lunedì 26 giugno 2023

The book of love and pain

"Le mie foto non mi hanno portato da nessuna parte. Ciò che mi sembra più importante è l'arte come dialogo, il fatto di provocare una conversazione." (Slawomir Rumiak) 

Finalmente le nuvole di questo anomalo giugno milanese si squarciano e riescono a dare spazio al caldo infernale che piace a me. Ammetto di essere stato a lungo preoccupato, per via delle vacanze estive già prenotate per questo fine mese, ma con un po' di fortuna dovrei riuscire ad arrostirmi ferocemente al sole come previsto. 
Purtroppo il caldo non è il miglior ingrediente per la realizzazione di buoni post. Recupero quindi una delle mie decine di bozze di post iniziate e mai completate, e provo a vedere se riesco a farne saltare fuori qualcosa di buono. Ne trovo una che ha come protagonista un tizio di nome Slawomir Rumiak, un fotografo polacco i cui scatti, per i motivi che capirete a breve, avevano attirato la mia attenzione qualche tempo fa. 
Sławomir Rumiak è fotografo, videomaker e disegnatore. Nato nel 1972 a Bielsko-Biala, città situata nel sud della Polonia, precisamente in quella storica regione geografica dell'Europa Centrale nota come Slesia. Laureatosi nel 1999 presso l'Accademia di Belle Arti della vicina Katowice (che all'epoca faceva ancora parte dell'Accademia di Cracovia), Rumiak ottenne il riconoscimento internazionale molto presto, addirittura quando era ancora studente. 

Nel 1998, Koichi Sato, graphic designer giapponese, membro dell'AGI e cattedratico alla Tama Art University (una delle migliori scuole d'arte in Giappone), visitò l'Accademia di Katowice su invito di Jan Sawka (altro celebre graphic designer, noto per aver realizzato i set dei concerti dei Grateful Dead) ed rimase piacevolmente sbalordito di fronte alle espressive fotografie in bianco e nero di Rumiak. 
Da lì a poco, il giovane artista fu invitato a Tokyo dal famoso teorico della fotografia Kōtarō Iizawa e dal leggendario fotografo Eikoh Hosoe, il quale lo pregò di tenere una serie di conferenze per i propri studenti. Negli stessi giorni il noto collezionista Etsuro Ishihara, proprietario della galleria d'arte "Il Tempo", organizzò la prima personale di Rumiak, che segnò l'ingresso dell'artista nel pantheon dei fotografi più popolari dell'estremo oriente.
Oggi le opere di Sławomir Rumiak sono continuamente battute all'asta a prezzi di realizzo decisamente invidiabili, e che variano a seconda delle dimensioni, del supporto e, ovviamente, del soggetto dell'opera (nel 2017 il suo scatto "Thorny Klaudyna" ha sfiorato i $1200).

Ma cosa c'è di così originale nelle fotografie di Rumiak? E qui viene fuori il motivo per cui mi è venuta voglia di uscire oggi con questo post, a dispetto di quel mio vecchio proposito (mai davvero rispettato) di non pubblicare cose che possano ferire la sensibilità degli incauti visitatori del blog. 
Slawomir Rumiak è celebre per i suoi ritratti di donne torturate, dall'aspetto surreale, riprese mentre, intrappolate nei loro stessi corpi, fissano l'obiettivo senza mostrare alcun segno di dolore e mentre adottano una posa di studiata seduzione. Le immagini che potete ammirare qui di seguito, e che inevitabilmente sono valse a Rumiak la fama di artista misogino, provengono quasi tutte dalla serie fotografica "The book of love: the best of my dreams", divenuta popolarissima soprattutto, come è d'altra parte facile immaginare, in Giappone. Osservando attentamente le fotografie, sebbene nella maggior parte di esse sia evidente il trucco utilizzato per rendere realistiche ferite altrimenti inspiegabili, vi sono alcuni particolari, come certi tratti di filo spinato stretto attorno ai seni di alcune modelle, che appaiono stranamente e orribilmente reali. 

Non c'è invece alcun dubbio che tali fotografie abbiano tutto il potenziale per provocare un acceso dibattito: secondo Rumiak una donna che sorride attraverso il dolore e la tortura è ciò che si può ritrovare, in vari gradi di realtà, nelle culture del mondo; le donne sono incoraggiate, diciamo pure costrette, a sorridere, amare, ridere attraverso i peggiori trattamenti e la negazione dei diritti più elementari. I loro pensieri sono stati, e sono ancora nella maggior parte dei casi, avvolti nel filo spinato, intrappolati dalla paura, le loro anime pugnalate e mutilate da culture che hanno fatto credere loro di essere sbagliate. In estrema sintesi Rumiak ci sta dicendo che le donne sono bellissime creature coperte di cicatrici, creature che perpetuano la nostra specie, esortando le proprie figlie femmine a prepararsi al dolore, alla sofferenza e alla violenza che anch'esse inevitabilmente dovranno affrontare. 
Il giorno che Sebastian Cichocki, capo curatore del Museo di Arte Moderna di Varsavia, gli chiese se non avesse paura della censura, Rumiak rispose: "No, assolutamente - io stesso sono moralmente un ultra-conservatore" (Ultramaryna Magazine, dicembre 2003).
Qui di seguito una piccola (e tutto sommato sopportabilissima) selezione di scatti appartenenti alla serie "The book of love: the best of my dreams". Le immagini più cruente sono rintracciabili in rete.












2 commenti:

  1. Non discuto il talento visionario del fotografo, tuttavia il soggetto è particolarmente forte e dal mio punto di vista un po' "disturbing". Non so se andrei a vedere una sua mostra, pur consapevole che si tratta solo di fotomontaggi. Io però sono un caso esagerato, mi mettono a disagio persino le foto di bondage di Araki.

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    1. In realtà non sono affatto fotomontaggi, altrimenti sarebbero tutti capaci. La sua bravura è quella di fare scatti realistici usando solo qualche quintale di trucco dove serve. Non so come ma è così e in certe foto la cosa è piuttosto evidente. Non riesco a spiegarmi solo l'ultima foto qui sopra, quella con la lametta, e avrei quasi paura a chiedere come possa essere stata fatta...

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