In una società industrializzata che ha raggiunto un livello d'abbondanza caratterizzato dalla produzione di "beni improduttivi", sofisticati gadget, inutili sprechi, obsolescenza programmata, beni di lusso, eccessive scorte di armamenti, e altro... una certa repressione, oltre quella necessaria alle culture, è imposta al popolo. Il lavoro globale e superfluo sul quale il capitalismo era basato, caratterizzato da una degradante ripetitività, una sorta di condizione "zombie", allontana l'individuo dai suoi bisogni personali e sessuali. Un individuo che opera in una società corrotta, si ritrova lui stesso malato. Nella solitudine, l'individuo "inadatto" può pervenire ad una esteriorizzazione sana a dispetto delle costrizioni e delle esigenze troppo rigorose della cultura dominante. L'idea di concetti di senso comune come "realtà" o "buon senso" in un sistema così nocivo, è assurda. Visto che tutte le idee dominanti sono definite e controllate dalla classe dirigente, la prima cosa da fare per diventare un rivoluzionario è di opporsi a tutte le forme di realtà prestabilita. Chiaramente, essendo senza dimora e credendosi morto, Otto, guidava solitario la sua personale rivoluzione contro la realtà.
A scanso di equivoci lo dico subito: non era nei miei piani iniziare la nuova stagione scrivendo un articolo di cinema. Nella mia testa (e nelle mie bozze) c’era già il post introduttivo di un progettino al quale io e la mia dolce metà stiamo lavorando. Chi mi segue su Google Plus probabilmente avrà già notato nelle scorse settimane una mezza anteprima, tutt’altro che esplicativa: a loro e a tutti gli altri chiedo quindi ancora qualche giorno di pazienza, dopodiché scopriremo le prime carte della “nuova stagione”.
Non intendevo parlare di cinema, stavo dicendo, fino a quando la collega blogger Arwen Lynch non mi ha chiesto, qualche giorno fa, di partecipare con un post alla sua iniziativa di compleanno (quello del blog, il settimo). Un’iniziativa che non pretende di scuotere le coscienze del mondo, penalizzata qual è dalle dimensioni trascurabili di un pugno di blog, ma che cerca in qualche modo di supportare i diritti civili della comunità omosessuale. A prescindere dall’opinione di ciascuno su questo argomento specifico, ritengo sia incontestabile che, laddove esista un qualsiasi tipo di discriminazione, occorra prontamente intervenire a smorzarne gli effetti. Se oggi infatti è il nostro vicino di casa a venire discriminato, domani potremmo essere noi a essere etichettati e giudicati per una qualsiasi nostra diversità. La storia insegna: nessuno di noi può definirsi al riparo dalle opinioni altrui.
Oggi quindi su questo e altri blog si parla di cinema a tematica LGBT. C’è chi ha scelto titoli classici e chi, come me, ha cercato qualcosa di un attimino più particolare, nella fattispecie un “Gay Zombie Movie” che, sebbene detto così possa farvi pensare a una boiata, è invece a suo modo una piccola opera d’arte, quantomeno per chi scrive.
Il regista Bruce LaBruce è un nome tra più noti nel circuito del cinema gay-porno a basso costo, ma è anche uno dei pochi che, sebbene la sua estrazione non lo lasci supporre, sia riuscito a ottenere una première nientemeno che al Sundance Film Festival (2008) e a vedere le sue opere proiettate in rassegne di spessore quali il BIFF di Berlino, il festival di Locarno e il TIFF di Toronto.
"Otto; or, Up with Dead People" (2008), il film di cui parliamo oggi, non è un horror e non è nemmeno un porno benché (affinché siate preparati) non lesini né in immagini sanguinose, legate a episodi di antropofagia e non solo, né in quelle esplicitamente sessuali, svelando qualche dettaglio anatomico di troppo. È invece un geniale tuffo nel mondo dell’emarginazione sociale, ritratto malinconico di coloro che lottano per ottenere il riconoscimento della propria natura. Il protagonista, Otto (splendidamente interpretato da Jey Crisfar), è un emarginato completo. Non solo è gay: è anche uno zombi. In un'epoca superstiziosa, molti credevano che il risveglio dei morti fosse una punizione divina per l'umanità. Questa spiegazione teologica divenne ancora più popolare quando si scoprì che l'ultima ondata di zombie era omosessuale. Una piaga gay si era abbattuta sull'umanità.
Nella scena inziale Otto (ri)sorge da una tomba, un’immagine classica che ha trasceso la settima arte e che, dal giorno in cui George Romero girò "La notte dei morti viventi" (1968), è entrata a far parte della cultura popolare giocando con una delle paure più radicate nel genere umano: quella della morte. Otto non ricorda nulla del suo passato e comincia a vagare per le strade senza meta, consapevole solo di aver bisogno di nutrirsi pur conservando un innato tabù nei confronti della carne umana, probabile reminiscenza di una vita da vegetariano.
Nel suo vagare Otto giunge a Berlino e si imbatte in un volantino che annuncia l’apertura delle audizioni per un film di zombie, “Up with Dead People”. Recatosi al provino, Otto incontra la regista underground Medea Yarn (Katharina Klewinghaus), una goth-girl lesbica e amante dei cimiteri in procinto di girare un’opera di denuncia politica porno-zombi; la donna rimane folgorata dalla “naturale predisposizione” di Otto per il ruolo di protagonista e, senza pensarci due volte, lo scrittura immediatamente.
Fin dall'inizio diverse fasi della narrazione sono presentate come interviste a Otto o a Medea, una sorta di dietro le quinte, ma è da questo momento che il cinema diventa a tutti gli effetti metacinema, e non tanto perché il film mostri al suo interno le fasi di lavorazione di un altro film, ma perché nel momento in cui si demonizzano alcuni aspetti della realtà non si può non interrogarsi sul mezzo che si utilizza per veicolare il proprio messaggio e di conseguenza sul ruolo che deve assumere chi ha mezzi per interpretare e diffondere questo sguardo altro. Invece Medea, personaggio sopra le righe oltre ogni misura, con le sue lunghe arringhe e luoghi comuni (per carità, legittimi) sul consumismo, il capitalismo e gli odiati Stati Uniti rischia seriamente, in certi momenti, di diventare la caricatura di se stessa. Poi sì, c'è anche l'altro aspetto: Otto, interprete di se stesso in un film all’interno di un film quasi omonimo, prende (e contemporaneamente perde) consapevolezza della sua natura. Otto è davvero uno zombi, come ritiene di essere, oppure è solo lo schizofrenico che Medea è convinta egli sia? Non lo sapremo mai di sicuro, ma qualche idea potremo farcela nel momento in cui, finalmente, Otto si accorgerà di avere un portafoglio nella tasca posteriore. In esso egli troverà alcuni piccoli indizi sulla sua vita precedente, tra cui la foto e il numero di telefono di un ex fidanzato grazie al quale scoprirà alcuni importanti dettagli del suo passato.
Il lungometraggio è caratterizzato da un uso alternato del bianco e nero e del colore, ma i toni sono sempre smorzati, come a sottolineare la desolazione della metropoli e di coloro che la abitano. I personaggi di contorno sono qualcosa di incredibile: la troupe di Medea è composta dal fratello Adolf e dalla sua amante lesbica Hella (Susanne Sachße), una bellezza d’altri tempi presentata sempre in un bianco e nero sgranato come un personaggio del cinema muto (nei dialoghi, le battute riservate a Hella sono addirittura sostituite da intertitoli, quelli che per capirci erano le tipiche didascalie del cinema delle origini). Ci sono poi i compagni di set di Otto, dei veri gay capitanati da Fritz Fritze che nei minuti finali del film di Medea saranno coinvolti in un'allegra orgia di gruppo.
Per chi si crogiola nell’illusione della propria presunta “normalità”, cosa c'è di più destabilizzante di una diversità portata all'estremo? Cosa c’è di più destabilizzante di un'apocalisse di zombie gay, inesorabili predatori di carne umana nel duplice senso alimentare e sessuale? Questo è il principio su cui si basa "Otto; or, Up with Dead People”, un film che ha rivoluzionato totalmente le caratteristiche del morto vivente romeriano. Se per Romero infatti lo zombi era lo specchio dell’appiattimento della società nella quale tutti i componenti fanno le stesse cose, mangiano le stesse cose, fanno la spesa negli stessi centri commerciali, per LaBruce lo zombi è esattamente l’opposto, un essere che si scontra con la normalità, la mette in discussione e, in quanto diverso, non può che venire emarginato.
Fritz, il nostro antieroe, torna a casa dopo una lunga giornata di lavori forzati nelle miniere della moda. La venuta di una nuova ondata di zombie gay aveva reso il mondo ancora più paranoico rispetto agli omosessuali, soprannominati ora il "pericolo viola". Rientrando a casa, Fritz scopre sul pavimento della cucina il suo compagno Maximilian, che s'è sparato in testa. Non poteva più sopportare le persecuzioni e la paranoia. Ma il proiettile nel suo cranio non impedirà a Maximilian di rianimarsi. Dopo aver reclutato Fritz, suo amante, il duo necromantico prepara un'insurrezione contro la civiltà degli umani. Vengono fermati da una banda di teppisti armati di mazze da baseball. Maximilian si becca un'altra palla sulla testa e stavolta, viene soppresso per sempre. Fritz riesce a scappare e, ispirato dal martirio di Maximilian, inizia la sua ascensione verso l'infamia in quanto capo della guerriglia degli zombie omosessuali, il Che Guevara gay dei morti viventi. Agli inizi, recluta i suoi partigiani uno per uno, attirando degli omosessuali nei vicoli bui e aggredendoli per renderli immortali. Ben presto reclutò abbastanza membri per formare la sua banda, Un piccolo esercito di zombie gay i cui membri uccidevano e divoravano parzialmente giovani uomini. Ma non necessariamente in quest'ordine.
Ma Otto in questo scenario è ancor più che diverso. Egli è il diverso perfetto: non solo è omosessuale, non solo è uno zombi puzzolente che se ne va in giro con gli abiti stracciati e insanguinati. Otto è diverso anche perché vegetariano (o peggio, vegano) e, in quanto zombi, capite bene che questa è una diversità non da poco. Ma è proprio qui che il messaggio di LaBruce si fa ancora più potente, e se fino al quel momento possiamo aver letto il film come un originale zombi movie, a questo punto non possiamo che incassare il pugno nello stomaco più doloroso, disgustandoci alla vista della carne e dei suoi metodi di produzione. Eh sì, perché la carne non nasce imbustata e ripulita come siamo abituati a vederla al supermercato, ma è intrisa di sangue e sudore. La carne vive, poi muore e solo allora finisce sulle nostre tavole; non è possibile cibarsene senza accettare questa cruda realtà. In tal senso gli zombi, azzannando tutto ciò che gli capita a tiro e divenendo individualmente predatori, sono più onesti dei vivi, che relegano a una minoranza fra loro (i macellai) la responsabilità morale e materiale della morte degli animali.
In un mondo che si auto-fagocita, producendo più spazzatura di quanta ne riesca a smaltire, con un divertente gioco di parole le macellerie di LaBruce, metzgerei, divengono fleischerei; un'ironia sottile ma feroce che, concettualmente, mi ha ricordato (con tutte le differenze del caso, sia chiaro) certi lavori di Švankmajer.
La carne e il sangue di cui ci cibiamo, per un piacere più sessuale che alimentare, nelle immagini potenti di LaBruce cominciano a uscirci dagli occhi e a disgustarci. Ci chiediamo infine se quello che vediamo sia davvero ciò di cui necessitiamo, ciò che desideriamo, soprattutto in virtù del fatto che il sottoprodotto del nostro consumismo sembra in fondo creare più bisogni di quanti non ne soddisfi.
Cos’è in fondo il desiderio? Il bisogno di qualcosa che non possediamo? Oppure solamente un bisogno indotto dalla società che crea per noi i nostri bisogni, le nostre necessità e di conseguenza i nostri desideri? Ecco che la critica di LaBruce si estende alla società nella sua interezza, quella società che soffoca la natura, sfrutta gli animali, e crea montagne di rifiuti destinati a raggiungere quell'immortalità che l'uomo può solo sognare, una terra da incubo che un giorno i nostri figli erediteranno. Possiamo dunque accusare Otto di essere un diverso solo perché non desidera nulla di tutto questo?
Ma c'è una domanda ancora più pressante da farsi. Solo con l'alienazione o con la morte (e nella morte) possiamo aspirare a liberarci dalle catene del conformismo e ad essere finalmente e veramente noi stessi? Io dico che con un po’ di impegno possiamo farlo già adesso, prendendo spunto da Otto che, lasciatosi alle spalle le atmosfere cupe e opprimenti di Berlino, ritrova le geometrie ampie e ariose della campagna. Il simbolo di una scelta diversa e controcorrente nella quale ritrovare (o inseguire) se stesso e, soprattutto, un nuovo modo di vivere.
Accennavo all'inizio al progetto promosso oggi da Arwen Lynch per una serie di post a tematica LGBT... ebbene, se avete voglia di continuare a percorrere questo complesso itinerario fino alla fine, non mancate di visitare anche gli altri blog, nei quali si parla, in ordine sparso, dei seguenti film: I Segreti di Brockeback Mountain, Priscilla la regina del deserto, La Moglie del Soldato, Dallas Buyers Club, Appropriate Behavior, I am Michael, Weekend, Shortbus, Cruising e Pride.
A scanso di equivoci lo dico subito: non era nei miei piani iniziare la nuova stagione scrivendo un articolo di cinema. Nella mia testa (e nelle mie bozze) c’era già il post introduttivo di un progettino al quale io e la mia dolce metà stiamo lavorando. Chi mi segue su Google Plus probabilmente avrà già notato nelle scorse settimane una mezza anteprima, tutt’altro che esplicativa: a loro e a tutti gli altri chiedo quindi ancora qualche giorno di pazienza, dopodiché scopriremo le prime carte della “nuova stagione”.
Non intendevo parlare di cinema, stavo dicendo, fino a quando la collega blogger Arwen Lynch non mi ha chiesto, qualche giorno fa, di partecipare con un post alla sua iniziativa di compleanno (quello del blog, il settimo). Un’iniziativa che non pretende di scuotere le coscienze del mondo, penalizzata qual è dalle dimensioni trascurabili di un pugno di blog, ma che cerca in qualche modo di supportare i diritti civili della comunità omosessuale. A prescindere dall’opinione di ciascuno su questo argomento specifico, ritengo sia incontestabile che, laddove esista un qualsiasi tipo di discriminazione, occorra prontamente intervenire a smorzarne gli effetti. Se oggi infatti è il nostro vicino di casa a venire discriminato, domani potremmo essere noi a essere etichettati e giudicati per una qualsiasi nostra diversità. La storia insegna: nessuno di noi può definirsi al riparo dalle opinioni altrui.
Oggi quindi su questo e altri blog si parla di cinema a tematica LGBT. C’è chi ha scelto titoli classici e chi, come me, ha cercato qualcosa di un attimino più particolare, nella fattispecie un “Gay Zombie Movie” che, sebbene detto così possa farvi pensare a una boiata, è invece a suo modo una piccola opera d’arte, quantomeno per chi scrive.
Il regista Bruce LaBruce è un nome tra più noti nel circuito del cinema gay-porno a basso costo, ma è anche uno dei pochi che, sebbene la sua estrazione non lo lasci supporre, sia riuscito a ottenere una première nientemeno che al Sundance Film Festival (2008) e a vedere le sue opere proiettate in rassegne di spessore quali il BIFF di Berlino, il festival di Locarno e il TIFF di Toronto.
"Otto; or, Up with Dead People" (2008), il film di cui parliamo oggi, non è un horror e non è nemmeno un porno benché (affinché siate preparati) non lesini né in immagini sanguinose, legate a episodi di antropofagia e non solo, né in quelle esplicitamente sessuali, svelando qualche dettaglio anatomico di troppo. È invece un geniale tuffo nel mondo dell’emarginazione sociale, ritratto malinconico di coloro che lottano per ottenere il riconoscimento della propria natura. Il protagonista, Otto (splendidamente interpretato da Jey Crisfar), è un emarginato completo. Non solo è gay: è anche uno zombi. In un'epoca superstiziosa, molti credevano che il risveglio dei morti fosse una punizione divina per l'umanità. Questa spiegazione teologica divenne ancora più popolare quando si scoprì che l'ultima ondata di zombie era omosessuale. Una piaga gay si era abbattuta sull'umanità.
Nella scena inziale Otto (ri)sorge da una tomba, un’immagine classica che ha trasceso la settima arte e che, dal giorno in cui George Romero girò "La notte dei morti viventi" (1968), è entrata a far parte della cultura popolare giocando con una delle paure più radicate nel genere umano: quella della morte. Otto non ricorda nulla del suo passato e comincia a vagare per le strade senza meta, consapevole solo di aver bisogno di nutrirsi pur conservando un innato tabù nei confronti della carne umana, probabile reminiscenza di una vita da vegetariano.
Nel suo vagare Otto giunge a Berlino e si imbatte in un volantino che annuncia l’apertura delle audizioni per un film di zombie, “Up with Dead People”. Recatosi al provino, Otto incontra la regista underground Medea Yarn (Katharina Klewinghaus), una goth-girl lesbica e amante dei cimiteri in procinto di girare un’opera di denuncia politica porno-zombi; la donna rimane folgorata dalla “naturale predisposizione” di Otto per il ruolo di protagonista e, senza pensarci due volte, lo scrittura immediatamente.
Fin dall'inizio diverse fasi della narrazione sono presentate come interviste a Otto o a Medea, una sorta di dietro le quinte, ma è da questo momento che il cinema diventa a tutti gli effetti metacinema, e non tanto perché il film mostri al suo interno le fasi di lavorazione di un altro film, ma perché nel momento in cui si demonizzano alcuni aspetti della realtà non si può non interrogarsi sul mezzo che si utilizza per veicolare il proprio messaggio e di conseguenza sul ruolo che deve assumere chi ha mezzi per interpretare e diffondere questo sguardo altro. Invece Medea, personaggio sopra le righe oltre ogni misura, con le sue lunghe arringhe e luoghi comuni (per carità, legittimi) sul consumismo, il capitalismo e gli odiati Stati Uniti rischia seriamente, in certi momenti, di diventare la caricatura di se stessa. Poi sì, c'è anche l'altro aspetto: Otto, interprete di se stesso in un film all’interno di un film quasi omonimo, prende (e contemporaneamente perde) consapevolezza della sua natura. Otto è davvero uno zombi, come ritiene di essere, oppure è solo lo schizofrenico che Medea è convinta egli sia? Non lo sapremo mai di sicuro, ma qualche idea potremo farcela nel momento in cui, finalmente, Otto si accorgerà di avere un portafoglio nella tasca posteriore. In esso egli troverà alcuni piccoli indizi sulla sua vita precedente, tra cui la foto e il numero di telefono di un ex fidanzato grazie al quale scoprirà alcuni importanti dettagli del suo passato.
Il lungometraggio è caratterizzato da un uso alternato del bianco e nero e del colore, ma i toni sono sempre smorzati, come a sottolineare la desolazione della metropoli e di coloro che la abitano. I personaggi di contorno sono qualcosa di incredibile: la troupe di Medea è composta dal fratello Adolf e dalla sua amante lesbica Hella (Susanne Sachße), una bellezza d’altri tempi presentata sempre in un bianco e nero sgranato come un personaggio del cinema muto (nei dialoghi, le battute riservate a Hella sono addirittura sostituite da intertitoli, quelli che per capirci erano le tipiche didascalie del cinema delle origini). Ci sono poi i compagni di set di Otto, dei veri gay capitanati da Fritz Fritze che nei minuti finali del film di Medea saranno coinvolti in un'allegra orgia di gruppo.
Per chi si crogiola nell’illusione della propria presunta “normalità”, cosa c'è di più destabilizzante di una diversità portata all'estremo? Cosa c’è di più destabilizzante di un'apocalisse di zombie gay, inesorabili predatori di carne umana nel duplice senso alimentare e sessuale? Questo è il principio su cui si basa "Otto; or, Up with Dead People”, un film che ha rivoluzionato totalmente le caratteristiche del morto vivente romeriano. Se per Romero infatti lo zombi era lo specchio dell’appiattimento della società nella quale tutti i componenti fanno le stesse cose, mangiano le stesse cose, fanno la spesa negli stessi centri commerciali, per LaBruce lo zombi è esattamente l’opposto, un essere che si scontra con la normalità, la mette in discussione e, in quanto diverso, non può che venire emarginato.
Fritz, il nostro antieroe, torna a casa dopo una lunga giornata di lavori forzati nelle miniere della moda. La venuta di una nuova ondata di zombie gay aveva reso il mondo ancora più paranoico rispetto agli omosessuali, soprannominati ora il "pericolo viola". Rientrando a casa, Fritz scopre sul pavimento della cucina il suo compagno Maximilian, che s'è sparato in testa. Non poteva più sopportare le persecuzioni e la paranoia. Ma il proiettile nel suo cranio non impedirà a Maximilian di rianimarsi. Dopo aver reclutato Fritz, suo amante, il duo necromantico prepara un'insurrezione contro la civiltà degli umani. Vengono fermati da una banda di teppisti armati di mazze da baseball. Maximilian si becca un'altra palla sulla testa e stavolta, viene soppresso per sempre. Fritz riesce a scappare e, ispirato dal martirio di Maximilian, inizia la sua ascensione verso l'infamia in quanto capo della guerriglia degli zombie omosessuali, il Che Guevara gay dei morti viventi. Agli inizi, recluta i suoi partigiani uno per uno, attirando degli omosessuali nei vicoli bui e aggredendoli per renderli immortali. Ben presto reclutò abbastanza membri per formare la sua banda, Un piccolo esercito di zombie gay i cui membri uccidevano e divoravano parzialmente giovani uomini. Ma non necessariamente in quest'ordine.
Ma Otto in questo scenario è ancor più che diverso. Egli è il diverso perfetto: non solo è omosessuale, non solo è uno zombi puzzolente che se ne va in giro con gli abiti stracciati e insanguinati. Otto è diverso anche perché vegetariano (o peggio, vegano) e, in quanto zombi, capite bene che questa è una diversità non da poco. Ma è proprio qui che il messaggio di LaBruce si fa ancora più potente, e se fino al quel momento possiamo aver letto il film come un originale zombi movie, a questo punto non possiamo che incassare il pugno nello stomaco più doloroso, disgustandoci alla vista della carne e dei suoi metodi di produzione. Eh sì, perché la carne non nasce imbustata e ripulita come siamo abituati a vederla al supermercato, ma è intrisa di sangue e sudore. La carne vive, poi muore e solo allora finisce sulle nostre tavole; non è possibile cibarsene senza accettare questa cruda realtà. In tal senso gli zombi, azzannando tutto ciò che gli capita a tiro e divenendo individualmente predatori, sono più onesti dei vivi, che relegano a una minoranza fra loro (i macellai) la responsabilità morale e materiale della morte degli animali.
In un mondo che si auto-fagocita, producendo più spazzatura di quanta ne riesca a smaltire, con un divertente gioco di parole le macellerie di LaBruce, metzgerei, divengono fleischerei; un'ironia sottile ma feroce che, concettualmente, mi ha ricordato (con tutte le differenze del caso, sia chiaro) certi lavori di Švankmajer.
La carne e il sangue di cui ci cibiamo, per un piacere più sessuale che alimentare, nelle immagini potenti di LaBruce cominciano a uscirci dagli occhi e a disgustarci. Ci chiediamo infine se quello che vediamo sia davvero ciò di cui necessitiamo, ciò che desideriamo, soprattutto in virtù del fatto che il sottoprodotto del nostro consumismo sembra in fondo creare più bisogni di quanti non ne soddisfi.
Cos’è in fondo il desiderio? Il bisogno di qualcosa che non possediamo? Oppure solamente un bisogno indotto dalla società che crea per noi i nostri bisogni, le nostre necessità e di conseguenza i nostri desideri? Ecco che la critica di LaBruce si estende alla società nella sua interezza, quella società che soffoca la natura, sfrutta gli animali, e crea montagne di rifiuti destinati a raggiungere quell'immortalità che l'uomo può solo sognare, una terra da incubo che un giorno i nostri figli erediteranno. Possiamo dunque accusare Otto di essere un diverso solo perché non desidera nulla di tutto questo?
Ma c'è una domanda ancora più pressante da farsi. Solo con l'alienazione o con la morte (e nella morte) possiamo aspirare a liberarci dalle catene del conformismo e ad essere finalmente e veramente noi stessi? Io dico che con un po’ di impegno possiamo farlo già adesso, prendendo spunto da Otto che, lasciatosi alle spalle le atmosfere cupe e opprimenti di Berlino, ritrova le geometrie ampie e ariose della campagna. Il simbolo di una scelta diversa e controcorrente nella quale ritrovare (o inseguire) se stesso e, soprattutto, un nuovo modo di vivere.
Accennavo all'inizio al progetto promosso oggi da Arwen Lynch per una serie di post a tematica LGBT... ebbene, se avete voglia di continuare a percorrere questo complesso itinerario fino alla fine, non mancate di visitare anche gli altri blog, nei quali si parla, in ordine sparso, dei seguenti film: I Segreti di Brockeback Mountain, Priscilla la regina del deserto, La Moglie del Soldato, Dallas Buyers Club, Appropriate Behavior, I am Michael, Weekend, Shortbus, Cruising e Pride.
me lo segno ^_^ grazie per gli auguri e per aver parecipato alla mia iniziativa ^_^
RispondiEliminaGrazie a te per aver ideato questa iniziativa e per avermi dato l'opportunità di parlare di un argomento così particolare... ^_^
EliminaUn film che promette di essere molto delirante e che assolutamente non conoscevo! Segno e prometto di recuperarlo!
RispondiEliminaDelirante e, in un certo qual modo, divertente. Recupera!
EliminaPerò! Non vado pazzo per i film di zombi e la mia collezione anni '70 e dintorni ne comprende abbastanza pochi, ma questo ha altre caratteristiche che mi attraggono.
RispondiEliminaCosa strana, anch'io stavo meditando per il mio blog un articolo su un film, molto diverso da questo, ma al quale si adatterebbero bene alcune considerazioni che hai fatto qui.
A questo punto sono curioso di capire cosa avevi in mente. Attendo con ansia.
EliminaNon è un film facile da affrontare quello che ho scelto, ma forse il post va in porto. Rimani sintonizzato.
EliminaNeanch'io impazzisco per gli zombi, però questo sembra più un film anticonvenzionale che non il classico film zombie (quello sì, ormai, diventato convenzionale dopo l'esordio del primo Romero). Annotato.
RispondiEliminaL'aspetto zombesco non è prioritario nel vasto scenario di Otto. Credo che LaBruce abbia scelto quella figura del cinema horror, piuttosto che un'altra, solo proprio per capovolgere il messaggio romeriano.
EliminaChe ficata di film che deve essere! Mi piace come viene preso un 'banale' zombie movie per metterci tematiche che ancora oggi fanno discutere tutti, non solo i vegani.
RispondiEliminaNon lo vedo come "zombie movie" arricchito di tematiche forti. Piuttosto un film dalle tematiche forti dove sono stati inseriti qua e là degli zombi (tra l'altro abbastanza anomali nel loro genere).
EliminaSembra un film molto molto strano, hai davvero attirato la mia atteznione con questa recensione. Gli darò sicuramente un'occhiata!
RispondiEliminaNon è strano! E' Bruce LaBruce!
EliminaMi hai incuriosita, e non poco. Bruce LaBruce invece lo aveva fatto un paio d'anni fa a Venezia con il mai distribuito in Italia Gerontophilia, altra storia gay ai limiti (un appena ventenne che si innamora di un ottantenne) con tanto cuore.
RispondiEliminaGerontophilia ce l'ho nella mia wish list già da po'. Prima o poi verrà anche il suo momento...
EliminaCredo che potrebbe piacermi. Uh oh, interessante.
RispondiEliminaPotrebbe... chissà. Lo spero.
EliminaIo invece impazzisco per gli zombie, soprattutto quando diventano solo un pretesto. Leggendo il tuo post mi sono resa conto d'essermi persa un gran bella cosa. Devo assolutamente rimediare. E prima o poi ti ruberò quel magico cilindro da cui tiri fuori queste perle poco conosciute. :-)
RispondiEliminaCi tengo troppo a quel cilindro. Non riuscirai mai ad appropriartene! ^_^
EliminaMi era completamente sconosciuto, ma nonostante il genere zombie mi ha stufato, lantua sentita recensione mi spinge a saperne di più, spero di trovarlo in streaming.
RispondiEliminaQuando uscì questo film il genere zombesco non era ancora così abusato come lo è oggi... e si vede.
EliminaIl nome di Bruce La Bruce ormai è quasi "mitologico" per la sua aura cult... non ho mai visto niente di lui ma questa tua splendida recensione, al solito dettagliatissima e curata, non può non farmi venire voglia di colmare questa lacuna!
RispondiEliminaAnche a me sta venendo voglia di recuperare i suoi vecchi film. Il prossimo potrebbe essere "L.A. Zombie", un'altra storia di zombi gay, ma questa volta pure alieni. ^_^
EliminaLa tua scheda è bellissima, ma non sono state tirate in ballo troppo tematiche della diversità tutte insieme? Sinceramente la deriva vegetariana mi pare follia o.O
RispondiEliminaComunque fai venir voglia di recuperarlo e farsene un'idea precisa *__*
Se sei uno zombi cosa ti rende più diverso dell'essere vegetariano? Credimi, è un aspetto che ci sta tutto.
EliminaE infatti dall'esterno sembra un eccedere per esasperare la diversità, cosa che sarà voluta dal regista! Quindi follia nel senso della scelta di mettere anche questa tematica, non per altro eh! :D
EliminaUn'iniziativa veramente originale caro Obsidian,e la tua recensione ci ha proprio mostrato quasi dal vivo l'andamento della pellicola.
RispondiEliminaMan a mano che leggevi restavi attratto da questo strano connubio, tra morte e vita, emarginazioni e accettazioni, amore e morte, bianco e nero e tutto diventava più intrigante.
Devo ricordarlo, troppo curiosa per perderlo!
Grazie amico mio, abbraccio della buona notte!
Sono contento di essere riuscito a trasmetterti delle sensazioni positive. Era proprio quello che speravo. ^_^ Ciaoooo
EliminaSembra una figata, me lo segno!
RispondiEliminaNe garantisco la figaggine! Vai serena!
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