giovedì 16 febbraio 2012

L'imitation du cinéma

"Tutto quel che faccio, è un modo di passare il tempo, nulla a che vedere con l'arte o la letteratura. E' un'attività particolare poco più eleborata di quella delle formiche e dei ragni. Non potrei immaginare per un solo istante che ciò che faccio è un lavoro. La parola lavoro mi fa orrore”. In questo modo descrive se stesso Marcel Mariën (1920-1993) poliedrico artista belga, allievo di René Magritte.
Poeta, saggista, filosofo, fotografo, storico, disegnatore, Marcel Mariën fu una delle figure più intriganti del movimento surrealista di André Breton, che "si fonda su visioni oniriche, sul recupero della prolifica immaginazione infantile, sulla malattia mentale come rivelatrice di verità, sull'abolizione della logica in favore dell'automatismo".
Per usare parole semplici, il surrealismo è un escamotage per materializzare qualunque fantasia, anche la più malata, confezionarla ad arte, metterci magari un bel fiocchetto, e spacciarla per qualcosa di talmente colto e geniale da non poter venire intesa che da pochi magnifici adepti. Ammetto che la mia affermazione possa sembrare riduttiva e sono certo che avrò fatto storcere il naso a qualcuno. D'altra parte lo confermano le parole dello stesso Mariën, che ho citato qui sopra in apertura di post, e sono certo che decine di artisti o pseudo-tali abbiano sposato il surrealismo proprio per non dover essere costretti a spiegare i propri lavori o per giustificare quelli venuti male.
Ad ogni modo in tutto questo c'è un aspetto positivo anche dal lato-utente. Lo spettatore può guardare un opera surrealista e vederci quello che vuole, può fornire la propria interpretazione personale, può scriverci sopra delle recensioni, degli articoli, può infarcire il proprio blog di commenti, riuscendo talvolta ad apparire profondo, ma soprattutto senza correre il rischio di essere confutato.

Ma torniamo al nostro Marcel Mariën, e quindi all'argomento di questo post. Nel 1960 lo troviamo alle prese con il cinema, un esperimento registico che lo portò a realizzare un cortometraggio tanto dissacratorio verso la religione da suscitare indignazione e denunce sino alla messa al bando da parte della censura in quanto ritenuto pornografico. Il titolo scelto da Mariën fu "L'imitation du cinéma", evidente riferimento alla "Imitazione di Cristo" (De Imitatione Christi), il testo religioso più diffuso di tutta la letteratura cristiana occidentale dopo la Bibbia (di autore sconosciuto, è un perfetto manuale di ascetismo cristiano).

Un giovane seduto su una panchina in un parco si vede sottrarre da un prete  la rivista sexy che sta sfogliando per averne in cambio ammonimenti ed una copia de "L'imitazione di Cristo" che lo inflenzerà al punto da fargli intraprendere un percorso mistico:  dopo un vano tentativo di trovarne in commercio una croce delle giuste dimensioni sulla quale potersi inchiodare, decide di rivolgersi ad un falegname che gliene realizza una delle giuste dimensioni ma difettosa e inadatta allo scopo. Crocefiggersi da soli, si renderà conto in seguito il nostro eroe, non è comunque un'impresa semplice: una volta inchiodata una delle due mani, come sarà possibile inchiodarsi anche l'altra? Il ragazzo sceglie infine di morire, posando con le braccia “in croce”, asfissiato dalla stufa a gas. "Chi muore per fuoco, chi per spada, chi per una pestilenza, chi per un assalto dei predoni. Insomma, per tutti noi il destino è la morte e la vita umana passa rapidamente come un'ombra. Questa vita mortale è piena di miseria. Nella croce è la salvezza, nella croce è la vita. Nella croce sta la forza, nella croce c'è la gioia, la virtù, la santità. Prendi, dunque, la tua croce! Dovunque tu corra non puoi sfuggirla, poiché, in qualsiasi luogo tu giunga, tu porti e trovi sempre te stesso. Sbagli se cerchi qualcosa d'altro, che non sia il patire tribolazioni, perché tutta questa vita mortale è piena di miseria e segnata tutt'intorno da croci." dice all'inizio il prete cristiano al nostro protagonista, salvo poi dimostrarsi incapace di ripetere il sacrificio in cui dice di credere.

E' evidente il messaggio iconoclasta e anticlericale de "L'imitation du cinéma" che, in poco più di 30 minuti, riesce a fare tabula rasa di oltre duemila anni di tradizione cristiana. La croce altro non è che un pezzo di legno mercificato, il cui prezzo varia a seconda dei materiali e delle dimensioni. Il suo significato è azzerato. Qui la narrazione è continuamente interrotta dalle visioni del regista: i personaggi del prete, della prostituta, del falegname, del barbone, della commerciante di articoli religiosi, vengono continuamente sovrapposti e mitragliati senza alcun filo logico verso gli occhi dello spettatore che altro non aspetta che altra sofferenza gli sia risparmiata. Se volete cercare il film su internet e guardarvelo fate pure. A vostro rischio e pericolo. In alternativa potete "gustarvi" i dieci minuti "extra" disponibili su YouTube (che ho embeddato qui di seguto). Si tratta dei dieci munti "perduti" che Marcel Mariën tagliò dal montaggio definitivo. La domanda d'obbligo alla fine è: "ma come diavolo hanno fatto a capire che quelle erano scene tagliate?"


2 commenti:

  1. L'ho visto qualche mese fa. Interessante, davvero un film iconoclasta. L'accusa di pornografia fatta ai tempi, oggi però non ha più senso. Grazie per le scene "tagliate": divertenti e singolari.

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    1. Benvenuto sul blog. Personalmente, come ho detto in chiusura di post, ho fatto fatica a trovare nelle scene tagliate qualcosa di davvero imperdibile. Mah...

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