martedì 28 agosto 2018

Play Motel

La fine di agosto si avvicina e con essa arriva al capolinea anche questo piccolo speciale dedicato ai ripescaggi cinematografici dal blog che c'era una volta e che ora non c'è più.
In un certo senso è stato come salire in soffitta e riaprire quel vecchio baule della nonna sepolto dalla polvere dei secoli: in mezzo a tanta fuffa qualcosa di buono torna sempre alla luce.
Inizio solo ora a spiegarmi il motivo per cui il progetto Obsploitation, nella sua forma originale, finì per perdersi. Credo fosse principalmente per via del suo essere monotematico. Scrivere di cinema è piacevole, soprattutto se si tratta di un cinema che si è sempre apprezzato e, in certi casi, anche idolatrato, ma rimane pur sempre un'attività limitante.
Il blog su cui siete oggi, e che tra pochi giorni riprenderà il suo corso normale, ha il pregio di non annoiarmi mai, cambiandosi così frequentemente l'abito. Dopo un agosto di Obsploitation, che si somma ad un luglio altrettanto pregno di argomenti cinefili, inizio a percepire un po' di nausea ed è ora di correre decisamente ai ripari.
Sarà un caso, ma la recensione di "Play Motel" che ripropongo oggi fu anche l'ultima che scrissi per Obsploitation prima della sua chiusura. Era il 18 settembre 2015...

Scrivere un articolo su “Play Motel”, lungometraggio girato nel 1979 dal semisconosciuto regista biellese Mario Gariazzo, non è cosa semplice. Innanzitutto ne è difficile la catalogazione: potrebbe essere un giallo all’italiana con delle sfumature softcore, spesso confinanti nell’hard, oppure un semplice crime-movie demenziale sfociante nel grottesco. In qualunque modo la vogliamo guardare, questa pellicola prende e mette insieme il peggio dei vari generi a cui s’ispira ma, per quello strano fenomeno che mai capiremo, qualcuno è riuscito pure a elevarla a livello di cult, pur se limitatamente alla scena trash. Per “Play Motel” Gariazzo dispone di una squadra con due punte d’eccezione: una venticinquenne Anna Maria Rizzoli, all’apice del suo splendore, e il leggendario Ray Lovelock, indiscusso protagonista del poliziottesco italiano di quegli anni. Poteva il nostro buon Mario Gariazzo, con siffatto biglietto da visita, scaraventare nel cesso un’occasione dalle potenzialità così evidenti? Ebbene sì, tutto ad un certo punto finì nel cesso. Ma fu non certo colpa sua.
Alla fine degli anni Settanta il cinema italiano stava ormai raschiando il barile in tutti i suoi generi più acclamati all’estero: il giallo all’italiana era ormai stato mostrato in tutte le sue salse e l’erotic-horror aveva già sparato quasi tutte le sue cartucce per mano del solito Joe D’Amato. In ogni caso, le due cose messe assieme non generarono mai nulla di buono e “Play Motel” ne fu la definitiva conferma.
In un cinema italiano ormai alla canna del gas, di fronte ad un pubblico ormai palesemente orientato verso un erotismo sempre più esplicito, i produttori cercavano di virare la loro offerta sulla morbosità del nome di grido inserito in un contesto a luci rosse. In uno scenario del genere furono centinaia, se non migliaia, le pellicole massacrate a posteriori da inserti hard non previsti dal copione originale e uno di questi, come avrete indovinato, fu proprio “Play Motel”. Mentre Gariazzo dirigeva Lovelock e la Rizzoli, convinto di avere tra le mani la possibilità di realizzare un giallo in stile Dario Argento (indiscutibili alcuni omaggi a “Profondo Rosso” inseriti dal regista piemontese nel girato originale), la produzione, in gran segreto, stava già lavorando agli inserti hard da inserire nella versione definitiva.
Altrove, infatti, un terzo nome “di grido” stava già girando le sue parti davanti a una diversa cinepresa: era la discussa attrice e modella svedese Marina Hedman Bellis, meglio conosciuta con il nome d’arte di Marina Lotar (o se preferite Marina Frajese), una delle più controverse stelle del firmamento porno anni Ottanta. Quando la faccenda venne infine alla luce gran parte del cast ufficiale, tra cui Ray Lovelock, Anna Maria Rizzoli e lo stesso regista Mario Gariazzo, fece le valige e se ne andò sbattendo la porta, abbandonando il film al suo destino. Nulla di grave, perlomeno dal punto di vista degli imperturbabili produttori: il film uscì infine nelle sale e, perlomeno nella versione che è giunta sino a noi, il primo quarto d’ora è infatti totalmente appannaggio di Marina Lotar, alla quale viene semplicemente richiesto di fare ciò che la prorompente svedesona meglio sa fare. Tutto quello che rimane del lavoro di Gariazzo è una specie di “giallo pallido” all’italiana nel quale, di tanto in tanto, uno svogliato omicidio spezza l’inesauribile catena di amplessi, il più delle volte superflui se non ai fini di estendere il minutaggio e renderlo compatibile con la distribuzione. Peccato perché la trama gialla, se fosse stata meglio sfruttata, poteva davvero portare a qualche risultato interessante.

Siamo a Roma, in un motel appena fuori città dove facoltosi uomini d’affari sfogano i loro appetiti sessuali (e le loro fantasie più sfrenate) con procaci ragazze disponibili a concedersi per denaro. In questo esclusivissimo angolo di piacere tutti gli ospiti, chi prima chi dopo, finiscono nella trappola tesa da individui senza scrupoli che scattano immagini compromettenti alle coppie occasionali. Stiamo parlando di un giro di ricatti a causa dei quali uomini e donne finiscono per perdere non solo la rispettabilità, ma anche la vita per mano di un misterioso omicida. Chi si occuperà di indagare su quanto sta avvenendo? La polizia? Certo che no. Sarà una coppia di amanti, Patrizia (Anna Maria Rizzoli) e Roberto (Ray Lovelock) che, dopo aver trascorso qualche ora di intimità in una stanza del “Play Motel”, si troverà suo malgrado coinvolta nella vicenda. Nella necessità di far sparire un cadavere, il misterioso assassino ritiene infatti un’ottima idea quella di nasconderlo nell’auto della coppia la quale, dopo essersi allontanata dal motel, finirà per fare la macabra scoperta.

Ed è qui che entra in gioco lo strano meccanismo che fa sì che la polizia, anziché occuparsi in prima persona della vicenda, coinvolge i due poveretti in una situazione a dir poco surreale. Di fatto saranno i due, con appostamenti e quant’altro, a dipanare il mistero. In particolare, Patrizia verrà incaricata di contattare il presunto fotografo della banda di ricattatori, che la costringerà ad un’estenuante (e non troppo sofferta) sessione di nudo, e poi le verrà chiesto di penetrare nel motel di nascosto e ottenere le prove necessarie ad incriminare i ricattatori. Vien da chiedersi come mai la polizia non si occupi direttamente delle indagini: forse non esistono donne poliziotto adatte a missioni così rischiose? Ci si chiede anche come mai Roberto e Patrizia non mandino subito a quel paese il commissario De Santis (Anthony Steffen) e le sue richieste assurde, e si mettano a giocare agli investigatori dilettanti con tutti i rischi che ne conseguono. Lungi dal preoccuparsi seriamente per la sua incolumità, quando la ragazza si troverà in serio pericolo De Santis e lo stesso Roberto si mostreranno preoccupati solo che Patrizia non mandi a monte l’operazione.

Ma questa disinvoltura di fondo, devo dire, sembra un classico di questo tipo di produzioni, in cui spesso gli agenti polizia si limitano a fare congetture e regalare perle di saggezza senza combinare granché, arrivando poi alla soluzione del crimine grazie a un intervento esterno, o comunque più per un caso fortuito che per la loro abilità di investigatori.
Un giallo ambientato nel mondo della prostituzione? Di primo acchito sembrerebbe interessante e, probabilmente, nella mente di Mario Gariazzo questo film interessante lo era veramente. E invece no.
Quando sembra che la vicenda stia per prendere una piega diversa, che stia per offrire un minimo brivido o un po’ di suspense, ecco che arriva inesorabile la scena di sesso che azzera e appiattisce tutto. Un vero peccato, ripeto, perché i presupposti per un bel giallo c’erano tutti. Alla fine, in tutto questo disastro, ci solo però alcune cose da salvare. Prima tra tutte quella sequenza menzionata prima in cui una superba Anna Maria Rizzoli, per meglio supportare la sua parte di infiltrata della polizia, offre all’obiettivo di un fotografo una serie di scatti davvero memorabili. In secondo luogo le numerose e probabilmente involontarie situazioni al limite del grottesco che, nonostante tutto, riescono a strappare ben più di un sorriso: il commissario De Santis, tanto per dirne una, risale all’identità di una delle tante accompagnatrici attraverso la consultazione dell’archivio di pubblicazioni erotiche della polizia. Chi avrebbe mai detto che la polizia tenesse un archivio di riviste porno nei propri uffici?! Geniale!! Tutto il resto è poco o nulla. Si salvano dal disastro anche la stupenda fotografia di Aldo Greci, un po’ sbiadita nella versione tv-rip da me visionata, e la superba colonna sonora di Ubaldo Continiello che ancora oggi, a una settimana di distanza dalla visione di "Play Motel", continua a risuonarmi nel cervello.

Le inquadrature alla geniale pseudo-rivista "Confidenze Erotiche" sono momenti di grande cinema.

8 commenti:

  1. Anche Anna Maria Rizzoli me la ricordo, pure lei poco fortunata.
    Purtroppo la deriva del cinema italiano degli anni '70 di cui parli ha portato poi all'esplosione delle commedie "pecorecce", gli unici film a bassissimo costo che garantissero un po' di incassi (oltre alle varie parodie di Franco e Ciccio). E ricordo che la Rizzoli finì purtroppo a girare roba del genere.
    Diciamo che, dovendo scegliere, persino gli ultimi gialli-polizieschi meno riusciti e più malamente contaminati dalla sexploitation, sono comunque stati almeno un tentativo di fare cinema e non anti-cinema come quello che sarebbe seguito di lì a breve.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ...e pensare che quelle commedie pecorecce di cui parli, un tempo tanto bistrattate, si sarebbero poi trasformate in merdosi cinepanettoni.
      Avessimo adesso i Banfi e i Pozzetto di quel tempo! Ah, come mi mancano!

      Elimina
  2. Un film che sto guardando a puntate, nel senso che siccome è un programmazione semi costante su Cielo, ogni tanto me ne guardo un pezzo (storia vera), dovrei decidermi a vederlo come si deve dall’inizio alla fine una buona volta ;-) Cheers

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cioè, spiegami.... ti guardi dall'inzio alla fine i film Steven Seagal e trascuri questa succosissima perla cinefila! Non ho parole!

      Elimina
  3. L'usanza degli inserti porno a casaccio è davvero un'usanza barbara: massima stima per gli artisti che hanno deciso di mollare saputo il brutto scherzo della produzione.
    Non conoscevo il titolo, ma visto che scopro da Cassidy che passa spesso su Cielo, vedrò di colmare la lacuna ;-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti fa cilecca la memoria, etrusco! Ne avevamo parlato in pvt un annetto fa di questo film e delle sue fantastiche pseudo-riviste!

      Elimina
  4. Film interessante rovinato dagli inserti hard.
    Rimane dunque una sola cosa: il lunghissimo nudo integrale di Anna Maria Rizzoli, scena molto più eccitante (scusa il termine) per la sensualità rispetto a tutti gli inserti hard così raffazzonati ed espliciti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La Rizzoli è memorabile ma, con un po' di buona volontà, salverei anche altre cose, tipo la comicità involontaria di certe situazioni...

      Elimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...