martedì 17 maggio 2011

A Devilish Murder

Un uomo di nome Shi-mak visita una galleria d’arte per vedere una mostra, ma quando arriva trova i muri vuoti e gli spazi deserti. Un custode di passaggio lo informa che la mostra è finita, ma in quel momento scorge un singolo dipinto a olio, appeso a un muro d’angolo. Si ferma di colpo: è il ritratto della moglie morta.

Con questo agghiacciante incipit veniamo introdotti da Yongmin Lee, considerato giustamente il più importante regista horror del cinema coreano degli anni Sessanta, nel film capolavoro “A Devilish Murder”, anche conosciuto con il titolo di “A Bloodthirsty Killer”, il cui titolo originale è “Salinma” (살인마)

Il modello è quello classico del cinema horror coreano (ma anche del cinema asiatico in generale): la storia di una donna ingannata, tradita e uccisa che torna come fantasma a esigere la propria vendetta.

“ A Devilish Murder” è decisamente avanti rispetto ai suoi contemporanei. Sebbene realizzato con mezzi tecnici limitati (il film, va precisato, è del 1963), appaiono evidenti tutte le sue potenzialità. Diciamo che è stato in grado di anticipare e influenzare tutti gli horror successivi che sarebbero giunti a noi cavalcando l’onda del successo dei K-Horror e del J-Horror, quali, per citare i più famosi, le saghe di "Ring" (リング Ringu), di "Grudge" (呪怨 Juon) o dei "Whispering Corridors" (여고괴담, Yeogogoedam), giusto per restare in Korea.
Il pubblico al quale il film era rivolto era sicuramente più impressionabile degli appassionati smaliziati del genere horror dei nostri giorni, e probabilmente erano terrorizzati dalle svolte inaspettate della trama. Gli spettatori di oggi lo vedranno in un modo completamente diverso, ma il film resta una fonte di meraviglia e stupore: è uno degli horror coreani più originali mai realizzati.

Singolare la presenza in un film koreano dei una creatura soprannaturale che appartiene alla mitologia giapponese, il bakeneko (化け猫 "gatto mostruoso"). Il bakeneko è uno yokai che ha l'aspetto di un comune gatto ma di dimensioni molto maggiori, che ha la capacità di camminare sulle zampe posteriori, e di assumere sembianze umane (spesso mantenendo tratti felini).
La tradizione afferma che i bakeneko altro non sono che comuni gatti le cui capacità metamorfiche derivano dal forte legame che essi avevano coi propri padroni, quando questi ultimi erano in vita. E’ esattamente questo il tema del film “ A Devilish Murder”:  la protagonista, il personaggio della ex-moglie Ae-ja ritornerà alla ricerca di vendetta grazie al suo fedele gatto che le fu vicino fino alla morte (e oltre la morte di Ae-ja, considerato che sopravvisse cibandosi delle carni della sua amata padrona, murata viva) e, grazie ad esso, cercherà di colpire i colpevoli e di rivelare la verità agli innocenti.

Un altra versione della leggenda sostiene che un gatto si trasformerebbe in un bakeneko dopo avre trascorso almeno tredici anni nella stassa abitazione. Un ulteriore versione ritiene la trasformazione sia legata al peso: avverrebbe una volta che il gatto supera 1 kanme (circa 3.75 kg). Entrambe queste ultime due ipotesi sono opinabili, visto che io personalmente ho avuto gatti ben più anziani e ben più pesanti. Un racconto popolare giapponese narra che, durante un corteo funebre, apparve un mostro d'aspetto felino che, scendendo dal cielo, trafugò il cadavere per poi sparire con esso. In seguito si scoprì che era il gatto appartenuto al defunto che si era trasformato in bakeneko. Potrebbe basarsi su questo fatto l'abitudine popolare di non far uscire di casa o di rinchiudere in apposite gabbie i gatti il cui padrone sia morto recentemente.
Un altro racconto che ha come protagonista un bakeneko narra la storia di un uomo, di nome Takasu Genbei, il cui vecchio gatto un giorno scomparve improvvisamente. Nello stesso periodo la madre dell'uomo cambiò completamente carattere, diventando schiva e scontrosa al punto da consumare i suoi pasti sempre da sola rinchiusa nella propria stanza. Quando i famigliari, preoccupati, decisero di spiarla, non videro un essere umano ma un mostro dalle sembianze feline che mangiava su una carcassa animale. Ripugnato, Takasu decise allora di uccidere la creatura dalle sembianze di sua madre, che, trascorso un giorno, riprese l'aspetto del vecchio gatto di cui non aveva più notizie. Successivamente, sotto al tatami della stanza furono ritrovate le ossa sbiancate dell'anziana donna.

6 commenti:

  1. Non conoscevo l'esistenza del bakeneko e pensare che il mo gatto corrisponde a ben 3 bakeneko!

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    1. Addirittura tre? Deve essere un bel peperino di gatto il tuo....

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  2. Che storia interessante, non conoscevo niente del genere. Eh eh, in effetti se si dovesse guardare il peso, credo ci sarebbero più bakeneki che gatti normali!
    Questa storia del gatto murato ricorda un po' Poe?

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    1. Quello è perché noi i gatti oggi li rimpinziamo di crocchette... poi ci sono casi particolari come quello della mia gatta che non arriva ai due chili e mezzo... ma lì è solo perché non sta tanto bene. Ricorda Poe? Mah, non mi pare... il gatto di Poe era maligno, ma solo per colui che ne aveva fatto le spese.

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    2. Sì, ma il fatto che la moglie venisse murata e con lei un gatto. Poi certo, magari il gatto in sé è diverso nelle due trame.

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    3. Poe è universale e, anche se la cultura orientale è molto diversa dalla nostra, non mi stupirebbe se si scoprissero contaminazioni. In fondo Edogawa Ranpo non fece mai un mistero della sua fonte ispiratrice...

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