venerdì 22 giugno 2012

Rogue Moon

Partire è un po’ come morire, si dice. E se questo è vero, è tanto più vero per i protagonisti-antagonisti di “Rogue Moon” (“Il satellite proibito”), romanzo dello scrittore Algis Budrys, finalista agli Hugo Awards nel 1961, che fu pubblicato in Italia nel nr. 29 della collana “Futuro” e nel nr. 174 della collana “Classici Urania”.

Non solo solito scrivere di fantascienza su questo blog. Anzi, a dire la verità non sono solito scrivere di letteratura (anche se ho avuto la pretesa di millantarlo là in alto, nel sottotitolo del blog). Beh no, in realtà qualche volta l’ho fatto, ma sicuramente non in maniera sistematica e, come salta evidentemente agli occhi di chi mi legge, in maniera tutt’altro che professionale rispetto a tanti altri blog tematici che ho visitato ultimamente. Proprio a causa delle mie recenti frequentazioni in tali blog, mi è salito l’irresistibile desiderio di recensire qualcosa. Oddio, forse recensire non è proprio il termine adatto. Diciamo piuttosto blaterare qualcosa a proposito di un libro. Un libro che tra l’altro non ho nemmeno letto di recente ma al quale, per una di quelle ragioni inspiegabili, non ho mai smesso di pensare.
Non so se userei la parola capolavoro per questo romanzo, ma posso dirvi che è stato capace di toccare delle corde dentro di me che altre opere, ben più blasonate, non sono riuscite a raggiungere. E’ singolare che ci sia riuscito un romanzo di fantascienza, genere troppo spesso un po’ sottovalutato.

In un tempo in cui l’uomo è riuscito a viaggiare nello spazio tramite una sorta di teletrasporto, sulla luna viene scoperta una struttura, un vero e proprio labirinto non si sa se naturale o artificiale, meccanico o in qualche modo addirittura senziente. Il Dott. Edward Hawks ha il compito di esplorarla per conto della US Navy usando i laboratori di una ipertecnologica azienda privata. Ovviamente il progetto è top secret e ci si affida a volontari, che però vengono uccisi uno dopo l’altro da trappole disseminate all’interno della struttura; perché la struttura ha delle regole incomprensibili per l’uomo e violarle provoca la morte. Avete visto il film “The Cube”? Ecco.

“Rogue Moon” fu scritto prima che l’uomo sbarcasse sulla luna ma, nonostante le premesse, considerate che l’aspetto fantascientifico nel libro è marginale e questo potrebbe deludere i puristi della sci-fi. Alla fine del romanzo, ad esempio, la natura della misteriosa struttura non verrà spiegata, si rimarrà insomma un po’ a bocca asciutta…
Per contro, come tutte le migliori opere di fantascienza anche questa affronta temi filosofici, oltre che psicologici, veramente tosti, e stimola riflessioni e interrogativi di non facile risposta; interrogativi universali, e dunque interessanti anche per chi non sia particolarmente appassionato di fantascienza.

Prima di procedere oltre nel raccontare la trama, devo fare una precisazione in merito a ciò che impropriamente ho definito teletrasporto: dimenticate l’idea che potete esservi fatta, ad esempio, guardando la serie classica di Star Trek… questo teletrasporto non consente fisicamente di far viaggiare qualcosa o qualcuno attraverso lo spazio, ma soltanto di replicarlo, e nel duplicarlo lo distrugge. Quello che fa è scannerizzare (scansire? scansionare?) un oggetto o una persona, convertire la scansione in un segnale che ne replica l’esatta struttura atomica, e inviarlo ad un ricevitore che si trova nel luogo di “destinazione” specificandogli come metterla di nuovo insieme. Il ricevitore replica l’originale utilizzando atomi reperiti in loco – tipo una mezza tonnellata di rocce per un uomo adulto... Dunque il replicante è una nuova persona, anche se difficilmente distinguibile dall’originale perché ne è una copia esatta, completa di cellule cerebrali e dei suoi ricordi. Ma il teletrasporto crea anche un’altra copia che rimane fisicamente sulla terra, nel laboratorio. Le due copie sono collegate telepaticamente, ma questo legame è destinato ad affievolirsi e poi spezzarsi entro poco tempo. Tutto questo non è completamente campato in aria. Si tratta di un concetto fisico conosciuto da tempo con il nome di Entanglement quantistico, sul cui principio è stato sperimentato con successo un teletrasporto di particelle non più di un mese fa.

Il replicante esplora la struttura sulla luna mentre il soggetto “originale” è tenuto in uno stato di deprivazione sensoriale; e quando il replicante inevitabilmente muore, l’altro si risveglia con i suoi ricordi, incluse la causa e le modalità della sua morte. Lo scopo di tutto è proprio permettere al risvegliato di raccontare quanto gli è accaduto, in modo da poter proseguire l’esplorazione. Ma l’esperienza della morte e il suo ricordo fanno impazzire tutti i volontari, quindi occorre trovare un tipo d’uomo che riesca a sopportarli, che possa portare a termine la missione sapendo che prima di allora dovrà morire ancora, e ancora.
Vincent "Connie" Connington, il capo del personale, suggerisce il nome di Al Barker quale candidato ideale. Barker, considerato da tutti un sociopatico con tendenze suicide, ha un preminente lato oscuro che lo spinge verso imprese molto rischiose. Hawks stuzzica Barker e lo sfida intellettualmente perché, benché non sia convinto di volerlo nella missione, non ha altra alternativa.
Il processo di teletrasporto non è senza rischi. Sapete bene che i file mentre vengono trasferiti, per esempio da un pc all’altro, si possono facilmente “corrompere”. Ebbene, con il teletrasporto il rischio è lo stesso, ma centuplicato: gli esseri umani sono talmente complessi che neanche lo scienziato o il tecnico più esperto può garantire il successo di un’operazione del genere. Ma anche nel caso il risultato fosse perfetto tecnicamente, sarebbe impossibile calcolare l’impatto di un tale processo sulla mente umana, decisamente più complessa del corpo; nel processo stesso qualcosa del soggetto originale che non è possibile quantificare potrebbe andare perso. Un teletrasporto non sa cosa sta teletrasportando, così come una fotocopiatrice non sa quello che sta fotocopiando; sono solo atomi, nel primo caso, e macchie di colore nel secondo.
Fatta salva la buona riuscita del processo, però, né l’uomo sulla luna né quello sulla terra possono essere distinti in alcun modo dall’originale: il cambiamento può essere impercettibile come una piccola alterazione della memoria, o un piccolo cambiamento di personalità.
Un ricordo falsato, qualche particolare dimenticato per molti non sarebbero un prezzo eccessivo da pagare per teletrasportarsi, e di certo non lo è per Barker; se è vero che nella vita si cambia e si evolve continuamente, quello che il teletrasporto fa nel romanzo non sarebbe altro che la forzatura di qualcosa che comunque avverrebbe naturalmente. Come tutte le cose, anche questa dipende dai punti di vista: dipende da quanto uno è disposto a perdere di se stesso per dare il suo contributo alla scienza.
Non racconterò cosa accade da qui in avanti, anche se credo possiate facilmente immaginarlo, ma vi invito caldamente a leggere il libro.

“Rogue Moon” parla di come le persone tendano a ripetere all’infinito i propri schemi mentali, per quanto dolorosi, mentre le prove che nella vita dobbiamo sono dei veri riti di iniziazione e come tali sono utili solo nella misura in cui gli permettiamo di cambiarci interiormente. Ma la carne al fuoco è molta di più: si parla anche di rapporti umani e di come questi possano complicarsi, perché le persone fondamentalmente tendono a manipolarsi o ad essere manipolate; e dei risultati spesso deleteri che si hanno quando l’amore per la scienza diventa ossessione.
Si tratta di un’opera che si regge quasi interamente sui dialoghi. Forse troppo cerebrali e teatrali, a volte, atipici per un libro di fantascienza, e se vogliamo anche espressione di un’altra epoca, ma sicuramente di grande effetto. Non lo trovo un grosso difetto, ma ognuno può giudicarlo come meglio crede.
I protagonisti di questo romanzo incarnano stereotipi perfetti, ma non per questo non sono realistici.
Connington è un manipolatore e ha anche una ragione personale per coinvolgere Barker, visto che ha delle mire su Claire Pack, la sua donna; d'altronde egli non nasconde affatto la propria natura, al contrario, con raro cinismo, ammette: “I’m a mover”. Dal canto suo, anche Claire è una manipolatrice e usa il sesso per provocare ogni uomo che incontra, inclusi Connington e Hawks.
Per Barker, evidentemente, la sfida con il labirinto alieno non è peggiore dello stillicidio quotidiano cui masochisticamente si sottopone nell’ambiguo triangolo con Claire e Connington. Del resto Claire, per lui, non è altro che una conquista come un’altra. Sopra ho parlato di tributo alla scienza, ma mi rendo conto che non è la definizione adatta: a Barker in realtà non importa nulla della scienza, quello che gli preme è mantenersi fedele all’immagine che ha di sé stesso, o meglio divenire finalmente la persona che vuole essere, ovvero un guerriero, un vero uomo.
Hawks l’uomo di scienza e Barker l’uomo d’azione sono diversissimi, eppure a modo loro entrambi disfunzionali. Quello che li accomuna è la difficoltà con cui gestiscono la vita, la loro incapacità di essere felici.
Se Barker è il maschio, il cacciatore intellettuale, il più forte però è Hawks, colui che tramite il teletrasporto uccide e ricrea la vita. Lo riassume bene Hawks stesso quando, il giorno del loro incontro, dice a Barker: “You’re a suicide. I’m a murderer.”, lui che gioca a fare Dio, ed è però disposto a pagarne il prezzo.
Poi c’è Elizabeth Cummings, la donna di cui Hawks s’innamora. Con lei cerca di mettere a nudo, seppure in modo contorto, la propria anima. Nella narrazione Elizabeth sembra avere un ruolo molto marginale, eppure è proprio la sua esistenza a rendere ancora più struggente l’epilogo della storia.
Ma assurgerei al ruolo di protagonista anche la struttura stessa e gli uomini che gestiscono la base sulla luna. Le leggi che regolano la struttura sono per noi aliene, lì si muore senza un perché; essa trascende il nostro concetto di bene e di male, è indifferente alla vita umana. È una sorta di non-luogo abitato da uomini senza patria, senza futuro, destinati nella maggior parte dei casi a morire sulla luna senza gloria e nella completa solitudine: sono tutti duplicati di volontari e non hanno un posto nel nostro mondo. Sono quelli che Barker, in una sorta di intuizione, chiama zombi, morti viventi.

Ci penso e ci ripenso, ma non so decidere se sia più triste la vicenda di Hawks o di Barker. È difficile comprendere appieno le scelte del primo: perché decide di condividere lo stesso destino di Barker? Perché vuole immolarsi per la scienza, o per senso del dovere, o ancora per pena nei confronti di Barker al quale vuole confessare la verità? O forse piuttosto per pagare il fio per quanto fatto a Barker e a tutti gli altri “zombi”? Ma a dire il vero il pensiero che quanto ha fatto non sia etico sembra non sfiorarlo neppure, tutto quel che gli interessa è “battere i Sovietici”.
Quanto a Barker, purtroppo arriva ad accettare se stesso e capire il vero significato della vita solo quando è ormai troppo tardi. Cosa molto umana, e molto penosa.

Sono così i labirinti, hanno vie, traverse e vicoli ciechi, c'è chi dice che il modo più sicuro di uscirne è di continuare a camminare e girare sempre dallo stesso lato, ma questo, come siamo obbligati a sapere, è contrario alla natura umana (José Saramago).

5 commenti:

  1. Secomdo me dovresti insistere su questo tuo aspetto "recensivo ". Non te la sei cavata malez anzi devo proprio dirti che è proprio un bel lavoro

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  2. ...anzi, ti dico di più. Se ti va quest' articolo potremmo riproporlo sulla blogzine IL FUTURO E' TORNATO.
    Ci sarebbe da ridurne un poco le dimensioni per motivi di spazio, te lo dico subito, quindi pensaci e poi fammi sapere. ;)

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    1. Beh.. cosa dire... sono tremendamente lusingato. Grazie.
      Si, wow, sarei davvero felice di far apparire qs post nella blogzine. Cosa dovrei fare esattamente ?
      P.S.: se vuoi portare avanti qs discussione in privato scrivimi pure al mio indirizzo email. Lo trovi lassù in cima dove c'è scritto "contacts". Ciao

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  3. Ti dirò, mi hai fatto venire voglia di leggerlo!
    La presenza del labirinto mi ricorda il mondo di Hyperion (Dan Simmons) dove c'è un labirinto la cui presenza non viene spiegata, anche se non è così fondamentale ai fini della storia.
    Anche il teletrasporto sembra particolare, soprattutto la presenza di un "backup" sulla Terra. L'entanglement è un fenomeno molto affascinante, tanto che mi stupisce sia stato sfruttato poco nella SF, al posto di soluzioni più fantastiche.

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    1. Sono contento di averti incuriosito. Lo scopo del mio post era proprio quello di divulgare un libro che ahimè non è famoso come merita.
      Il labirinto qui è un bivio. Se sbagli muori. Se indovini ti trovi davanti ad un altro bivio. Per arrivare alla fine dovrai morire un sacco di volte.
      Riesci a pensare a qualcosa di più orrendo?
      Il teletrasporto quantistico (alias "entanglement") è poi un'altra di quelle cose che non vorrei mai provare.
      E' un po' come farti il backup del cervello su una chiavetta USB....

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