mercoledì 27 luglio 2011

A porta inferi

Mi è venuta in mente in questi giorni una cosa che mi diceva sempre mia madre quando dicevo o facevo una stupidata e voleva mandarmi a quel paese. Mi diceva “Ma va’ a Porta Infari”. Ho voluto cercare di capire cosa intendesse e ho raccolto qualche notizia qua e là. Innanzitutto la mia memoria mi ingannava o forse era mia madre a storpiare la parola “Inferi” con “Infari”. La frase avrebbe dovuto essere infatti “Ma và a Porta Inferi”.

Porta Inferi è naturalmente la soglia infernale (diciamo quindi che più che "a quel paese" mia madre intendeva "mandarmi al diavolo") e per trovarne dei riferimenti bisogna avventurarsi nell'intricato mondo della religione cattolica, dove si scoprono sempre tante cose interessanti.

Chi ha letto il mio post di qualche mese fa, dedicato all'allucinante storia di Papa Formoso, potrà leggere dell'ironia nella frase precedente. Io effettivamente non sono uomo di fede. Solo solamente una persona curiosa, a cui basta un piccolo spunto per prendere e partire, per approfondire e capire (o perlomeno cercare di farlo). In questo caso mi devo avventurare in alcuni passi biblici che, se letti con occhi analitici (privi cioè delle classiche fette di salame) possono rivelare cose... interessanti. Sì, lo so, ho già usato prima l'aggettivo "interessante". Avrei potuto usarne un altro ma preferisco così.

Pare che la Porta Inferi sia stata citata per la prima volta dal profeta Isaia che scrisse: "In dimidio dierum meorum vadam ad portas inferi" (Isaiah, 38,10), cioè "a metà dei miei giorni devo andare alle porte dell'inferno".

Nel suo "Commentarius in Isaiam Prophetam", San Girolamo tentò una parafrasi del versetto di Isaia: scrisse infatti “Peccatores uero et impii in dimidio dierum suorum moriuntur, de quibus et psalmista loquitur: Uiri sanguinum et dolosi non dimidiabunt dies suos. Non enim implent opera uirtutum, nec student paenitentia emendare delicta. Vnde in medio uitae cursu, et in errorum tenebris ducentur ad tartarum.", vale a dire "Ma i peccatori e gli empii moriranno a metà dei loro giorni, di cui parla anche il salmista: gli uomini sanguinari e fraudolenti non giungeranno alla metà dei loro giorni. Infatti non compiono opere di virtù né cercano di emendare i loro delitti con la penitenza. Onde nel mezzo corso della loro vita e per le tenebre dei peccati saranno condotti al Tartaro".

Vi ricorda qualcosa? Nel brano "In medio vitae cursu, et in errorum tenebris ducentur ad Tartarum.” è evidente l'analogia con la celeberrima prima terzina del I canto della Commedia di Dante: "Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / ché la diritta via era smarrita." Il sommo poeta inizia quindi il suo capolavoro con una citazione! Forse per i dantologi questo è un fatto ovvio e risaputo. Per me, piccolo blogger dilettante, dotato di cultura media, è una notizia che va a minare le basi di tutta la mia conoscenza. La terzina più celebre di Dante è una citazione. Colta, ma pur sempre una citazione. Non dovrei stupirmi. Dante era un fervente Cristiano e la sua opera è farcita più o meno ovunque di riferimenti di questo tipo.

La riprova è ancora una volta nella Bibbia: "Dies annorum nostrorum in ipsis septuaginta anni si autem in potentatibus octoginta anni et amplius eorum labor et dolor quoniam supervenit mansuetudo et corripiemur", vale a dire "Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo (Salmi 89,10) e anche "ne revoces me in dimidio dierum meorum in generationem et generationem anni tui", vale a dire "non rapirmi a metà dei miei giorni; i tuoi anni durano per ogni generazione." (Salmi 101,25). Non fu Dante quindi il primo ad utilizzare il concetto di "a metà della nostra vita terrena" per indicare il trentacinquesimo anno di età!

Ma torniamo alla "Porta Inferi", oggetto di questo post. Lo troviamo citato nel rito delle Esequie, Rituale Romano, nel quale il sacerdote, girando attorno al feretro con l'acqua santa recita "Et ne nos indùcas in tentatiónem / Sed libera nos a malo / A porta inferi / Erue, Dómine, ànimam ejus / Requiéscat in pace.", che altro non è che il "Padre Nostro" il Latino.
Da diverse fonti (qui, per esempio) lo troviamo così tradotto: "E non ci indurre in tentazione / ma liberaci dal male / e dal potere dell'inferno / Libera la sua anima, o Signore / Riposi in pace"

Lo ammetto, io non ho studiato latino a scuola, ma se tanto mi da’ tanto non si può tradurre la parola "Porta" con "Potere". Ho anche controllato su un dizionario online italiano-latino. "Porta" significa proprio "Porta". Non ci sono dubbi.

Quando io noto qualcosa che non torna e che ha a che fare con la Chiesa, mi viene subito da pensar male. Qualcuno sta alterando la realtà per cercare di far passare un messaggio di comodo? Per quale motivo si è voluto celare il vero significato di "Porta Inferi" (tanto più che mi sembra sia un concetto di facile interpretazione)? Perché nel rito delle esequie si cita la porta dell'inferno? Non si dovrebbero citare le porte del Paradiso? La risposta a quest’ultima domanda è evidentemente da ricercarsi in quella che io chiamo la “politica del terrore”, tipica della nostra chiesa. Ci vengono dettate delle regole di comportamento ma, per fare in modo che vengano rispettate, non ci viene promesso il Paradiso. Al contrario ci viene promesso l’Inferno in caso di mancanza. Ci avete mai fatto caso? Non ci viene detto di “non rubare” perché se non lo fai andrai in Paradiso. Ci viene detto di “non rubare” per non andare all’Inferno. Non è questa una “politica del terrore”? D’altra parte è proprio il terrore la leva più efficiente per far fare alle persone quello che si vuole. Se io ti dico “commetti questo crimine e ti darò in cambio un milione di euro” probabilmente non lo farai. Se io ti dico “commetti questo crimine altrimenti ucciderò i tuoi cari” sicuramente lo farai.

Ma perché, tornando a noi, la parola latina “porta” viene tradotta come “potere”? La risposta probabilmente la da’ questo sito: "To understand this verse, it is necessary to know that the ancient Christians believed that the soul, having left the body, had to wander about in the other world until it finally came to the doors of Paradise. But before arriving at its goal, it would have to pass by several threatening doors, just as the Roman citizen walking through the Forum had to pass by various doors of ominous character and reputation [...] There was another door in the Roman Forum—brazen portals behind which, so legend has it, a dragon had been confined by Pope Sylvester I in a deep pit, the "Infernum." Later on a sanctuary called "Sancta Maria, libera nos de poenis inferni" (today known as Sancta Maria Liberatrice) kept alive the memory of those "doors of hell." When the liturgy, therefore, recalls that the departed wandering souls might come near the entrance to the dwelling of Satan and the other evil spirits, it is but natural that it petitioned in the Office of the Dead: "A porta inferi (inferni) erue Domine animas eorum—From the gates of hell deliver their souls, O Lord."

Per chiudere il cerchio, telefono a mia madre e le domando: "Mamma, cosa volevi dire quando mi mandavi a porta infa(e)ri?". Mi risponde "Nulla, semplicemente volevo mandarti al diavolo". Ecco come questo lungo (e tutto sommato inutile) post si risolve in poco più di nulla.

Un’ultima annotazione, giusto per dovere di completezza. All’inizio ho scritto che “mi è venuta in mente la Porta Inferi”. Non è una cosa questa che viene in mente così per caso. Stavo infatti sfogliando un libro di racconti che ho trovato a casa nel quale sono contenute alcune pagine di tale Roger Pater, un religioso che scrisse una interessante antologia intitolata “Mystic Voices”. La particolarità dei racconti di Roger Pater (che poi sarebbe Padre Roger), al secolo George Roger Hadlestone, monaco benedettino nato nel 1874 e morto nel 1935, è che si ispirano a fatti realmente accaduti. Il racconto in questione si intitola proprio “A Porta Inferi” e narra di un esorcismo abbastanza anomalo. Non il solito diavolo, bensì un’anima dannata è quella che è tornata nel mondo dei vivi per prendere possesso di un corpo mortale. Non mi dilungherò su questo. Solo un ammonimento però viene da questo racconto: la Porta Inferi non è a senso unico, fate attenzione.

Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.

2 commenti:

  1. Non avevo mai sentito questa espressione. Lo trovo un modo molto più pacato di altri per mandare al diavolo! Ho imparato qualcosa anche oggi.

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    1. Credo si tratti di un'espressione antichissima e ormai praticamente dimenticata. Immagino che mia madre, oggi ottantaduenne, l'abbia sentita e imparata dalla propria madre o addirittura da qualcuno vissuto prima ancora.

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