lunedì 9 gennaio 2012

Ciao Patato

Chi avrebbe mai detto che ti avremmo amato così tanto? Quando ti abbiamo visto per la prima volta al gattile, nell'estate di quattro anni fa, dove qualcuno ti aveva abbandonato, ci siamo piaciuti subito. Noi ci siamo avvicinati alla tua gabbietta e tu subito ci sei venuto incontro crogiolando e scodinzolando. Non ci saremmo più lasciati. Non sarebbe passato giorno senza di te. Ti abbiamo portato a casa. All'inizio eri un po' titubante, ma ci hai messo non più di dieci minuti a realizzare che non stavi sognando, che finalmente avevi una nuova casa, come ti meritavi. E così hai cominciato a miagolare felice, strusciandoti freneticamente un po' contro il tuo nuovo papà, un po' contro la tua nuova mamma. Ricordi? Quella stessa notte già dormivi nel nostro letto, tutto bello pacifico.

Ti abbiamo lasciato il nome che già qualcun altro ti aveva dato: ELVIS. Poi quel nome l'avremmo storpiato in mille affettuosi diminutivi: Elvino, Eino, Ino (per non parlare delle tante rime con la lettera E), così forse ad un certo punto ti abbiamo confuso, ma tu capivi sempre quando ci rivolgevamo a te. Ti chiamavamo anche Patato, Tato e, siccome eri anche bello grosso, un giorno ti abbiamo chiamato anche Tato Grosso.

Il primo giorno già ci cercavi, avevi voglia di coccole e, quasi senza che ce ne accorgessimo, finivi per zomparci continuamente in braccio. Quante sere trascorse sul divano con te ronfante sulle ginocchia. Quanto male alle articolazioni, schiacciate dal peso di cosittanto micio, ma allo stesso tempo quanta gioia nell'averti lì. Se della mamma preferivi le cosce, del tuo papà preferivi il petto. Ti sdraiavi sopra col musetto a pochi centimetri dal viso del tuo papà. Per qualche minuto pigiavi freneticamente con le zampine, poi ti mettevi comodo e ti addormentavi, spesso stringendoci un dito con la tua zampina e versandoci addosso litri di incontrollato bavino. Il codino era sempre in movimento (e che frustate!). Mentre il tuo papà e la tua mamma la sera spadellavano, te ne stavi sdraiato sopra il calorifero in cameretta (uno dei tuoi “Porta-Elvis” preferiti) e poi arrivavi di corsa quando si spegnevano le luci in salotto. Solo che a volte non si spegnevano e tu, non accorgendoti che era arrivato il “tuo momento”, te ne stavi di là da solo più del necessario. Quante notti trascorse con te addosso, sdraiato sulle braccia a mo di laccio emostatico peloso, oppure in mezzo alle gambe, costringendo così i tuoi genitori a dormire in posizioni impossibili, pur di non disturbare la tua quiete. Arrivavi saltandoci addosso di peso. E che peso! D'inverno tu eri particolarmente freddoloso così, la notte, traslocavi sotto le coperte, contribuendo attivamente a riscaldare l'ambiente, con tutti quei grassini meravigliosi. Quando eri scaldottoso, mio bel tatone! Una piccola stufetta vibrissosa. Non che d’estate tu ti tirassi indietro. Anche quando c’erano trenta gradi ti venivi sempre ad appiccicare addosso e così, a volte, finivi per essere lanciato nell’iperspazio. Che voli, povero amore.

Eri triste quando la mattina uscivamo di casa per andare in ufficio, ma quando rientravamo iniziava la festa. Ci salutavi con il tuo solito siparietto vicino al grattatoio, ormai semidistrutto, e poi ci inseguivi avido di crocchette e di amore. Eri sempre appiccicato. Ormai ci eravamo abituarti ad averti sulle ginocchia anche in bagno, nell'adempimento dei nostri bisogni. Qualche volta ti sgridavamo, ma il più delle volte ti tenevamo volentieri. A proposito di bagno.. come non ricordare le tue performance con la lettiera? Non c'era modo di tenere la sabbietta dentro. Tutte le sere sembrava di essere su una spiaggia di Copacabana. E poi che dire delle tue pisciate alla bersagliera? Meno male che c'era la tua mamma che puliva senza (quasi) mai lamentarsi. E poi, ti ricordi? La mattina io e te ci alzavamo per primi e per prima cosa andavamo in bagno. Io facevo la pipì e tu, a pochi passi da me, facevi lo stesso. Ricopione! Il bidè poi era una delle tue tappe preferite: quando avevi sete bevevi solo da lì. Con il tuo papà avevi diverse cose in comune, una delle più evidenti era la cosiddetta “vista della savana”, come amava sottolineare la tua mamma. E poi c’è la famosa leggenda legata al mantello. Tu, caratterialmente un po’ più “porrrco” (con la erre arrotolata), avresti dovuto nascere rosa; il tuo papà, sotto certi aspetti più “mucca”, avrebbe dovuto essere bianco pezzato. Da qui la leggenda secondo la quale, anni prima, tu ed il tuo papà vi sareste scambiati i mantelli.

Eri ancora più triste quando d’estate il tuo papà e la tua mamma andavano in vacanza. Ti portavamo in pensione dalla stessa signora che ci aveva fatto incontrare qualche anno fa. Almeno, pensavamo, già la conosce e sarà meno duro il distacco. Ovviamente per te non era così. Ti arrabbiavi molto quando ti portavamo dalla signora. Quando telefonavamo per sapere come stavi, ci diceva che avevi il muso. Povero patato. Ma che feste poi quando venivamo a riprenderti due settimane più tardi. Ci correvi incontro felice e ci saltavi in braccio. Era il momento più bello.

Il giorno che è arrivata la tua sorellina, per un po' ci hai tenuto il muso. Poi ti ci sei affezionato e hai imparato a volerle bene. Almeno non saresti stato più a casa da solo durante il giorno. C'è da dire che ad un certo punto siete diventati una vera associazione a delinquere (di stampo micioso). Quante marachelle ai danni dei vostri genitori! Come per esempio quando vi divertivate a zampettare sul bagnato mentre stavamo lavando a terra, o quando, tu soprattutto, mi passavi apposta sopra le briciole appena spazzate (e ti ci sedevi pure sopra). Tra i due tu eri quello che, avvantaggiato dalla mole, finiva sempre per macignarla con male, ma era lei che quella che ti rompeva di più le palle, a te che piaceva ronfare al punto che eri praticamente sempre in posizione orizzontale.
I momenti che apprezzavi di meno? Il lavotto serale e il taglio delle unghie. Meno male che avevi trovato un posto segreto dove nasconderti. Adesso però te lo posso dire: il tuo posto segreto non era poi così segreto.

Nei giorni d’estate ti piaceva uscire sul terrazzo e spesso scendere in giardino dove amavi rotolarti nell’erba. Ma il grosso ostacolo era la zanzariera. Avevi sempre bisogno che qualcuno ti aiutasse a scostarla per poter entrare e uscire. E così ti mettevi seduto dietro la zanzariera e, pazientemente, mettendo in mostra uno sguardo il più possibile patetico, attendevi che qualcuno ti notasse. Quante ore avrai passato dietro la zanzariera in tutta la tua vita? Centinaia di sicuro. Con gli altri mici avevi un rapporto strano. Li odiavi tutti (tranne tua sorella, ovviamente). Quando un micio del vicinato faceva la sua apparizione sul nostro terrazzo cominciavi ad innervosirti e, da dietro la zanzariera, li “grudgiavi”. Ricordi? Poi magari uscivi e gli ringhiavi contro. Azzuffarti mai. Non l’hai mai fatto. I mici fuori avevano comunque imparato a temerti, nonostante tu fondamentalmente fossi tutt’altro che un cuor di leone (sobbalzavi sempre ad ogni piccolo rumore). Quando ci facevi arrabbiare ti minacciavamo di scambiarti con uno dei mici fuori, sicuramente più gentili e garbati. Ma naturalmente non era vero. Ci piaceva tutto di te, il tuo pelo bianco pezzato, che trovavamo un po’ dappertutto, le tua ciglia lunghissime, il tuo aspetto da “panda” o da “procione”, il vocino sottile in netto contrasto con la tua mole, il tuo testone grande e piatto (che mi sa che abbiamo appiattito noi a furia di baci)… e che dire poi di quando ci alzavi il gambino? Con gli umani invece andavi molto d’accordo. Ti prostituivi con chiunque entrasse in casa. Non solo con amici e parenti: ti buttavi addosso crogiolante anche all’idraulico o al tizio che era venuto a consegnarci la lavatrice. Un rapporto strano lo avevi anche con la vicina, o meglio con lo zerbino della vicina, sul quale ti facevi le unghie furiosamente. Sai che ti dico? Lo zerbino della vicina l’ho sempre odiato anch’io.

La salute purtroppo non è mai stata dalla tua parte. Ti abbiamo preso che eri FELV positivo, la terza palpebra perenne e i reni malmessi. Povero tato. Eri costretto a mangiare il cibo renale che a te faceva schifo, ma d’altra parte quello era l’unico cibo che a te non avrebbe fatto male. Paradossalmente invece il cibo renale a tua sorella piaceva molto. Com’è strana la vita. Un paio d’anni fa ti venne una brutta stomatite. Per un po’ ti abbiamo dato gli omogeneizzati, sparati in bocca con una siringa. Poi ti abbiamo portato fino a Torino per farti curare. Ti ricordi? Per renderti meno traumatico il viaggio in macchina ti avevamo preparato un accrocchio che metteva in comunicazione la tua gabbietta con la lettiera. L’unica cosa che non avevamo tenuto in conto era l’odore che avresti potuto produrre in caso di cagotto improvviso. E così è stato, povero tato. A Torino c’era una dottoressa specializzata in questo tipo di malattie che ti ha risolto il problema. Il brutto è che, per risolverlo, ti sono stati tolti tutti i denti. Ma una volta fatto eri felice. Finalmente ti era tornato il piacere di mangiare. E anche noi eravamo felici. L’assistente della dottoressa, ricordo, ci disse: “che bel micio, una volta addormentato, lo si potrà abusare a piacimento”. Che gelosia! Il tuo rapporto con i veterinari non è mai stato molto bello. I dottori del centro veterinario dove ti portavamo avevano ormai imparato a temerti. Eri una tigre. Ti difendevi con le unghie e con i denti. Era praticamente impossibile avvicinarti, nemmeno usando i guanti da falconiere. Per farti un semplice esame dovevano prima sedarti. Con noi invece eri l’opposto. TI facevi fare di tutto, anche le punture. E sei stato una tigre fino all’ultimo, quando i tuoi reni, ormai provati, ti hanno tradito. Hai smesso di muovere il codino alle cinque del pomeriggio di lunedì 9 gennaio 2012, a soli 8 anni di età. Troppo pochi per un micio così meraviglioso. Il tuo papà e la tua mamma sono devastati dal dolore. La casa ora è vuota senza di te. La vita stessa ha meno significato. Anche tua sorella è triste. Ti voleva tanto bene, così come ti volevano bene tutti quelli che ti hanno conosciuto. Ci manchi, Elvis. Ci manchi proprio tanto, piccolino. Sarai sempre il nostro tato. Non ti dimenticheremo mai.

3 commenti:

  1. Ci sono cose che accomunano gli esseri umani senza che si conoscano, una di queste è il dolore per la perdita di qualcuno che amiamo. Ognuno di noi lo vive in modo diverso, ma tutti lo viviamo. Non so chi sei, vengo dal blog di Salomon Xeno, magari non ti parlerò mai e non tornerò mai su questo blog (chissà!), ma ora che sono qui ti sento vicina come un'amica conosciuta da sempre. Un abbraccio virtuale non può fare niente, ma te lo voglio regalare comunque! Purtroppo so come ti senti...

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    1. Beh.. non so cosa dire. Grazie per le stupende parole. Sono commosso. Grazie Grazie Grazie! E' bello sapere che comunque vada non si è mai soli...

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    2. Sono passati tre mesi dal mio commento precedente e sono ancora tra le tue pagine (direi che il mio "chissà" è stato quasi profetico). Ora ti conosco un po' meglio (per esempio so che non sei una ragazzina ma un uomo), ma questo non cambia la mia vicinanza emotiva per questa triste storia. Certi dolori non passano mai e ci avvicinano.
      Comincio a credere che l'amore per i gatti sia qualcosa che rende simili tra loro le persone capaci di provarlo autenticamente. Quasi come se ci mettesse tutti sulla stessa lunghezza d'onda.

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