potrebbe veramente raggiungerlo in qualche modo, ma che tipo di uomini saranno gli immortali del futuro?
    Uomini-robot, replicanti, androidi?
    Per quanto la morte, non sia il massimo, un certo tipo di immortalità, mi fa maggiormente paura...
    Chissà
    Angie Ginev

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    1. Semmai la tecnologia dovesse un giorno permettere una forma di immortalità, essa sarà solo per pochi eletti. Lasciamola pure a loro.

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  6. Un post davvero molto interessante e inquietante.

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