sabato 1 settembre 2012

Carta velina intinta nella porpora


Come un papavero tra le pagine di un libro, il piccolo libro di Marcella Andreini ha la stessa essenza della carta velina intinta nella porpora. Delicata ma allo stesso tempo sanguigna. Apparentemente fragile e innocua, ma sgocciolante di spunti e riflessioni che solo una profonda passione per la vita può trasmettere. Sono affascinato da quante righe mi sono scoperto a leggere e rileggere più volte, per cercare di capire, per fare miei i pensieri di un’altra persona. Sono inciampato per caso nel blog dell’Autrice e da allora non me ne sono più allontanato. Tanti pensieri, apparentemente slegati l’uno dall’altro, ma accomunati da un unico comun denominatore: la curiosità.
Ho ricevuto “Volevo solo essere adorata” in omaggio. Graditissimo omaggio, posso confermare oggi a posteriori, dopo averlo letto. Urge quindi scrivere un post prima che ne svaniscano i sapori. Da che parte cominciare? Direi dalla trama che, così come la leggo sulla quarta di copertina, è davvero semplice: due studentesse che abitano nella stessa strada si conoscono perché le loro finestre sono l’una di fronte all’altra. In breve tempo nasce un’amicizia profonda, ed è soprattutto Emilia ad arricchire il rapporto, grazie ad un’intelligenza vivace, a una geniale vena artistica, a uno spirito ricco ma incapace di adeguarsi a una vita mediocre. Una quarta di copertina che non rivela quindi nulla del contenuto del libro. Ma non potrebbe essere altrimenti, dico io. Questo non è un libro che si può riassumere in due parole, non è nemmeno un libro che possiede una trama nel senso comune del termine. Accadono, questo è vero, delle cose che messe in fila una dietro l’altra si potrebbero superficialmente definire con il termine “trama”, ma non è questo il punto. Il punto è che “Volevo solo essere adorata” è un libro nel libro: la trama è un espediente per mettere nero su bianco i propri pensieri, le proprie emozioni, i propri dolori, le proprie perdite, la propria solitudine.

La solitudine, ecco. È di questo che parla il libro. Ma cos’è la solitudine? Ce lo spiega l’Autrice, che ci regala qui una definizione inaspettata: La solitudine non è una situazione statica. Un’assenza di esperienza ma è essa stessa esperienza di se stessi. Un approfondire quelle albe di verità che si possiedono da sempre, un progredire verso la lucidità della propria esistenza fino agli estremi della propria vita per poi viverla con consapevolezza o ucciderla. La solitudine è quindi un valore positivo, un’esperienza che contribuisce al processo di formazione di ciascuno di noi. Tutti hanno provato un qualche tipo di solitudine nella propria vita, vuoi da ragazzo, quando finite le scuole dell’obbligo ci si trova improvvisamente senza amici, vuoi da adulti, a seguito di una perdita, vuoi da anziani, quando ci si rifugia nei propri piccoli riti quotidiani, affinché questi ci regalino l’illusione di essere ancora vivi. Ma la solitudine non va allontanata, tutt’altro, va assaporata, gustata, vissuta come un momento di grande crescita. Uno dei pochi passaggi della vita in cui possiamo finalmente goderci noi stessi, guardare il nostro interno ed elaborare il nostro esterno.

Édouard Vuillard, The Window, 1894
L’incontro tra le due studentesse non viene descritto. C’è un improvviso salto nella narrazione che lascia un piccolo senso di disagio. Cosa è successo? Come si sono conosciute? Forse è proprio in quel salto la vera chiave di lettura del libro. Chi è la misteriosa ragazza di cui non viene nemmeno fatto il nome? Una delle due si chiama Emilia, questo lo scopriamo subito, ma l’altra? Chi è in questo libro l’io narrante? Di Emilia ci vengono raccontate molte cose, le sue passioni, ce ne viene presentata la famiglia, ci viene chiesto un bel giorno addirittura di accompagnarla in un viaggio. Ma la seconda ragazza? Banalmente si potrebbe identificarla con la stessa Autrice e, ne sono certo, in parte è così. Mi immagino infatti che Marcella Andreini non abbia in casa un posacenere colmo di mozziconi, che sia solita appoggiare cucchiaini gocciolanti gocce di caffè sulla tovaglia, che abbia un gatto per il quale si sente condannata ad aprire scatolette più volte al giorno. Ma non credo che sia così semplice. Cercherò qui di seguito di dare la mia interpretazione. Forse mi giudicherete un pazzo visionario, pazienza. Ma è proprio questo il bello di “Volevo solo essere adorata”: il “non detto” è più importante del “detto”. Non esiste una strada diretta che ci guida dalla prima all’ultima pagina. Ognuno di noi può vederci quello che vuole, in base alla sua esperienza e alla sua sensibilità. 

Questa, l’avrete ormai capito, non è una vera e propria recensione. Non potrei mai fare il recensore di mestiere: non ne ho il tempo, né la voglia, né la costanza, né conosco le regole che fanno di un recensore un buon recensore. A volte però ci sono delle cose che mi escono di getto ed eccomi a scriverle in questo mio diario. A qualcuno sembreranno bislacche ma a me piace così. Non racconterò il finale come spesso faccio, questo no, ma quello che sto per dire potrebbe influenzare chi questo libro non l’ha ancora letto per cui, leggete pure, ma a vostro rischio e pericolo.
La chiave di lettura, come dicevo, è nel salto di narrazione che ho citato sopra, ma anche in alcuni passaggi rivelatori buttati qua e là: “Se avevo un ruolo era quello dello specchio”, oppure “Mi trovai faccia a faccia per la prima volta con l’interno rovesciato di una persona e quel rovescio, crudo, spietato, sanguinante era uguale al mio”, oppure ancora “Che cosa guarda una persona che ha indagato a lungo dentro di sé, tanto in profondità da non uscirne più?” e ancora “Ero calata totalmente nella parte di specchio ed ero lì come appesa a un muro” ma, soprattutto, il passaggio fondamentale è “Quasi vorrei poter essere un’altra persona per potermi incontrare“.

Ma chi ci dice che le studentesse siano davvero due, mi chiedo? È possibile che Emilia e la “narratrice senza nome” siano magari la stessa persona? O meglio, due espressioni della stessa persona? Mi sono trovato a riflettere a lungo su questa possibilità e alla fine me ne sono convinto. La narratrice è lì nella sua casetta, sola con le sua abitudini, se ne sta seduta sul tavolo, si guarda allo specchio, ed ecco che improvvisamente sta parlando con Emilia, vale a dire con l’altra se stessa, l’unica persona al mondo che la conosca profondamente e che sia in grado di mettere a nudo le sue debolezze.
 “L’immagine di tutti gli incontri della mia vita: nessuno con un seguito, niente visto crescere e formarsi ma nascere per poi subito morire”, dice di sé la voce narrante. Ed  ecco finalmente un incontro che invece un seguito ce l’ha. Un incontro in cui ci si può perdere, senza il rischio di rimanere delusi, traditi, umiliati. Un proprio doppio. Consapevole o inconsapevole, questo non lo sappiamo. “Dio come siamo soli!

Adriana Bisi Fabbri, Bacio allo specchio, 1911 
Come sarei oggi senza Emilia ieri?” viene detto nel finale. Ecco finalmente giunto il superamento del doppio. Non è più necessario riferirsi a sé stessa al plurale, perché solo chi non ha un vero “io” si sente ampliato nel dire “noi”. Una nuova vita, caratterizzata da una maggior consapevolezza dei propri mezzi ma, ancora e per sempre, indissolubilmente legata alla propria esistenza precedente, proprio perché la solitudine è “essa stessa esperienza di se stessi”.
Questo libro è quindi anche la testimonianza di una perdita ma, come è stato per la solitudine, non ne viene enfatizzato solo l’aspetto negativo. Perdita significa distacco. Distacco significa rinnovamento. Rinnovamento significa evoluzione. Bisognerebbe essere curiosi testimoni di come andrà a finire la nostra vita. Bisognerebbe scoprire dove vanno a finire i palloncini.
Sarei davvero curioso di potermi gustare l’espressione sul viso dell’Autrice mentre è intenta a leggere questa mia recensione. Avrò colto nel segno? Ci saranno delle cose a cui ella stessa ha pensato, anche solo per un momento? O forse sarò andato completamente fuori strada? Sinceramente non sono affatto curioso di saperlo. Come ho detto prima, il bello di “Volevo solo essere adorata” è proprio lo spazio che viene lasciato al lettore per crearsi una sua personale visione del libro. Questa è la mia. Ed è quella che preferisco.
Per chiudere in bellezza, facilitato dal fatto che si trova solo a pochi click di mouse da qui, ecco di seguito una piacevole intervista con l’Autrice, che ringrazio di cuore per la disponibilità. Le avevo promesso solo  domande facili-facili… Ammetto di averla ingannata: sono tutt’altro che facili-facili. Eccole qui:

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The Obsidian Mirror: Spesso la solitudine deriva da una perdita. Ci sentiremmo meglio se riuscissimo a scoprire dove vanno a finire i palloncini?
Marcella Andreini: Prima o poi lo scopriremo. “Lo scopriremo solo vivendo…” diceva la canzone, e se invece fosse vero il contrario, “lo scopriremo solo morendo”? Se scoprissimo dove vanno a finire i palloncini…non so…avremmo una certezza quindi un altro luogo, un’altra vita come un continuare questa, forse ci sentiremmo meglio, siamo prigionieri del bisogno di avere delle certezze…E’ un peccato perché la vita è tutta un’incertezza, è ballerina.

T.O.M.: Domanda quasi d’obbligo: Chi è quella persona che ti guarda negli occhi dall’altra parte dello specchio?
M.A.: Emilia è il mio secondo nome e quello che preferisco, quindi deve essere per forza di cose, la parte migliore di me; se non migliore la mia preferita. Emilia è un nome che sa di musica, è l’antimateria, è la non guerra – che non vuol dire pace – vuol dire il non attaccare per primi; c’è una sola persona che in realtà ha adorato e tuttora adora Emilia ed è Marcella, ossia io.

T.O.M.: Una donna non è mai dove la vedi. È quindi questo quello che le donne non dicono?
M.A.: O quello che gli uomini non capiscono. No poverini, capiscono, mica mi posso giocare così il 50% dei lettori?! Non è che non lo dicono è che non si può spiegare.

T.O.M.: Come saresti oggi senza “Volevo solo essere adorata” ieri?
M.A.: Ecco, questa è una domanda difficile. Ci vuole coraggio a scrivere un libro, in generale, questo è stato tremendo. E se il coraggio si è avuto una volta lo si avrà per sempre; le circostanze cambiano, le persone ti mettono a dura prova (il coraggio rende antipatici); io sono una persona che può sembrare fragile, in realtà non lo sono per niente. Quindi senza “Volevo solo essere adorata”, per tornare alla tua domanda, avrei meno consapevolezza della mia forza/coraggio. Che comunque nel mondo di oggi, serve a ben poco, dato che quasi più niente dipende da noi stessi.

T.O.M.: Come riscriveresti oggi “Volevo solo essere adorata” rispetto a ieri?
M.A.: Con qualche virgola in più, dicono che mi dimentico di metterle. Forse oggi, sbagliando, potrei avere la tentazione di mettere nella vita di Emilia un problema legato alla crisi del momento, ma poi lo cancellerei perché la crisi di Emilia è genetica, non sociale o economica. Sai che avevo ipotizzato un seguito? Ma il seguito era troppo triste perché l’amica rimasta si sposava …

T.O.M.: Messico o Capo Nord?
M.A.: Capo Nord. “Volevo solo essere adorata” è uscito nel 1999, io sono poi andata a Capo Nord nel 2001, dovevo portarci Emilia … follia? C’era nebbia, pioggia e vento, in pratica non ho visto niente, non ho visto  il mare, mi hanno assicurato che c’era. E, cosa che ad Emilia non sarebbe piaciuta, c’erano troppe persone che scattavano foto (anch’io ho ceduto alla tentazione), foto nebbiose, persone che nelle foto saranno sembrate fantasmi (queste ad Emilia sarebbero piaciute. Le sarebbe piaciuto anche il tuo blog gotico). Il Messico è troppo caldo, le persone sono troppo vivaci o, come si dice, calienti, insomma troppo, un ritmo che non combacia con il mio, io ho il carattere del gatto.

9 commenti:

  1. Interessante questo libro,lo rileggerò!!! Bello il quadro "Bacio allo specchio", non poteva che essere di una pittrice. Grazie per questa recensione, è stato divertente rispondere a domande su di un libro che ho scritto un pezzetto di tempo fa. Hai colto delle sfumature e delle realtà che per me erano ancora un po' velate, mi ci è voluta la tua analisi per vederle più chiaramente. Grazie davvero!

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    1. Grazie a te. Leggere questo libro è stata un'esperienza davvero indimenticabile (ma questo credo di averlo già ampiamente detto). Complimenti inoltre per le brillanti risposte alle mie cattivissime domande: la prossima volta vedrai ci andrò meno leggero... ^_^

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  2. Io ho amato questo libro. Del resto un libro così non si può spiegare o capire, si può solo amare oppure odiare. E io l'ho amato!

    Questa recensione mi è piaciuta moltissimo, perché mette in luce degli elementi che anch'io avevo scorto nel profondo del testo senza però metterli bene a fuoco. L'intervista poi è davvero bellissima. Marcella come al solito sa regalare perle di saggezza impagabili ("Ma il seguito era troppo triste perché l’amica rimasta si sposava", geniale!).

    Ho provato anch'io a recensire questo libro, ma le recensioni non sono il mio forte (http://tamerici-romina.blogspot.it/2012/08/volevo-solo-essere-adorata-di-marcella.html).

    Il tuo è davvero un bellissimo post, con una bellissima intervista per un bellissimo libro! Ecco tutto. (E quando io ripeto "bellissimo" così tante volte, vuol dire che ne sono convinta!).

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    1. Beh... a questo punto sono ufficialmente commosso... tutti questi "bellissimo" sono davvero tanta roba. Grazie!
      Sapevo dell'esistenza di una recensione scritta da te ma, di proposito, finora ho resistito alla tentazione di sbirciarla (nel senso che volevo evitare di venire involontariamente influenzato dall'analisi di qualcun'altro). Adesso posso passare dalle tue parti. Aspettami che arrivo!
      P.S. Davvero grandi perle di saggezza. Poche parole, ma quelle poche sono PIETRE!

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    2. Sono entrambe due recensioni molto belle, molto diverse, si sente che vi siete affezionati a questo libro. Grazie

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    3. Grazie...
      Grazie a te, Orlando, per aver scritto questo libro!

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  3. Bene, ragazzi, sono molto contento di vedere tutte queste sinergie tra voi.
    Inutile dire che voglio che continuiate così!:)
    P.s
    Complimenti al padrone di casa per la piccola intervista...e complimenti anche all'intervistata per le risposte.

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    1. @Nick: Io non posso trovare il tempo per litigare con tutti [disse Luciferina]! Ah ah! Quindi ti prometto che farò giudizio...

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