lunedì 20 febbraio 2017

Outbox (Pt.2)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Ti hanno già spiegato cosa fare? – mi chiese. – Speravo me lo dicessi tu. – risposi prontamente. Rimase un attimo in silenzio come per soppesare la mia risposta, poi mi prese sottobraccio e mi guidò pochi passi più in là. Vedi? – mi disse indicando un grosso carrello con le ruote entro il quale erano ammucchiati centinaia di buste e pacchi postali. – Questa è la corrispondenza che bisogna evadere. Non c’è molto che devi sapere. Semplicemente guarda cosa fanno gli altri ragazzi e fai lo stesso. Tutto qui.
Il tizio che rispondeva al nome di Charon si dileguò immediatamente. Ad ogni modo ciò, che mi aveva detto per il momento mi bastava. Pareva facile. Si avvicinò un tizio, prese una busta dal carrello e si allontanò. Feci lo stesso. Afferrai una busta, la soppesai e gettai l’occhio all’indirizzo del mittente e a quello del destinatario. Nulla di interessante, ovviamente. Che mi aspettavo? Sollevai gli occhi che il tizio aveva già svoltato per uno dei corridoi a sinistra. Merda! – pensai, e senza esitare ulteriormente mi gettai al suo inseguimento. Il tizio era velocissimo. Facevo davvero fatica a stargli dietro in quel labirinto di scaffali. A terra, posizionati alla base di quegli altissimi mostri metallici, giacevano abbandonati migliaia di contenitori zeppi fino all’orlo di buste, lettere, cartoline, pacchi postali. Molto del loro contenuto era traboccato per terra, alla mercé di chiunque. Il bianco originale delle buste sparse a terra era già stato più volte violato da impronte di scarpe. Non era quello il momento di preoccuparmene, però.
Svolta a destra, svolta a sinistra, quel tizio sembrava avere il peperoncino nelle mutande. No, anzi, sembrava quasi fosse sua intenzione quella di seminarmi, visto che apparentemente il suo percorso sembrava riportarci sui nostri passi di continuo. Fu un’esperienza straniante. Scaffali altissimi pieni di dio solo sa che cosa incombevano su di me minacciosi, sembrava quasi che volessero crollarmi addosso e seppellirmi sotto il loro peso. E io non potevo far altro che mantenere il passo, fuggire via da quella situazione che però si ripeteva all’infinito. Quel luogo sembrava non avere confini. Se mi affacciavo all’inizio di un corridoio non riuscivo quasi a vederne la fine. Mille varchi consentivano però alla mia preda di saltare di continuo da un corridoio all’altro. Sembrava, la nostra, una corsa a ostacoli, considerato anche ciò che era sparso a terra. Ormai c’ero dentro fino al collo. Se lo avessi perso di vista, non solo avrei mancato nell’espletamento delle mie funzioni, ma probabilmente non sarei nemmeno più stato capace di tornare indietro, verso l’uscita, verso la salvezza.
Finalmente uno spiazzo, finalmente quell’assurdo esercito di scaffali aveva ceduto il passo a qualcosa di più simile a un oggetto appartenente al mondo normale. Una piccola scrivania ad angolo con una vecchia signora intenta a sorridere al mio bersaglio. Era da lei che dovevo andare, proprio come il mio amico velocista aveva appena fatto - e già si congedava.
Mi avvicinai e le porsi la busta nella speranza che sapesse lei il da farsi. La donna sembrava sfiorare i settanta, uno stereotipo vivente con gli occhiali dalla montatura d’argento appesi a una catenella e i capelli troppo biondi per essere naturali. Afferrò la busta, se la rigirò per qualche attimo fra le mani, quindi afferrò un timbro e glielo appose sopra. Alzò lo sguardo, mi sorrise e mi restituì l’oggetto.
Osservai attentamente quanto era appena successo. Un timbro postale aveva arricchito una busta già piena zeppa di timbri precedenti. Me ne accorgevo solo in quel momento. Provai ad analizzare quei timbri, concentrandomi sulle date. Diavolo, ce n’erano di vecchissimi! Il più vecchio che riuscii a identificare risaliva al 12 maggio 1970. Voleva forse dire che quella busta già da mezzo secolo girava a vuoto senza mai riuscire a raggiungere la sua destinazione?
Posai il mio sguardo perplesso sulla persona che avevo davanti, la quale mi fece solo un rapido cenno con la mano. Non capivo il significato di quel gesto, se volesse dirmi di togliere il disturbo oppure indicarmi la direzione alle mie spalle verso la quale dovevo procedere. Decisi che erano possibili tutte e due le opzioni. Mi voltai e presi il corridoio dietro di me. Avevo ormai perso di vista il tizio di prima, per cui non mi restava che affidarmi alla fortuna. Ovviamente, non ne ebbi.
CONTINUA

Immagine dal film "Delitti e segreti" (Kafka, 1991), di Steven Soderbergh, ispirato alla vita di Franz Kafka.

15 commenti:

  1. Wow: posta inevasa... che nasconderà qualcosa?
    Non so, da te mi aspetto tipo un archivio alla Inferni di Dylan Dog :)

    Moz-

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    1. La realtà è già abbastanza infernale senza dover scomodare l'investigatore dell'incubo....

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    2. Più di recente è uscito un albo su Dylan che lavorava in un ufficio infernale della Ghost Enterprises.

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    3. Sono anni ormai che non leggo un Dylan... :(

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    4. Tranquillo... non ti perdi molto...

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  2. Ha effettivamente elementi kafkiani. A questo punto devo ripetermi: mi raccomando, non farci aspettare troppo per il seguito ;-)

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    1. Tranquillo. La terza e ultima parte è programmata mercoledì in serata.

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  3. Ottimo racconto, per ora. Concordo con Moz sul Wow! e con Ariano sul Kafkiano (che rima di classe, eh?).

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    1. È quel "per ora" che mi preoccupa... Spero che la chiusura sia degna.

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  4. Si. Finora è un racconto molto kafkiano. Molto bello il particolare dei corridoi immensi.
    Ben fatto finora!

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  5. Volevo dire la stessa cosa di chi mi ha preceduto: adesso l'anima kafkiana comincia a emergere... sono curiosa e corro a leggere la puntata 3 che è già in onda! :)

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  6. Crudele col tuo personaggio! XD Situazioni claustrofobiche e nonsense; tutti citano Kafka, io, che sono in fase pop XD, ricordo un episodio di Asterix alle prese con la burocrazia [Lasciapassare A38, per trovare il video su Youtube]! :D

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    1. Ah sì, me lo ricordo bene quell'episodio di Asterix. L'ho visto che ero bambino o poco più ma non me lo sono mai dimenticato.

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