martedì 5 febbraio 2013

Just... in... time

In un futuro imprecisato, o forse piuttosto in una realtà alternativa, l’uomo è geneticamente progettato per l’immortalità virtuale: il suo invecchiamento cessa a 25 anni. Ma c’è un rovescio della medaglia: dopo i 25 anni è possibile vivere solo un anno in più, a meno che non si riesca a guadagnare, prendere in prestito o rubare altro tempo. In una realtà distopica in cui il tempo ha sostituito il denaro come valuta corrente, c’è un mondo che corre a due velocità, separato anche fisicamente da caselli per il pedaggio che solo i ricchi possono permettersi di valicare: nel ghetto, la gente ha pochi giorni, spesso poche ore a disposizione, ed è costretta a correre per sopravvivere, convivendo con la costante paura di venire “azzerati”; mentre nei quartieri alti i ricchi possono permettersi l’unico vero lusso possibile, la lentezza. Il mantenimento dell’ordine costituito viene garantito dai Custodi del Tempo, mentre un meccanismo di continuo aumento del costo della vita permette di preservare lo status quo, con le masse che continuano a morire perché l’élite della società possa vivere per sempre. Un uomo e una donna, novelli Robin Hood, si ribellano al capitalismo darwinista imperante, rubando il tempo ai ricchi per donarlo ai poveri. Un milione di anni rubati basterà per sovvertire l’ordine delle cose? Il finale, consolatorio alla maniera americana, fa intravedere la speranza: il seme è stato gettato e c’è la possibilità che attecchisca. Perché sono le rotture che predominano nell’evoluzione.
Questa è in breve la trama di “In time”, film di fantascienza/azione/thriller del 2011 per la regia di Andrew Niccol, con Justin Timberlake, Amanda Seyfried e Cillian Murphy a ricoprire i ruoli principali.
Per me, per come è stato strutturato e girato, questo film rimane un oggetto incomprensibile, proprio come “Un’altra giovinezza” di Francis Ford Coppola. Entrambi i film si basano su premesse molto interessanti, ma poi si perdono un po’ per strada tra dialoghi banali, una recitazione nel complesso poco convincente e una capacità di generare suspence di poco superiore a zero. Ma aldilà del suo valore come pellicola, che è la cosa che francamente mi interessa meno in questa sede, è innegabile che “In time”sia interessante perché porta avanti un discorso a diversi livelli, pur senza approfondirne davvero nessuno: sociale, economico, filosofico, morale…

Se per caso pensate di vivere nel peggiore dei mondi possibili, beh, sappiate che vi state sbagliando: quello che ci mostra il film è molto, molto peggio. Nel nostro mondo certamente esistono le disuguaglianze sociali, però la povertà non ha sempre una precisa connotazione geografica; certo, da qui si potrebbe dipanare una discussione infinita che, partendo dalle radici storiche della povertà nei vari contesti sociali, ci porterebbe a constatazioni sul fatto che è la società stessa che crea le premesse per la povertà, dettando desideri legati al consumismo che nulla hanno a che vedere con i bisogni primari dell’uomo, ecc. ecc… Nel film, per contro, i ricchi rischiano di vivere più a lungo del pianeta Terra e la povertà è destino incontrovertibile, non c’è via d’uscita, il riscatto sociale è impossibile, o quasi: è la fine del sogno americano. Soprattutto, l’equazione tempo=denaro significa che la povertà porta alla morte, prima o poi. Sempre.

Un tentativo di fare del tempo una valuta di scambio, per la verità, in Italia lo si è fatto davvero con la creazione delle Banche del Tempo (BdT), quelle associazioni (che fanno proprio il motto di Benjamin Franklin “il tempo è denaro”) basate sullo scambio gratuito di tempo. Sicuramente ne avete sentito parlare, quantomeno. Sono molto diffuse, anche se parlandone con diverse persone ho notato spesso una certa ritrosia o addirittura diffidenza nei loro confronti; e non tanto perché queste persone non si sentissero in grado o non avessero la possibilità pratica di aderirvi, credo, ma piuttosto per una forma di aprioristica sfiducia nei parametri di giudizio necessari per assegnare un valore a quello che potrebbero offrire, dato che sono molti quelli convinti che le proprie capacità o prestazioni siano sempre superiori a quelle altrui.
Nel nostro mondo si dice comunemente che l’unica cosa che non si può comprare è il tempo, e il film ci dice invece che questo non è vero. Noi siamo mortali e il lavoro assorbe la maggior parte delle nostre giornate, ma in effetti ci sono dei fortunati che riescono a far lavorare gli altri al proprio posto, e in questo modo possono dedicarsi alla famiglia, a dipingere quadri, all’arte dell’ikebana o a qualsiasi altra cosa gli aggrada di fare. Dipende da quanto uno è ricco: abbastanza se può permettersi quello di cui sopra, e non abbastanza se invece ha poco tempo da dedicare agli hobby o alle vacanze, o se è costretto a fare telefonate di lavoro anche dalla spiaggia o mentre se ne sta spaparanzato su uno yacht con un drink in mano (ma può definirsi lavoro, quello?). Perciò, io dico, non fidatevi dei ricchi che si lamentano della propria mancanza di tempo, sono come i belli che si lamentano dei guai che gli derivano dalla propria bellezza: come minimo, quello che dicono è opinabile. Forse i ricchi non possono comprarsi l’immortalità, almeno per ora, ma di certo un po’ di tempo possono comprarlo. Se osservo la questione da questo punto di vista, non posso proprio fare a meno di pensare che il concetto espresso dal film sia giusto.
Un altro concetto intrigante è come appare l’umanità di “In time”. Se tutti gli adulti al mondo dimostrassero 25 anni, oltre che essere biologicamente dei venticinquenni, questo potrebbe letteralmente riscrivere i rapporti sociali, ma anche l’oggetto della domanda e dell’offerta sui mercati, perché chi avrebbe più bisogno di prodotti e servizi per la terza età? 

Ma l’aspetto più interessante della questione secondo me è ancora un altro, ed è che si tratta di un’umanità di ibridi, il corpo un’interfaccia vivente con potenzialità enormi che sono la realizzazione del sogno degli scienziati di oggi. Purtroppo, però, non ci viene mostrato nessuno dei risvolti positivi della situazione che potremmo immaginare: niente sfruttamento della rete per migliorare i rapporti sociali o di lavoro, multimedialità sempre accessibile, esperienze sensoriali potenziate o coscienza globale per i protagonisti di “In time”. Niente. Solo la possibilità di essere identificati e tracciati sempre dall’autorità, dovunque ci si trovi e qualsiasi cosa si stia facendo, in un processo di violazione della privacy portato al parossismo, che già i telefoni cellulari (che peraltro nel film sembrano non esistere nemmeno!) e le telecamere diffuse un po’ ovunque nelle nostre città ci hanno fatto intravedere. E, naturalmente, quell’orologio integrato nell’avambraccio, quella Carta del Tempo che ha sostituito la Carta di Credito. Un vero orologio biologico, non c’è che dire.
Pendiamo Will Salas, il protagonista del film. Accusato di un crimine che non ha commesso, non ha modo di nascondersi agli occhi della “giustizia”, e non potendo continuare a far parte del sistema non ha altra scelta che spingersi al di fuori di esso. Will vive ogni giorno come se fosse l’ultimo perché, in effetti, questa è sempre stata la sua prospettiva di vita. E voi come spendereste il vostro tempo, se aveste la stessa percezione della sua vera importanza di Will?

Purtroppo parlando in astratto, da persona di media cultura mi riesce difficile definire che cos’è il tempo. Semplificando molto il concetto, si potrebbe dire che il tempo è l’unione di passato, presente e futuro, ovvero di quello che è già stato, che è e che sarà, in questo esatto ordine. Ma poi è davvero così? Il tempo è un concetto assoluto, una linea retta, una freccia che punta sempre in una sola direzione? O forse è una spirale che si riavvolge su se stessa, e dunque prima o poi saremo in grado di effettuare viaggi nel tempo?
Se è praticamente assodato che il tempo scorre inesorabilmente, Einstein ci ha mostrato che non è affatto un valore assoluto, ma relativo, creando la definizione rivoluzionaria di spaziotempo. Si è poi andato oltre affermando che il tempo è esclusivamente la percezione che ne abbiamo. Da profano, so però che il tempo viene percepito come qualcosa di soggettivo perché ci è difficile renderci conto di qualcosa di cui non abbiamo esperienza diretta, in altre parole il tempo per noi esiste perché noi esistiamo; e non riusciamo a immaginare cosa è accaduto prima della nostra nascita o cosa accadrà una volta che non saremo più al mondo, così come ciò che avviene lontano da noi ed ecco come, anche nella nostra esperienza diretta, tempo e spazio sono collegati…

P.S.: Il presente articolo viene pubblicato oggi in contemporanea sulla blogzine IL FUTURO E' TORNATO

6 commenti:

  1. Non mi è dispiaciuto questo film specialmente grazie all' idea di base. C' è anche da dire che per una volta perfino Justin Timberlake è quasi convincente.

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    1. E' un filmetto simpatico che regala un paio d'ore di sano divertimento. Ha dalla sua il "plus" dell'idea di base (assolutamente geniale) ma direi che non è un film di quelli che si possono guardare due volte.

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  2. Amo infinitamente Cillian Murphy. Già ai tempi del Cavaliere oscuro lo adoravo! Quel che non sopporto è Timberlake...però il film mi è piaciuto, confesso, ma, come dici tu, non lo guarderei due volte!

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    1. Timberlake poteva tranquillamente continuare a fare canzonette. Non si sarebbe offeso nessuno.

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  3. Anche a me è piaciuto questo film... o meglio la storia che racconta, su come viene raccontata, potevano sforzarsi di più! Il film esprime un concetto che alla fine non è del tutto nuovo (basti pensare al famoso detto "il tempo è denaro") ma che secondo me ultimamente sta venendo rivalutato: sempre più persone assorte e travolte dalla fenesia della società moderna (ed in Italia in special modo qui al nord con epicentro Milano...) riscoprono quanto sia importante avere "tempo per se" o da dedicare alla famiglia. Il tempo è il valore aggiunto allo stipendio. A cosa serve accumulare ricchezza se non hai mai tempo per godertela? A cosa serve farsi una posizione se non vedi crescere i tuoi figli?
    Ciao!

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    1. Il problema è che di tempo non ce n'è più per nessuno. Non solo per chi di contro può vantare ricchezza e posizione.

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