mercoledì 8 agosto 2018

Sei donne per l'assassino

Secondo appuntamento con Obsploitation: Rewind e secondo ripescaggio nella memoria più remota del sottoscritto: questa volta si tratta del leggendario "Sei donne per l'assassino" di Mario Bava, altro film che definire fondamentale è quasi riduttivo.
Era il 26 marzo 2014 la data in cui decisi di far uscire la recensione che tra qualche istante andrete a leggere o a rileggere. Praticamente è passato un secolo.
A quel tempo, ricordo, fui a lungo combattuto sulla scelta di far uscire l'articolo su questo blog oppure di proporlo su Obsploitation: Mario Bava ben si adattava infatti all'impostazione che avevo dato al The Obsidian Mirror delle origini e, quasi senza farlo apposta, non era poi nemmeno molto che avevo intrattenuto i miei quattro lettori di allora con le recensioni de La maschera del demonio e de La frusta e il corpo, due tra i miei personali guilty pleasures firmati dallo stesso regista sanremese. Come andò poi a finire ormai lo sappiamo ma, stavo riflettendo, quale migliore occasione di questo rispolvero estivo per mettere una definitiva parola fine a quel tarlo di coscienza?
Dopo Banditi a Milano di Carlo Lizzani, che ha inaugurato il filone poliziottesco, quale naturale proseguimento potrebbe essere meglio di “Sei donne per l’assassino", unanimemente riconosciuto come il primo giallo all’italiana della storia?

È bene a questo punto precisare che, secondo una diversa scuola di pensiero, Mario Bava avrebbe inaugurato il filone già due anni prima con il classicissimo “La ragazza che sapeva troppo” (1962), film di indubbio valore che però inserirei più propriamente in una categoria di stampo più, ehm, diciamo “hitchcockiana”, sia per il chiaro riferimento a “L’uomo che sapeva troppo” (1934 e 1956), sia per il tema della follia (come movente, ma non solo), sia per l’utilizzo del bianco e nero che rievoca le atmosfere dei migliori lavori del regista inglese (“Psycho” usciva tra l’altro proprio in quegli anni). Ma vediamo cosa scrissi su Obsploitation quattro anni fa a proposito di “Sei donne per l’assassino"...

Questo “Sei donne per l’assassino” è innegabilmente diverso. Si direbbe siano passati vent’anni da “La ragazza che sapeva troppo”. Le atmosfere sono completamente diverse. Qui c’è innanzitutto il colore, che diamine! Mario Bava ha mostrato al mondo come girare le scene di suspense in Technicolor! E quel  colore non è assolutamente lo stesso colore dei film “hitchcockiani” a lui contemporanei (“Gli uccelli”, 1963 e “Marnie”, 1964). La fotografia di “Sei donne per l’assassino” è satura di rosso, il rosso del sangue, e di giallo, quel giallo che solo pochi anni dopo un certo Dario Argento avrebbe trasformato in un fenomeno di massa.

Ed è molto facile per chi conosce a memoria ogni singola scena girata da Dario Argento, da “L’uccello dalle piume di cristallo” (1970) a “Opera” (1987), ritrovare in questo Bava tutti gli ingredienti che codificheranno il giallo all’italiana e ne faranno un genere che tutto il mondo ci avrebbe invidiato e che, con risultati spesso discutibili, ci avrebbe copiato. Troviamo per la prima volta in questo Bava la figura dell’assassino psicopatico che si aggira nell’ombra indossando un impermeabile nero e guanti dello stesso colore, lo stesso del già citato “L’uccello dalle piume di cristallo” e di “Profondo Rosso” (1975). Troviamo per la prima volta in Bava una macchina da presa che riprende le scene degli omicidi utilizzando l’allora rivoluzionaria soggettiva dell’assassino, il tutto condito da litri di sangue, efferata ed insistita violenza negli omicidi e, naturalmente splendide e seducenti ragazze. Ma le analogie non si fermano qui: come non riconoscere nella suggestiva scena iniziale, girata all’esterno di una villa nel corso di un temporale, la scena iniziale di "Suspiria” (1977)? Come non riconoscere nell’atelier della contessa Cristiana Cuomo, fulcro pulsante di questo “Sei donne per l’assassino”, la prestigiosa accademia di danza di Friburgo, che Argento avrebbe scelto come dimora per una delle sue “tre madri”? E come non riconoscere la scena dell’annegamento di una ragazza nella vasca da bagno la stessa identica scena che Dario Argento utilizzerà in “Profondo Rosso”? Dario Argento, è vero, aggiungerà poi un tocco sadico tipico dei suoi film, scegliendo di utilizzare l’acqua bollente, ma quasi certamente lo farà mutuando un altro omicidio presente nel capostipite baviano.

Se siete arrivati a leggere fin qui sperando di trovare uno straccio di trama o un riassunto in poche righe di ciò che succede in “Sei donne per l’assassino”, beh, mi dispiace di avervi deluso. Nei limiti del possibile cerco sempre, in generale, di evitare di dilungarmi con parole che si possono facilmente trovare altrove. Preferisco accennare alle sensazioni che un film mi ha trasmesso. E questo film in particolare regala diverse sensazioni contrastanti: la paura e l’angoscia, naturalmente, ma anche il fascino della sua maestosa fotografia, del sapiente mix di luci e ombre, dei suoi contrasti tra il giorno e la notte. L’ambiente principale è quello di un atelier di alta moda, di giorno popolato da favolose modelle, vocianti ragazze che rendono l’atmosfera ariosa, allegra e positiva. Nello stesso luogo di notte non rimangono che nudi manichini, che lo trasformano in un luogo da incubo, nell’anticamera di un inferno dove, ad ogni passo può celarsi il più terribile dei pericoli. Lo stesso contrasto lo troviamo anche negli esterni, o nella “bottega” antiquaria dove qualcuno andrà incontro al proprio destino. E cosa c’è di più inquietante di un ambiente notturno pieno di manichini, se non un ambiente notturno pieno di oggetti di antiquariato? All’inizio parlavo, tutt’altro che impropriamente, di “gotico”: tecnicamente manca solo il castello e un paio di fantasmi per fare di “Sei donne per l’assassino” un gotico puro ma, se provate a dare uno sguardo alla magnificenza di Villa Sciarra a Roma, che nel film ha prestato le sue stanze al suddetto atelier, capirete da soli che ai canoni del gotico ci andiamo davvero molto vicino.

Ricordo che la prima volta che vidi “Sei donne per l’assassino”, molto tempo fa, non feci molta attenzione a ciò che avevo davanti agli occhi. Non avevo capito. Lo scambiai per un filmetto come tanti altri, quelli di cui non vale la pena conservare nemmeno il più flebile ricordo. Così feci, infatti, e me ne dimenticai al punto che qualche giorno fa, nel corso di una seconda visione (quella che in realtà credevo essere la prima), ne ricavai, prima solo una sensazione, poi lentamente con il passare dei minuti, una ferma certezza di deja-vu. Come avevo potuto, proprio io, rimuoverlo dalla memoria in quella maniera? La realtà è che, sebbene “Sei donne per l’assassino” abbia segnato un importante solco, la sua trama e, più in generale, il suo ritmo risultano nel loro insieme un po’ claudicanti e, agli occhi dello spettatore disattento, la visione potrebbe risultarne in un certo qual modo deludente. Tutto ciò non toglie però un grammo dal suo valore complessivo e, seppure altri film di Mario Bava risultino essere invecchiati meglio, vale la pena dedicare un paio d’ore della propria vita per recuperare un pezzo di storia del cinema, un cinema che oggi non siamo ahimè più in grado di fare.

Non serve discuterne: come potrebbe questo film non essere un CULT?

9 commenti:

  1. «Mario Bava ha mostrato al mondo come girare le scene di suspense in Technicolor!»

    Non potrei essere più d’accordo, facile essere espressivi con il bianco nero, prova a farlo con il colore ;-) “Sei donne per l’assassino” è il motivo per cui non sono mai diventato un accanito fan di Dario Argento, senza questo film, e in generale senza Mario Bava, non avremmo mai avuto Argento, garantito al limone. Per me questo è uno delle pietre miliari dello slasher, assolutamente fondamentale, ci meritava uno spazio in questa tua rubrica a tema ;-) Cheers

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    1. Se hai visto questo film allora ti rendi conto che Argento non si è inventato niente. Ed è davvero un peccato che siano in pochi a rendersene conto.

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  2. Bene, devo assolutamente vedere questo film che manca nella mia videoteca.
    Grazie per il post :-)

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    1. Ah bene, un'altra appassionata del genere, quindi...

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  3. Ah bello mi è piaciuto, anche io lo vidi diversi anni fa xD

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    1. Beh, anch'io in fondo l'ho visto l'ultima volta diversi anni fa. Quattro anni per l'esattezza.

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    2. sai che sono 4 anni anche per me ^_^ Il cinema di Mario Bava è imprescindibile per chi ama l'horror o il cinema di genere

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  4. Mario Bava è uno dei registi italiani più noti, eppure non ho ancora visto nulla di suo. Non è neppure un discorso legato al genere, considerato che alcuni film di Dario Argento li ho visti. Vedrò di "rintracciare" questo film ;-)

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    1. Nessuno di noi può dirsi onnisciente, per cui ci sta non aver ancora visto nessun Bava. Vedi di recuperare, pero, eh?!?! ^_^

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