Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Sarà come smettere un vizio, come vedere nello specchio riemergere un viso morto, come ascoltare un labbro chiuso. Scenderemo nel gorgo muti. (Cesare Pavese)
Negli anni Settanta un massacro disumano macchia indelebilmente le pareti, e l’anima, di Villa Olmo.
Chi avrà il coraggio di riaprire quella maledetta casa per ferie immersa nella pace delle Dolomiti?
Perché là dentro, nel buio e nel silenzio, i fantasmi attendono, e solo altro sangue potrà placare la loro
sete…
1976: Fabio Mistretta, gestore della casa per ferie alpina Villa Olmo, compie un massacro. Ispirato da
paranoie religiose, uccide dapprima la figlia minorenne Arianna, colpevole di essersi lasciata
ingravidare da uno sconosciuto, poi la moglie e a seguire tutti gli ospiti rimasti ad albergare durante quelle tragiche giornate di fine stagione.
2010: un anno dopo la morte della moglie, Michele Corsini riapre la struttura e si prepara ad affrontare
una nuova stagione in compagnia del nuovo personale e dei fantasmi che gli affollano la mente. Ma si tratta solo di allucinazioni, o dopo tanti anni gli spettri di Villa Olmo stanno davvero forzando la mente
dell’uomo affinché la loro vendetta si compia? E poi c’è Lorenza, la nuova, strana cameriera, che prega
nel silenzio ombroso della cappella accarezzando un coltello, gli occhi accesi da una luce senza vita…
Intanto, nel silenzio, un bambino mai nato piange nel buio.
È un po’ ricominciare da dove eravamo rimasti, questo articolo. Sul finire di dicembre dello scorso anno, prima dei tradizionali post dedicati alla buona fine e al buon principio, ci eravamo smarriti tra i misteri celati nei lunghi corridoi dell’hotel Cecil di Los Angeles; oggi, in questo primo vero appuntamento del 2016, ritorniamo a parlare di alberghi maledetti. Niente di paragonabile, ovviamente, visto che, nel caso ciò bastasse a rincuorarvi, sono costretto a precisare subito che Villa Olmo, questa volta, è un luogo assolutamente immaginario. Se è vero però che spesso gli orrori della realtà superano di gran lunga gli orrori dell’immaginazione, bisogna anche ammettere che questi ultimi, ancor di più quando partoriti da autori come Nicola Lombardi e Luigi Boccia, la loro dose di brividi lungo la schiena sono in grado di regalarla. Per fortuna, a un certo punto solleviamo la testa dal libro e troviamo conforto nel familiare paesaggio della nostra casa, pieno di oggetti rassicuranti e lontani anni luce da ciò che quelle sinistre macchie d’inchiostro, su quelle pagine bianche che a stento sfogliamo, ci trasmette.
Arrivo a questo punto sull’entusiasmo della lettura de “La cisterna”, il romanzo di Nicola Lombardi di cui vi avevo scritto un piccolo resoconto verso la fine di novembre. Per inciso, e mi sovviene solo adesso mentre sto scrivendo, anche “La cisterna” è tutt’altro che trascurabile come punto in comune fra gli ultimi articoli pubblicati sul blog. Si tratta di una pura e semplice coincidenza oppure c’è un preciso disegno dietro tutto ciò? Da parte mia non c’è stata alcuna volontarietà, per lo meno a livello conscio. E a livello inconscio? Non saprei, ma non mi sento di escludere nulla. Fine dell’inciso.
Tornando al romanzo “La cisterna”, come ben capirete non potevo non cedere alla tentazione di ripetere quell’esperienza che definii come la lettura più sorprendente dell’anno. Ci sono infine riuscito? Scopriamolo insieme.
Villa Olmo si trova sul lato Nord del paese, e a vederla così, adesso, completamente chiusa, le imposte serrate e una catena a sentinella della porta d’ingesso, trasmette subito un senso di intima sofferenza. Dietro, un bosco che pare non aver fine si allarga come una chiazza di inchiostro verde bruno fino a lasciarsi inghiottire dalle rocce color avorio e cenere. Questi alberi hanno visto tutto, attraverso le finestre. E sono sicuro che non dimenticheranno.
I giornali lo avevano chiamato “L’inferno di Montebuio”, dal nome della cittadina montana dove in molti trascorrevano serenamente le loro settimane bianche in quel lontano inverno del 1976. Una serenità che venne spazzata via dalla furia di un fiume di sangue il giorno che Fabio Mistretta, gestore di Villa Olmo, impugnò una scure e fece scempio dei corpi della moglie, della figlia Arianna e di tutti i suoi sfortunati ospiti. Scorrendo le prime pagine di questo curioso ebook non possono non saltare subito alla mente le celeberrime immagini dell’Overlook Hotel, teatro di quell’altra, ben più celebre, strage perpetrata da Jack Torrance, il personaggio di Stephen King portato sul grande schermo da quella vecchia volpe di Stanley Kubrick. Le similitudini sono in effetti notevoli e, come suggeriscono alcune citazioni che troveremo qua e là più avanti nella lettura, non sono affatto casuali. Quale senso può avere riscrivere ciò che è già stato scritto, seppure cambiando un attimo l’ordine dei fattori, viene da chiedersi al lettore più pigro. Ma i due autori stanno soltanto prendendosi gioco dei più pigri: quello che hanno in mente è ben altro, e solo quei pochi, coloro che non sono talmente pigri (o presuntuosi) dal gettare la spugna dopo poche pagine, scopriranno cosa li aspetta alla foce di quel fiume di sangue.
Accompagnato dal custode, Leonardo D., e dall’appuntato dei carabinieri, Pietro B., ho avuto l’opportunità di aggirarmi per stanze e corridoi, seguendo le tappe del tragitto che ha condotto lo sciagurato Mistretta al folle gesto, e in tutta sincerità devo ammettere che la mia prima impressione è stata: Nessuno laverà mai via questo sangue. Ora, non è del sangue vero, reale, che intendo parlare – quello che a litri ha tinto le pareti, ma che oggi non è ormai più di uno stinto alone opaco – ma del sangue psichico, quello che una volta esploso infetta l’aria e i pensieri.
Dimenticatevi quindi di Shining! Oppure, se preferite, tenetelo a mente e godetevi, pagina dopo pagina, differenze e similitudini. Da parte mia posso solo dirvi che queste ultime si limitano all’ambientazione, quella dell’hotel maledetto che trascina in un baratro di follia la mente del proprio gestore. Tutto il resto è bello scoprirlo pagina dopo pagina, attraverso i racconti dei protagonisti. È bello scoprire la vera natura di quei vecchi avvenimenti attraverso i resoconti giornalistici dell’epoca, in particolare da quei passi prelevati da un testo scritto dal giornalista e studioso di storia locale Marco Bavaria due anni dopo la strage del 1976 e riportati qua e là, lasciando a loro il compito di tracciare il percorso e di interrompere la narrazione dove opportuno, imponendo al lettore dei salti temporali che gli sono necessari per potersi meglio soffermare sui punti cardine. È bello scoprire la vera natura di quei vecchi avvenimenti attraverso le tracce invisibili lasciate da Arianna nel suo breve passaggio terreno. Tracce invisibili che sono rimaste tali per un quarto di secolo ma che sono lì presenti, sono sempre state lì e lo sono ancora, incapaci di mostrarsi e di rivelare al mondo una verità sconvolgente quanto inaccettabile. È bello scoprire la vera natura di quei vecchi avvenimenti anche attraverso gli appunti del confessore spirituale di Fabio Mistetta.
Pur avendo un ruolo quasi marginale, anche don Giacomo, il parroco di Montelupo, è un personaggio importante per la comprensione degli eventi che compongono questa storia. Come abbiamo già accennato nel capitolo precedente, Fabio Mistretta è un uomo profondamente cattolico, e ha con don Giacomo un legame di stima e di rispetto consolidato nel tempo: Villa Olmo ricade infatti nella giurisdizione parrocchiale di don Giacomo, il quale è praticamente il confidente spirituale fin dai tempi in cui la gestione era nelle mani di Alfredo Mistretta, il padre di Fabio. […] Don Giacomo scrive occasionalmente una sorta di diario, un piccolo taccuino su cui è solito annotare gli episodi che lo colpiscono in particolar modo. Molte pagine di quel taccuino sono proprio dedicate alla figura e al – cambiamento di pelle – di Fabio Mistretta.
Ma sono altrettanto belle e importanti le annotazioni di Michele Corsini, colui che, dopo anni di chiusura, prenderà le redini di Villa Olmo, riaprirà l’attività e, neanche a dirlo, verrà a poco a poco risucchiato nello stesso baratro che già aveva risucchiato il suo predecessore. Un destino inevitabile? Forse no, perché in passato ci fu un altro tentativo di riaprire la struttura, un tentativo che durò meno dello spazio di una stagione ma il cui epilogo fu tutt’altro che tragico, grazie alla determinazione di una donna. Una donna il cui nome non era Wendy, giusto per sottolineare il distacco netto e assoluto con il celebre ispiratore, bensì un molto più semplice e italianissimo Lucia Ferretti.
Questo è il passaggio più delicato dell’intera tragedia, poiché rappresenta il “punto di rottura” in Mistretta. È da questo momento, infatti, che comincia a prendere veramente forma nella sua psiche ormai compromessa quella che lui stesso in seguito definirà La Bestia Oscura, la presenza che “respira” nel suo cuore e che scatenerà in lui la devastante furia omicida.
Come mi capita sovente negli ultimi tempi, ho letto questo libro tutto d’un fiato nel corso di uno dei miei soliti tragitti ferroviari Roma-Milano, tra i bambini urlanti malgestiti da una coppia alla mia sinistra e il chiacchericcio costante di un paio di anziani bolognesi di fronte a me. Sicuramente non la condizione ideale per affrontare un racconto del genere ma, è ormai noto, di questi tempi si cerca di sfruttare il meglio di ogni occasione. Già pubblicato per la prima volta nel 2011, all’interno di un’antologia a cura della Dark House Book dal titolo de “La notte chiama e altre storie”, il singolo racconto è riproposto oggi dai due Autori in formato elettronico attraverso la casa editrice Delos a un prezzo tutt’altro che inaffrontabile. Poco meno di centocinquanta pagine che valgono fino all’ultimo quella manciata di euro a cui sono proposte. Come inizio dell’anno niente male, direi. Proprio niente male.
Arrivo a questo punto sull’entusiasmo della lettura de “La cisterna”, il romanzo di Nicola Lombardi di cui vi avevo scritto un piccolo resoconto verso la fine di novembre. Per inciso, e mi sovviene solo adesso mentre sto scrivendo, anche “La cisterna” è tutt’altro che trascurabile come punto in comune fra gli ultimi articoli pubblicati sul blog. Si tratta di una pura e semplice coincidenza oppure c’è un preciso disegno dietro tutto ciò? Da parte mia non c’è stata alcuna volontarietà, per lo meno a livello conscio. E a livello inconscio? Non saprei, ma non mi sento di escludere nulla. Fine dell’inciso.
Tornando al romanzo “La cisterna”, come ben capirete non potevo non cedere alla tentazione di ripetere quell’esperienza che definii come la lettura più sorprendente dell’anno. Ci sono infine riuscito? Scopriamolo insieme.
I giornali lo avevano chiamato “L’inferno di Montebuio”, dal nome della cittadina montana dove in molti trascorrevano serenamente le loro settimane bianche in quel lontano inverno del 1976. Una serenità che venne spazzata via dalla furia di un fiume di sangue il giorno che Fabio Mistretta, gestore di Villa Olmo, impugnò una scure e fece scempio dei corpi della moglie, della figlia Arianna e di tutti i suoi sfortunati ospiti. Scorrendo le prime pagine di questo curioso ebook non possono non saltare subito alla mente le celeberrime immagini dell’Overlook Hotel, teatro di quell’altra, ben più celebre, strage perpetrata da Jack Torrance, il personaggio di Stephen King portato sul grande schermo da quella vecchia volpe di Stanley Kubrick. Le similitudini sono in effetti notevoli e, come suggeriscono alcune citazioni che troveremo qua e là più avanti nella lettura, non sono affatto casuali. Quale senso può avere riscrivere ciò che è già stato scritto, seppure cambiando un attimo l’ordine dei fattori, viene da chiedersi al lettore più pigro. Ma i due autori stanno soltanto prendendosi gioco dei più pigri: quello che hanno in mente è ben altro, e solo quei pochi, coloro che non sono talmente pigri (o presuntuosi) dal gettare la spugna dopo poche pagine, scopriranno cosa li aspetta alla foce di quel fiume di sangue.
Accompagnato dal custode, Leonardo D., e dall’appuntato dei carabinieri, Pietro B., ho avuto l’opportunità di aggirarmi per stanze e corridoi, seguendo le tappe del tragitto che ha condotto lo sciagurato Mistretta al folle gesto, e in tutta sincerità devo ammettere che la mia prima impressione è stata: Nessuno laverà mai via questo sangue. Ora, non è del sangue vero, reale, che intendo parlare – quello che a litri ha tinto le pareti, ma che oggi non è ormai più di uno stinto alone opaco – ma del sangue psichico, quello che una volta esploso infetta l’aria e i pensieri.
Dimenticatevi quindi di Shining! Oppure, se preferite, tenetelo a mente e godetevi, pagina dopo pagina, differenze e similitudini. Da parte mia posso solo dirvi che queste ultime si limitano all’ambientazione, quella dell’hotel maledetto che trascina in un baratro di follia la mente del proprio gestore. Tutto il resto è bello scoprirlo pagina dopo pagina, attraverso i racconti dei protagonisti. È bello scoprire la vera natura di quei vecchi avvenimenti attraverso i resoconti giornalistici dell’epoca, in particolare da quei passi prelevati da un testo scritto dal giornalista e studioso di storia locale Marco Bavaria due anni dopo la strage del 1976 e riportati qua e là, lasciando a loro il compito di tracciare il percorso e di interrompere la narrazione dove opportuno, imponendo al lettore dei salti temporali che gli sono necessari per potersi meglio soffermare sui punti cardine. È bello scoprire la vera natura di quei vecchi avvenimenti attraverso le tracce invisibili lasciate da Arianna nel suo breve passaggio terreno. Tracce invisibili che sono rimaste tali per un quarto di secolo ma che sono lì presenti, sono sempre state lì e lo sono ancora, incapaci di mostrarsi e di rivelare al mondo una verità sconvolgente quanto inaccettabile. È bello scoprire la vera natura di quei vecchi avvenimenti anche attraverso gli appunti del confessore spirituale di Fabio Mistetta.
Pur avendo un ruolo quasi marginale, anche don Giacomo, il parroco di Montelupo, è un personaggio importante per la comprensione degli eventi che compongono questa storia. Come abbiamo già accennato nel capitolo precedente, Fabio Mistretta è un uomo profondamente cattolico, e ha con don Giacomo un legame di stima e di rispetto consolidato nel tempo: Villa Olmo ricade infatti nella giurisdizione parrocchiale di don Giacomo, il quale è praticamente il confidente spirituale fin dai tempi in cui la gestione era nelle mani di Alfredo Mistretta, il padre di Fabio. […] Don Giacomo scrive occasionalmente una sorta di diario, un piccolo taccuino su cui è solito annotare gli episodi che lo colpiscono in particolar modo. Molte pagine di quel taccuino sono proprio dedicate alla figura e al – cambiamento di pelle – di Fabio Mistretta.
Ma sono altrettanto belle e importanti le annotazioni di Michele Corsini, colui che, dopo anni di chiusura, prenderà le redini di Villa Olmo, riaprirà l’attività e, neanche a dirlo, verrà a poco a poco risucchiato nello stesso baratro che già aveva risucchiato il suo predecessore. Un destino inevitabile? Forse no, perché in passato ci fu un altro tentativo di riaprire la struttura, un tentativo che durò meno dello spazio di una stagione ma il cui epilogo fu tutt’altro che tragico, grazie alla determinazione di una donna. Una donna il cui nome non era Wendy, giusto per sottolineare il distacco netto e assoluto con il celebre ispiratore, bensì un molto più semplice e italianissimo Lucia Ferretti.
Questo è il passaggio più delicato dell’intera tragedia, poiché rappresenta il “punto di rottura” in Mistretta. È da questo momento, infatti, che comincia a prendere veramente forma nella sua psiche ormai compromessa quella che lui stesso in seguito definirà La Bestia Oscura, la presenza che “respira” nel suo cuore e che scatenerà in lui la devastante furia omicida.
Come mi capita sovente negli ultimi tempi, ho letto questo libro tutto d’un fiato nel corso di uno dei miei soliti tragitti ferroviari Roma-Milano, tra i bambini urlanti malgestiti da una coppia alla mia sinistra e il chiacchericcio costante di un paio di anziani bolognesi di fronte a me. Sicuramente non la condizione ideale per affrontare un racconto del genere ma, è ormai noto, di questi tempi si cerca di sfruttare il meglio di ogni occasione. Già pubblicato per la prima volta nel 2011, all’interno di un’antologia a cura della Dark House Book dal titolo de “La notte chiama e altre storie”, il singolo racconto è riproposto oggi dai due Autori in formato elettronico attraverso la casa editrice Delos a un prezzo tutt’altro che inaffrontabile. Poco meno di centocinquanta pagine che valgono fino all’ultimo quella manciata di euro a cui sono proposte. Come inizio dell’anno niente male, direi. Proprio niente male.
Conosco Boccia dai tempi in cui con una piccola casa editrice pubblicò una raccolta di tre racconti (di ispirazione lovecraftiana) uscita a metà anni '90s
RispondiEliminaUn autore davvero valido.
Come sempre sei troppo avanti. Ti ricordi per caso qual era il titolo di quella raccolta?
EliminaIn effetti anch'io un tempo, quando viaggiavo molto in treno, leggevo assai più di adesso. E' la cosa che rimpiango di più della mia ex vita di trasferte.
RispondiEliminaI mezzi pubblici sono un ottimo incentivo alla lettura. Nonostante ciò preferirei centomila volte non doverli frequentare...
EliminaL'italianizzazione di una certa narrativa, generalmente ambientata in America anche quando l'autore non è americano, è sempre una buona notizia.
RispondiEliminaIn questo caso è tutto "molto italiano": i personaggi, l'ambientazione, i fatti. Solo vagamente ci si accorge di un substrato esotico dovuto, in gran parte, solo alla notorietà dell'opera kinghiana.
EliminaA me non dispiacciono le opere che si ispirano a grandi "cult": se ben fatte, possono essere sorprendenti. Inquietante la storia e l'andamento, se ho ben capito, a flashback dovrebbe creare ulteriore suspense. Il cambiamento di pelle (ma in senso figurato, o no?) fa pensare molto male o.O
RispondiEliminaIL cambiamento di pelle è solo in senso figurato, altrimenti più che Stephen King mi avrebbe ricordato Clive Barker ^:^
EliminaSecondo me c'è anche una spolverata di Argento...
RispondiEliminaCosa te lo fa pensare?
EliminaMah, un po' le atmosfere, gli omicidi nell'hotel che si rivedono nel presente mi ricordano quelli della villa di Profondo Rosso.
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