martedì 13 agosto 2024

Il ristorante all'angolo

Mai e poi mai, e questo devo tenermelo bene a mente, annunciare la recensione di un film per la rassegna Notte Horror prima ancora di averlo guardato. Questo perché ora che finalmente (termine ironico) l’ho visto, mi trovo davanti a un foglio bianco che non so davvero come riempire. 
O meglio, un modo ci sarebbe: quello di mettere in sequenza un migliaio di insulti fino a raggiungere una lunghezza decente per un articolo di blog. Potrebbe però essere l’occasione per mettere in pratica un esperimento sociale, che è una cosa che da un po’ mi frulla in testa, per capire quanta gente atterra sul blog, guarda le immagini, legge giusto il titolo e passa alla sezione commenti senza davvero leggere il contenuto. 
Il problema è che i colleghi blogger che partecipano alla Notte Horror i post li leggono davvero e non posso permettermi di tradire la loro fiducia. Ecco quindi che due parole sensate, per questo “Ristorante all’angolo” (Blood Diner, 1987), mi tocca proprio metterle in fila. 
Ho detto poco fa di non aver mai visto questo film prima d’ora, ma riflettendoci non ne sono poi così sicuro. La locandina, questo è un fatto, è un déjà-vu piuttosto solido, e ciò potrebbe significare che in tempi remoti potrei aver avuto a che fare con la VHS in quella vecchia videoteca che frequentavo da ragazzo. 
Ciò non garantisce che io l’abbia noleggiata, ma visto quant’era scarna la sezione horror in quel posto, le probabilità sono tutt’altro che irrisorie. Anche perché, bisogna ammetterlo, quella locandina, con l’insegna al neon e il coltellaccio, è ancora oggi una potente calamita. Comunque sia andata non ricordavo nulla di quel film, anche perché, se l’avessi fatto, non mi sarei certamente avventurato in una nuova visione che chiamare superflua è sin troppo generoso. 
Eppure, l’incipit non è affatto male. Un uomo, un serial killer furioso che si aggira per le strade “con una mannaia in una mano e i genitali nell’altra”, sfonda la porta di un’abitazione per appropriarsi, come da copione, delle vite dei residenti. Nella fattispecie si trova di fronte due bimbi terrorizzati che fino a un secondo prima se ne stavano tutti soli in casa a fare cose da bambini su un tappeto. Mentre ci prepariamo all’inevitabile esecuzione, giunge inaspettato il colpo di scena: l’uomo è lo zio di quei bimbi, e si è recato in quel posto per rendere l’ultimo saluto ai nipotini prima di essere abbattuto della polizia (cosa che accadrà nel giro di pochi minuti, non appena l’uomo metterà il naso fuori casa). 
Certo, presentarsi con una mannaia in mano e coperto di sangue non è il modo migliore per lasciare un bel ricordo di sé, ma sappiamo bene che nella vita a volte occorre saltare su un treno, qualunque esso sia, perché potrebbero non passarne altri. 

Stacco di scena, balzo nel futuro, e ritroviamo i due bimbi ormai prevedibilmente cresciuti e altrettanto prevedibilmente psicopatici; uno stato clinico che, ci suggerisce l’esperienza, potrebbe avere qualcosa a che fare con quel piccolo trauma infantile. Che i due ragazzi siano un filino problematici ce lo conferma la scena successiva, che li vede impegnati a riesumare il cadavere dell’amato zio, attorno al quale hanno creato, nel corso degli anni, un’aura mitologica. 
Quel che rimane sono un cervello, sorprendentemente intatto nonostante il tempo trascorso, e un paio di occhi che i due si affrettano a ricomporre e a infilare in un barattolone di formalina, dal quale lo zio, tornato miracolosamente senziente grazie a un imprecisato rituale, inizia a dispensare consigli ai nipoti. E a questo punto inizia il vero delirio. 

Soprassiederò sulle ricercatissime iperboli messe in scena dal regista (una tra tutte la capacità del cervello di fare cose come telefonare) perché sono l’unica cosa palesemente voluta, ma ci tengo a mettere in guardia l’incauto spettatore dal proseguire una visione che molto probabilmente gli rovinerà la serata, soprattutto perché da qui in avanti tutto degenera. Se siete persone normali, probabilmente spegnerete la televisione e vi metterete a fare cose più utili, tipo dare l’acqua alle piante, ma se siete dei blogger che hanno promesso una recensione, beh, la situazione per voi non è affatto invidiabile. Non vi resta che cercare la salvezza nello schermo del vostro smartphone e alzare gli occhi di tanto in tanto per vedere se succede qualcosa (spoiler: non succede). 

Purtroppo, avevo deciso di inserire nella rassegna di quest’anno qualcosa che avesse a che fare con lo speciale food movies che sto portando avanti da giugno (e che proseguirà a settembre) e il titolo in questione mi sembrava essere il più appropriato, mettendo sulla bilancia sia il tema culinario che il suo essere trash come la Notte Horror richiede. Ma è inutile fasciarsi la testa quando ormai è frantumata, e tutto sommato poteva anche andarmi peggio; poteva anche saltar fuori qualcosa che con la ristorazione, nonostante il titolo, non avesse nulla a che fare, mentre ne “Il ristorante all’angolo” c’è effettivamente una tavola calda dove i due gestori psicopatici (i fratelli di cui sopra) attirano e uccidono giovani donne per utilizzarle, tra le altre cose, come ingrediente principale delle loro portate. C’è anche una sottotrama piuttosto confusa che vede i due fratelli costretti a fare sacrifici in onore di una regina egizia morta, ma questo è chiaramente un espediente per sviluppare situazioni che vorrebbero essere comiche ma in che in realtà sono la principale rovina del film. 

Intendiamoci, io non ho nulla contro le horror comedy, anzi alcune di esse (poche) in passato le ho anche apprezzate, ma se il film finisce per annegare nella sua stessa stupidità allora c’è decisamente qualcosa che non va. O più probabilmente è solo colpa mia, visto che in effetti me ne avevano parlato come di una sorta di moderno tributo (più che altro una parodia) a “Blood Feast” (1963) di Herschell Gordon Lewis, il primo film gore mai realizzato e tuttora per molti, nella sua demenzialità, un cult insuperabile. 
Da lontano, lo ammetto, il tributo è visibile, visto che anche nell’originale c’era un ristoratore interessato all’egittologia, ma in “Blood Diner” la regina Sheetar è solo una brutta copia della sua ispiratrice Ishtar, che tra l’altro (entrambi i film su questo punto sbagliano) non era affatto una regina, bensì una dea mesopotamica la cui identità, in seguito, sarebbe traslata nella figura greca di Afrodite. A parte la vaga assonanza fonetica, che tradisce una formazione classica minimale, le similitudini tra cinema e mitologia finiscono ancor prima di cominciare: il personaggio del cinema è alla costante ricerca di membra amputate a giovani donne da mettere insieme e con le quali ottenere un nuovo corpo in cui reincarnarsi, quello della mitologia, come sappiamo, è invece la personificazione dell’amore e della fertilità. 

Caratterizzato da un approccio registico alla Ed Wood, la cineasta (oddio, che parolona) americana Jackie Kong è stata negli anni Ottanta una vera specialista del genere, riuscendo contro ogni pronostico a ottenere il via libera per la realizzazione e la distribuzione di oscenità titaniche come “The Being” (1983) e “Night Patrol” (1984), che pur nella loro mediocrità hanno avuto il privilegio di vantare la partecipazione, rispettivamente, di Martin Landau e Linda Blair, due stelle che hanno brillato un quarto d’ora in carriera per poi perdersi in produzioni buone solo per il bidone dell’indifferenziata. 
Parliamoci chiaro: “Blood Diner” non vuole affatto spacciarsi per quello che non è. Sin dalla locandina è evidente che si tratta di un filmaccio anni Ottanta esagerato e ridicolo, con quintali di battute volgari, nudi insensati e litri di sangue; il vero problema è che rispetto al film a cui si ispira è mille volte più fiacco e noioso, e mi stupisco di come 35 anni più tardi ci sia ancora qualcuno (tipo io) che sia ancora qui a parlarne. 

Venendo alle cose serie, quella di quest’anno è l’undicesima edizione di questa periferica iniziativa blogghereccia che si ispira alle mitologiche Notti Horror di Italia 1, ed è la prima edizione alla quale la nostra cara amica Arwen Lynch non partecipa. Purtroppo, il destino per lei ha scelto diversamente e ora, se da qualche parte si trova, assiste a quello che noi scribacchiamo sui blog da una prospettiva diversa. Arwen Lynch, nata Laura Stella Bisanti e alla quale questa edizione è dedicata, era un personaggio incredibile e, sono certo di poter parlare per tutti, ci mancherà immensamente. Ed è per ricordare lei che la Notte Horror continua, oggi stesso, da Cassidy, al quale è affidato il compito di risollevare il livello qualitativo che io con “Blood Diner” ho scaraventato in cantina.



8 commenti:

  1. Ennesimo titolo del quale non so nulla, ma mi pare di aver capito che sia talmente (s)cult che quasi quasi... ;)

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    1. OK per il "quasi quasi", ma a tuo rischio e pericolo.

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  2. Sia la locandina che la prima parte della trama, almeno per come l'hai raccontata, invogliano decisamente la visione...
    Ma mi fido e me la risparmio.

    Il livello qualitativo del post comunque tiene alto il buon nome della Notte Horror, anche se il film magari un pochino meno :)

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    1. La locandina e i primi dieci minuti sono in effetti piuttosto promettenti. Peccato solo per quei successivi ottanta minuti.

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  3. Però sembra un film simpatichello alla fine xD
    il mio film invece lo conoscevo bene e la Notte Horror è stata solo l'occasione giusta per parlarne :)

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    1. Si, ma di film simpatichelli ce ne sono in giro già abbastanza. Meglio spendere un'ora e mezza di vita altrove.

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  4. Non è la prima volta che sento di questo film, il film giusto per una serata spensierata ;)

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    1. ... da trascorrere magari con una bella frittatona di cipolla e una Peroni familiare ghiacciata!

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