venerdì 5 luglio 2013

L'altra parte (Pt.1)

Si dice che le persone più creative siano anche quelle più inquiete, irrisolte. Questa definizione calza a pennello ad Alfred Kubin (1877-1959), dei più grandi disegnatori del '900, divenuto famoso in Italia a seguito di una mostra del 1952 inaugurata dalla Biennale di Venezia, ma poi più o meno caduto nell'oblio. Disegnatore fantastico, sapeva mettere su carta “tutte le sensazioni possibili”, trasformandole in un immaginario morboso: amore, morte, disperazione e così via. Per farlo attingeva ai suoi sogni, ai suoi incubi, ma anche, certamente, ai suoi ricordi.
Nel 1909, appena trentunenne, Kubin pubblicò “L'altra parte”, il suo unico romanzo compiuto, considerato il primo romanzo espressionista della storia, o più spesso definito pre-espressionista, a voler sottolineare lo spirito pionieristico del suo autore nell'affrontare e sviscerare un certo tipo di tematiche. All'epoca Kubin era già un illustratore di una certa fama, anche se la sua consacrazione avvenne più tardi, con la maturità artistica, ma alla morte del padre, l'anno precedente, aveva reagito malissimo; al padre lo legava un complesso rapporto di amore-odio e, come se ciò non bastasse, il lutto era sopraggiunto nella sua vita al culmine di un periodo di profonda prostrazione psicologica e di crisi creativa. Forse per questo Kubin, non riuscendo ad esprimersi con il disegno come desiderava, affidò le sue emozioni a questo romanzo cupo e bellissimo nel quale è possibile leggere il suo disagio interiore, la sua sofferenza. Un romanzo che passato il primo, e poi il secondo dopoguerra, con l'arrivo di tempi meno cupi avrebbe facilmente potuto cadere nel dimenticatoio, e invece è sopravvissuto all'usura del tempo mantenendo inalterata la sua dirompente forza.

“L'altra parte” Kubin lo scrisse di getto in appena dodici settimane, mentre altre otto settimane gli servirono per corredarlo con una cinquantina di disegni che ancora oggi, fortunatamente, fanno parte dell'edizione reperibile in commercio.
È un romanzo, questo, che viene interpretato ora in chiave strettamente psicanalitica, ora come un viaggio nell'inconscio costellato di visioni cosmiche, metafisiche, ora come la metafora di un percorso iniziatico o di un'esperienza sovrannaturale - ad ogni modo, un viaggio che è destinato a cambiare completamente colui che lo ha compiuto.
“L'altra parte” fu per Kubin, indiscutibilmente, una sorta di terapia d'urto. Orfano di madre a dieci anni, con un padre duro e anaffettivo, egli cominciò a soffrire di nervi già in giovane età. Allontanato da casa alla volta del collegio, e poi alla scuola di arti e mestieri, affrontò la terribile esperienza della depressione che lo portò, nemmeno ventenne, a tentare il suicidio sulla tomba della madre. In seguito furono le preoccupazioni legate al futuro e alla professione e la perdita di altre persone care a continuare a minare la sua salute mentale, portandolo da una crisi mistica a diverse fasi di depressione alternate a febbrile eccitamento, in un altalenarsi di sentimenti contrastanti che fu una costante praticamente per tutta la sua esistenza.
Di Kubin nel libro c'è quel male di vivere che caratterizza un po' tutti i suoi personaggi: tetri, nostalgici, depressi e in balia degli eventi ma spesso anche ambigui, crudeli, in certo modo amorali. Ad esempio nel narratore – un artista ipersensibile, da sempre soggetto a grandi sbalzi d'umore - c'è molto dell'autore. Difatti, di questo personaggio non sappiamo neppure il nome: l'autore non lo dice, forse proprio per sottolinearne le analogie con se stesso.
Ma se “L'altra parte” è la storia di un uomo, o meglio del suo inconscio, è anche e soprattutto quella di un luogo: la città di Perla, la capitale artificiale del Regno del sogno, un regno separato dal mondo circostante da un (profetico) muro di cinta (vi ricorda niente?) creato da un ricco eccentrico come rifugio per gli insoddisfatti della civiltà moderna. La genesi di Perla deve molto all'atmosfera di Praga (Kubin era boemo), città dall'anima divisa in due: cristiana ed ebrea, scientifica e superstiziosa, moderna e decadente.

Il racconto comincia con una misteriosa visita presso l'abitazione di un affermato illustratore, il nostro narratore: un uomo mai visto prima gli propone di trasferirsi con armi e bagagli in quello che descrive come una sorta di paradiso in terra, un luogo nel quale il progresso tecnologico è totalmente assente e nel quale l'uomo può vivere in maniera più semplice, senza conflitti né preoccupazioni. “Le farò alcune proposte. Non parlo a nome mio ma a nome di un uomo che forse lei ha dimenticato, ma che la ricorda molto bene. Parlo di Claus Patera, il suo vecchio compagno di scuola”. L'invito viene dal suo vecchio compagno del ginnasio, colui che grazie ad un immenso patrimonio ricevuto in eredità ha dato il via a questo visionario progetto e ora viene (letteralmente) venerato come il Sovrano del Regno del sogno. Il Regno del sogno è il “regno della roba usata” costruito mettendo insieme, spesso senza un nesso apparente, oggetti antichi di valore, o ciarpame, e persino case provenienti dai quattro angoli del mondo, ma soprattutto dall'Europa. “Patera nutre un’avversione eccezionalmente profonda per ogni tipo di progresso, soprattutto in campo scientifico. La prego di interpretare il più possibile alla lettera queste mie parole, perché in esse sta l’idea fondamentale del Regno del sogno. Il Regno è separato dal mondo circostante per mezzo di un muro di cinta, e difeso contro qualsiasi attacco da poderose fortificazioni. Nel regno del sogno, rifugio per gli insoddisfatti della civiltà moderna, si provvede a tutti i bisogni materiali. Il sovrano di questo paese è ben lontano dal voler creare un’utopia, una sorta di stato del futuro. Tutto è impostato su una vita il più possibile spiritualizzata; i dolori e le gioie dei contemporanei sono estranee all’uomo del Sogno. L’abitante del Sogno non crede a null’altro che al sogno, al suo sogno. Questo, da noi, viene curato e sviluppato, il disturbarlo sarebbe un inconcepibile delitto. E anche da ciò dipende la severa selezione delle persone che vengono invitate a far parte di questa collettività.”

Il nostro artista si fa allettare dalla prospettiva di futura ricchezza e felicità e ben presto intraprende con la moglie l'estenuante viaggio verso la sua nuova casa, oltre il confine orientale della Russia. All'ingresso delle mura del Regno però lo assale una sensazione orribile, del tutto ignota. “Non uscirò mai più di qui”, si dice, e questo pensiero per lui ha il terribile sentore di una profezia. Ciononostante, inizialmente prevale in lui un certo ottimismo, ma col passare del tempo il luogo di fiaba tanto agognato perde gradualmente ogni attrattiva.
Perla, come tutto il Regno del sogno, è perennemente avvolta da un'atmosfera crepuscolare e pervasa da odori strani, sgradevoli. Accanto ai quartieri borghesi ci sono zone malfamate e sporche, sordide, rifugio di isterici, nevrastenici e criminali, mentre il Regno è colmo di luoghi solitari, nei boschi e vicino alle paludi, a cui nessun viandante osa avvicinarsi verso il tramonto. Con il tempo i misteri di  Perla provocano visioni e suggestioni sempre più intense, la città finisce per divenire una prigione che trattiene i suoi abitanti con una forzata apatia, una noiosa monotonia che è allo stesso tempo continua incertezza che logora l'anima.
Ma quel che è peggio, l'esistenza sembra trascinarsi su binari precostituiti: una sorta di forza onniveggente, di orwelliana memoria, riequilibra le cose ogni volta che si verifica un cambiamento, dando la sensazione di non essere mai veramente padroni del proprio destino. L'artificiosità del Regno comincia a diventare intollerabile. Claus Patera è una presenza invisibile ma allo stesso tempo onnipresente, un dio imperscrutabile che dalle profondità del suo palazzo avviluppa uomini e cose in una sorta di sortilegio, un potere occulto dallo scopo oscuro.

8 commenti:

  1. Alfred Kubin lo conosco come illustratore, molte sue tavole sono presenti in un interessantissimo tomo della Taschen sul simbolismo.
    Come scrittore non lo conosco affatto, ma ora sono rimasto incuriosito da questo romanzo dalle atmosfere kafkiane...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io ho invece seguito il percorso contrario al tuo: ho visto il libro, l’ho comprato, l’ho letto e solo in seguito sono andato a cercare le sue illustrazioni. Le edizioni Taschen sono meravigliose. Ti ricordi per caso il titolo del tomo di cui parli? PS: Lieto di averti incuriosito. Kafkiano è l’aggettivo giusto che ho dimenticato di usare. Grazie per la visita.

      Elimina
  2. Esattamente "Il simbolismo". Questo è il link su amazon (te lo segnalo solo per farti vedere il libro, per l'acquisto ovviamente è possibile cercare anche altrove) :

    http://www.amazon.it/Symbolism-Ediz-italiana-Michael-Gibson/dp/3822852155/ref=sr_1_3?ie=UTF8&qid=1373036894&sr=8-3&keywords=simbolismo+taschen

    RispondiElimina
  3. Credo proprio che questo libro mi stia chiamando! Domami lo ordin.
    Grazie :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma non aspetti nemmeno di leggere la seconda parte del post? Ah, ho capito... temi di essere spoilata...

      Elimina
  4. Risposte
    1. Pare che lo conoscessero in pochi, infatti. Grazie per la visita!

      Elimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...