sabato 2 giugno 2012

Rasputin

“Quando Sodoma e Gomorra saranno riportate sulla terra e gli uomini vestiranno da donna e le donne vestiranno da uomini vedrete passare la Morte cavalcando la peste bianca. E le antiche pestilenze saranno come una goccia d’acqua nel mare, rispetto alla peste bianca. Montagne di cadaveri verranno ammassate nelle piazze e milioni di uomini porteranno la morte senza volto... Città con milioni di abitanti non troveranno le braccia sufficienti per seppellire i morti e molti paesi di campagna saranno cancellati con un’unica croce... Nessuna medicina riuscirà a frenare la peste bianca perché questa è l’anticamera della purificazione. E quando nove uomini su dieci avranno il sangue marcio verrà gettata sulla terra la falce perché sarà giunto il tempo di ritornare a casa.”
Di questa, famosissima, e altre agghiaccianti profezie sono pieni gli scritti di Rasputin: sono il testamento che ci ha lasciato insieme al ricordo indelebile della sua personalità, così controversa e complessa da sfuggire a ogni precisa collocazione. Su questo bizzarro personaggio è già stato detto di tutto e di più. Forse non c’è davvero bisogno del mio post, ma la sua figura ammantata di ambiguità e mistero e, proprio per questo, così affascinante da far ancora parlare di sé a quasi un secolo dalla sua scomparsa, mi ha sempre affascinato moltissimo e voglio quindi rendergli omaggio; e voglio ricordare le circostanze della sua morte, ormai entrate a far parte della leggenda.
La sua è l’incredibile storia di un contadino ignorante e di aspetto normale, se non addirittura sgradevole, che riuscì con la sola forza di volontà ad arrivare ai vertici all’aristocrazia russa, ad ammaliare personalità influenti e sedurre donne di ogni genere, e che fu accusato di occultismo e depravazione, ma che allo stesso tempo si batté apertamente per le minoranze e per i diritti sociali, precorrendo così gli ideali della rivoluzione che sarebbe cominciata poco dopo la sua morte.
Accanto a chi lo considerava un santo e un profeta, c’era anche chi lo disprezzava e lo considerava un imbroglione e un bugiardo. Per questo, qui voglio dar voce non solo alla storia ufficiale, che ci descrive una persona inquietante e dall’alone negativo, ma anche alla storia per così dire revisionista, che invece ci restituisce di lui un’immagine più completa, umana e, forse, più vera.
La figura di Rasputin è stata rappresentata nell’arte un’infinità di volte. Non parlerò dei film in quanto non ne ho visto nemmeno uno, e quindi non potrei recensirli, voglio solo segnalare brevemente due opere: il manga “La finestra di Orpheus” (Orufesu no Mado) di Ryoko Ikeda, la famosa autrice di “Lady Oscar” (Berusaiyu no bara) e il concept album “Crack The Skye” dei Mastodon, band americana (tra le mie preferite) che gli ha dedicato un disco che definire semplicemente psichedelico, ipnotico ed epico sarebbe riduttivo.
Grigorij Efimevic Rasputin (Григо́рий Ефи́мович Распу́тин (Но́вый)) nacque in Siberia, nel villaggio di Pokrovskoe, nel 1869. La sua era una povera famiglia di contadini ed egli crebbe quasi come un analfabeta. Si dice che fin da molto giovane manifestasse la propensione ad indulgere sfrenatamente nei piaceri della vita – il vino, le feste, le donne. Allo stesso tempo, però, egli era ossessionato dalla religione e dal misticismo, cosa a onor del vero diffusa da secoli e piuttosto frequente tra una parte dei popolani della Russia centrale.
A diciott’anni Rasputin passò diversi mesi presso il monastero Verkhoturye per dedicarsi alla preghiera e alla meditazione, e una volta tornato a casa, a vent’anni, sposò Praskovia Fedorovna Dubrovina. Già prima del monastero, tuttavia, egli aveva avuto alcune esperienze mistiche. Da bambino, una volta era andato in una sorta di semi-trance durante la quale aveva smascherato il responsabile di un furto, e a seguito di questo episodio i suoi compaesani si erano convinti che egli possedesse il dono della “seconda vista”.
Rasputin perse una sorella e un fratello in giovane età, due eventi dolorosi che lo segnarono nel profondo: in loro onore, e per ricordarli, diede i loro nomi a due dei suoi figli. Quando Rasputin era piccolo, alla sua sorellina Maria fu diagnosticata l’epilessia e in seguito la bambina morì affogata in un fiume. In seguito anche suo fratello Dimitri cadde nel fiume Tjura e morì di polmonite dopo poche settimane. Grigorij, che in quel momento era con lui e si era buttato nel fiume per cercare di salvarlo, per poi essere ripescato insieme al fratello da un compaesano, rimase in convalescenza per diverso tempo: la febbre gli provocò delle visioni, in una della quali, in particolare, gli apparve la Vergine Maria che, a suo dire, lo guarì istantaneamente. Da quel momento, egli si avvicinò alla religione e agli starec, monaci erranti che nei villaggi russi erano venerati come profeti.
Crescendo Rasputin sviluppò un grande carisma che utilizzava consapevolmente per attirare il prossimo. Carisma che si basava sull’arte oratoria che man mano andava affinando – nonostante, come abbiamo visto, egli fosse tutt’altro che colto - e su uno sguardo magnetico che aveva un fascino particolare, soprattutto per le donne.
Appena sposato Rasputin ebbe il primo figlio. Purtroppo il piccolo morì a pochi mesi di vita e la cosa fu un ennesimo duro colpo per lui, che proprio in quel periodo ebbe una nuova visione: la Vergine gli chiedeva di lasciarsi tutto alle spalle e partire. Fu così che, si dice, divenne egli stesso uno starec ed entrò a far parte dei Klysty, una setta non ortodossa e considerata eretica dalla chiesa ufficiale, e a ben donde!: la loro dottrina infatti prevedeva feste, pratiche estatiche e riti sessuali di gruppo che, secondo loro, erano necessari per stimolare il successivo pentimento che avrebbe permesso all’individuo di purificarsi dal peccato. In pratica essi sostenevano che, per potersi liberare dal peccato, bisognasse prima familiarizzare con esso (cosa che includeva, indovinate un po’, i peccati di gola e il sesso). Tuttavia, ufficialmente Rasputin non ammise mai di praticare i riti dei Khlysty e non fu mai possibile provare la sua associazione alla setta.
Dopo diverse peregrinazioni, Rasputin tornò al suo paese natale profondamente cambiato: il suo magnetismo si era accresciuto e lui fondò, in casa sua, una chiesa personale slegata da quella ufficiale, dove riceveva gli abitanti del villaggio e i pellegrini per preghiere o guarigioni miracolose - anche se forse dovute più al caso, o a una sorta di effetto placebo causato dalla sua presenza carismatica, che non a reali capacità taumaturgiche. Questa è la prima delle contraddizioni che fu sempre associata alla sua figura: una reputazione sempre in bilico tra sciamano e ciarlatano, che gli procurò numerosi sostenitori ma anche acerrimi nemici.
Pare che l’altro prete del villaggio, divenuto invidioso perché lui gli sottraeva sempre più fedeli, si adoperò per farlo cacciare, e fu in questo periodo che venne coniato per lui l’appellattivo “monaco pazzo”. Rasputin riprese quindi il suo peregrinare per le campagne, durante il quale continuò a dare prova di straordinari poteri di guarigione. Grazie alla fama acquisita, egli stabilì una ritta fitta di relazioni con personaggi sempre più importanti, e a un certo punto decise che era giunto il momento di puntare in alto e si recò a San Pietroburgo per incontrare gli alti prelati della chiesa ortodossa. Di lì al suo ingresso a corte, nel 1905, il passo fu breve.

Egli si guadagnò subito la gratitudine della famiglia reale perché riuscì a salvare la vita ad Aleksej, l’unico figlio maschio della zarina Aleksandra Fëdorovna Romanova. Aleksej era affetto da emofilia (i suoi genitori erano cugini di terzo grado) e in seguito a un banale incidente era in balia di un’emorragia che lo stava dissanguando.
La zarina le aveva provate tutte per provare a guarire suo figlio. In preda a terribili sensi di colpa perché la malattia derivava dal ramo materno della famiglia, il suo, la zarina si dedicava ad opere di bene e alla preghiera nella speranza di guadagnarsi un miracolo, e oltre a consultare l’élite medica russa cominciò ad affidarsi a santoni e mistici. La granduchessa Anastasia le parlò di Rasputin e la zarina si rivolse a lui nel disperato tentativo di far superare ad Aleksej l’ennesima crisi. In effetti Rasputin ebbe successo: appose le mani sulla fronte del bambino e pregò, e quando Aleksej si addormentò la crisi era passata, mentre il monaco sembrava molto provato, quasi privo di energie, cosa che si sarebbe puntualmente verificata dopo ogni “seduta”. Si dice che in realtà egli riuscisse a interrompere le crisi di Aleksej utilizzando l’ipnosi, un tipo di ipnosi che rallentava il battito cardiaco del bambino e quindi riduceva la pressione del sangue.
Comunque sia, la zarina lo reputò un miracolo di origine divina e la prova delle abilità magiche di Rasputin, al quale da quel momento in poi si affidò ciecamente. Addirittura, nella corrispondenza la zarina si riferiva a lui con l’appellativo “il nostro amico”, e in effetti per qualche tempo fu proprio così.
Bisogna premettere che la malattia del piccolo Aleksej era stata tenuta segreta al di fuori della famiglia reale, perché l’erede maschio era arrivato dopo la nascita di ben quattro femmine e lo zar aveva preferito non gettare ombre sulla felicità del popolo. Così facendo, però, la presenza di Rasputin a corte risultava incomprensibile ai più, e nessuno capiva come potesse un uomo semianalfabeta e di così rozze maniere (si dice tra le altre cose che mangiasse con le mani e disdegnasse l’acqua) ad esercitare una tale influenza sui sovrani.
Se pubblicamente Rasputin manteneva un’aura mistica e una condotta immacolata, e rinunciò persino alla carica di vescovo di Tobol'sk (anche se forse non per modestia o scarsa ambizione, ma perché per esercitare la sua influenza la cosa migliore era restare a corte, a fianco della zarina ), la stampa dell’epoca con lui era impietosa; riportava infatti di numerosi incontri in locali notturni e bagni pubblici con donne di ogni ceto sociale ed età; racconti sulla sua voracità sessuale, in cui fatti reali venivano mischiati ad altri probabilmente inventati, facendo nascere non solo la diceria che fosse superdotato, ma anche che avesse una relazione con la zarina, cosa peraltro mai accertata - fu accertato solo il suo ruolo di consigliere morale, religioso e alla fine anche politico della sovrana.
Insomma la pessima reputazione del monaco non fece che fomentare il malcontento, le maldicenze e l’odio della popolazione ai danni della famiglia reale, tanto più che anche lo zar Nikolaj II cominciò ben presto a fidarsi di Rasputin. Purtroppo lo zar non era un sovrano di gran carisma, anzi aveva un carattere debole e influenzabile, e spesso si consultava con la Zarina per prendere le sue decisioni. Lei a sua volta chiedeva consiglio a Rasputin, e in questo modo tutti pensarono che egli avesse ormai il controllo su ogni questione politica del paese, e che la politica reazionaria del sovrano fosse dovuta proprio alla nefasta influenza del monaco.
A un certo punto, un po’ per le dicerie su una presunta relazione con la zarina, un po’ per le accuse di corruzione che gli piovevano da ogni parte, Rasputin fu allontanato dalla corte, ma all’aggravarsi delle condizioni del principino la zarina lo richiamò: pare che Rasputin le rispose con una lettera nella quale affermava che le condizioni del delfino non erano gravi come sembravano, e che egli in effetti guarì subito dopo che la lettera era arrivata a destinazione. Le cose cominciarono a precipitare nel 1916, quando l’ingerenza politica di Rasputin raggiunse i suoi massimi. Innanzitutto si verificò una strana coincidenza: il 28 giugno, nello stesso preciso momento in cui l’arciduca Franz Ferdinand veniva assassinato a Sarajevo, cosa che come sappiamo fu il pretesto ufficiale per lo scatenarsi delIa I Guerra Mondiale, Rasputin fu accoltellato e costretto a letto per qualche tempo per riprendersi. Forse, se ciò non fosse accaduto e Rasputin fosse stato fisicamente presente a corte, avrebbe potuto convincere lo zar a non entrare in guerra. Invece dovette limitarsi ad inviare un telegramma, nel quale supplicava il sovrano di non entrare in guerra, pronosticando che in caso contrario questo avrebbe causato immani disastri e causato la morte di migliaia di contadini; telegramma che puntualmente lo zar stracciò.
Fallito questo tentativo, Rasputin utilizzò la sua influenza sulla zarina per cercare di far uscire la Russia dalla guerra. Egli professava pubblicamente idee pacifiste e favorevoli nei confronti della Germania; ben presto la convinse a far nominare dei ministri compiacenti schierati dalla sua parte. Naturalmente così facendo si inimicò i militari, i nazionalisti e anche l’aristocrazia, che alimentarono voci relative al suo coinvolgimento in un complotto a favore della Germania; si verificarono persino vere e proprie rivolte. A quel punto Rasputin smise di essere solo un personaggio bizzarro e folcloristico, magari malvisto da molti ma comunque fondamentalmente innocuo, e venne percepito come pericoloso. Politicamente pericoloso. Pare che persino i servizi segreti britannici lo tenessero d’occhio perché, se la Germania avesse disimpegnato le proprie truppe sul fronte orientale, avrebbe poi potuto riversarle contro di loro.
Accadde però che il ministro della guerra russo riuscì a convincere lo zar a mobilitare l’esercito su tutta la frontiera europea della Russia, costringendo così la Germania a fare lo stesso. Fallirono quindi così i tentativi di un accordo tra lo zar e suo cugino, il Kaiser di Germania, e questo mise in moto il meccanismo delle alleanze che avrebbero delineato la guerra.
Quando lo zar dovette partire per il fronte, Rasputin approfittò della sua assenza per moltiplicare le accuse ai ministri e alti funzionari di traffico illegale di armi e speculazioni sui latifondi ai danni dei contadini. Questo fu deleterio perché, proprio in un momento così delicato in cui ci sarebbe stato bisogno di un potere forte alla guida del paese, la zarina lo destabilizzava effettuando continui cambi di governo. Inoltre chi non vedeva di buon occhio la zarina, per via delle sue origini tedesche, non faceva che trovare conferma ai propri sospetti che la sovrana - già sospettata di essere una spia - stesse facendo gli interessi della Germania.
Negli ultimi anni non fu solo l’appetito sessuale di Rasputin a dare scandalo, ma anche le voci sempre più insistenti secondo le quali lui avrebbe ricevuto regolarmente mazzette da aristocratici e membri del governo: da un lato c’era chi voleva sfruttare il suo ascendente sulla zarina per i propri scopi, e dall’altra chi invece, temendo la sua influenza e una possibile scalata al potere, lo pagava perché si allontanasse dalla corte. Pare quindi che la sua residenza fosse sempre invasa di “questuanti”, e che per le sue mani passassero ingenti quantità di denaro che egli in parte sperperava per i suoi numerosi vizi, e in parte distribuiva ai postulanti.
La stampa, che gli era avversa, non perdeva occasione per chiamarlo il “monaco pazzo” e denunciare la sua rete clientelare che, se non aveva creato la crisi del governo russo, certamente vi aveva molto contribuito.
Fu in questo clima avvelenato che maturò il complotto per assassinare Rasputin. Non è chiaro chi effettivamente lo progettò, ma gli esecutori materiali furono il principe Feliks Jusupov (il marito della principessa Irina, una delle donne più belle della nobiltà russa), amico di Rasputin della prima ora e ora in segreto suo feroce detrattore; il granduca Dmitrj Pavlovic; il deputato di estrema destra Vladimir Puriskevic, che una volta lo aveva definito “l’affossatore della Russia e della monarchia”.
Il piano venne attuato nella notte tra il 16 e il 17 dicembre 1916. Il principe Jusupov invitò Rasputin presso la sua dimora facendogli pregustare una notte di bagordi, e invece durante la cena lo avvelenò facendogli bere del liquore misto a cianuro. Ma Rasputin pareva immune al veleno e sembrava accusare solo un lieve bruciore di stomaco... o comunque era chiaro che il veleno ci avrebbe messo moltissimo tempo prima di fare effetto sul suo possente fisico. A quel punto Jusupov, preso dal panico, d’accordo con i suoi complici decise di finire il monaco con un colpo di pistola. Ma Rasputin ancora non moriva... Con il veleno e una pallottola in corpo, si rianimò e riuscì a lasciare la casa, non visto, mentre i cospiratori in una stanza attigua discutevano di come sbarazzarsi del suo cadavere. La sua fuga durò poco: venne rincorso, gli spararono altre pallottole e lo colpirono alla schiena e alla testa con delle sbarre di ferro, dopodiché il suo corpo fu avvolto in una coperta e gettato nelle acque gelide del fiume Neva, da dove fu ripescato il 19 dicembre. La leggenda vuole che prima di gettarlo in acqua i suoi assassini lo castrarono, e che l’enorme pene conservato dal 2004 presso il museo dell’erotismo di San Pietroburgo sia il suo, anche se naturalmente non ci sono prove a sostegno di questa tesi.

La leggenda dice anche che Rasputin fosse riuscito a slegarsi e la posizione delle sue mani suggeriva che avesse tentato di rompere il ghiaccio per uscire dal fiume. Cosa strana, l'autopsia non rilevò tracce di veleno nell’organismo (si vocifera che fosse sopravvissuto all’avvelenamento per via della gastrite cronica causata dall’alcolismo: i succhi gastrici avrebbero contrastato gli effetti del veleno. O forse il tentativo di avvelenamento non avvenne proprio, ma non lo sapremo mai). Gli fu riscontrata invece acqua nei polmoni, segno che nonostante il veleno e le pallottole egli effettivamente fu gettato nell'acqua ancora vivo. Il 19 dicembre, quando la notizia della sua morte fu resa pubblica, una moltitudine di persone armate di secchi e altri recipienti si recò ad attingere acqua dal fiume nella speranza che la stessa fosse intrisa dell’incredibile forza e vitalità dimostrate da Rasputin. In seguito il monaco fu sepolto, ma durante le sommosse bolsceviche la sua tomba fu violata e il suo corpo bruciato. Di lui non rimase nulla, nemmeno le ceneri.
Mentre la zarina Alessandra si disperò per la morte del suo mentore, lo zar Nikolaj II si mostrò indifferente: negli ultimi mesi del “regno” di Rasputin si era liberato dal suo “influsso” e aveva cominciato a non sopportare più il fatto che il monaco stesse assumendo sempre più potere. Pertanto, per gli assassini non ci fu alcun processo, ma vennero presi solo dei provvedimenti di facciata: Jusupov non venne mai incriminato e finì in esilio in campagna, che lasciò prima della Rivoluzione per trasferirsi a Parigi; Pavlovic seguì il generale Baratov in Persia a combattere in prima linea, e paradossalmente questa fu la sua fortuna perché in questo modo non incappò nelle inchieste sollevate dopo la rivoluzione del 1917 e poté pianificare la fuga all'estero praticamente indisturbato; mentre Puriskevic, che poteva contare sulla protezione della Duma (la camera russa), in seguito partì per il fronte. Mentre l’aristocrazia considerava i cospiratori degli eroi, i contadini presero l’omicidio di Rasputin e soprattutto l’impunità dei suoi assassini come un affronto, un vero e proprio sopruso dei nobili ai danni del popolo e questo, paradossalmente, non fece che alimentare il malcontento che fece affossare definitivamente il regime.
La cosa curiosa è che Rasputin aveva predetto la propria fine, ricollegandola alla fine della Russia: tra le carte ritrovate dopo la sua morte vi era una lettera indirizzata allo zar nel quale il monaco gli confidava che aveva la sensazione che sarebbe morto di morte violenta prima dell’anno nuovo e che, se fosse stato assassinato dai suoi fratelli contadini, allora il regno degli zar sarebbe durato ancora “per altri cento e più anni”. Se invece fosse stato ucciso dai nobili – come di fatto avvenne – allora "le loro mani resteranno macchiate del mio sangue e per venticinque anni non potranno togliersi dalla pelle questo sangue. Essi dovranno lasciare la Russia. I fratelli uccideranno i fratelli, ed essi si uccideranno l'un l'altro. E per venticinque anni non ci saranno nobili nel Paese. Zar della terra di Russia, se tu odi il suono delle campane che ti dice che Grigorij è stato ucciso, devi sapere questo. Se sono stati i tuoi parenti che hanno provocato la mia morte, allora nessuno della tua famiglia, cioè nessuno dei tuoi figli o dei tuoi parenti rimarrà vivo per più di due anni. Essi saranno uccisi dal popolo russo... Pregate, pregate, siate forti, pensate alla vostra benedetta famiglia.” . La predizione si avverò: anche gli zar finirono per essere traditi e trucidati orribilmente di lì a poco, quando il partito bolscevico di Lenin prese il potere. Gli zar forse non capirono che la morte di Rasputin non era solo un atto contro un singolo uomo, ma anche il sintomo dell’insofferenza di diversi strati sociali per lo status quo, ovvero l’immobilismo di una nazione sempre uguale a se stessa, ferma nella celebrazione di fasti passati simboleggiata dai propri regnanti.
Fin qui ho riportato (più o meno) quello che la storia ufficiale racconta, incluso qualche blando tentativo di rendere più equilibrato il giudizio su Rasputin.
Ma nel tempo molte voci si sono levate decisamente dal coro per raccontare una verità diversa, che confuta quella ufficiale che, in quanto promulgata di chi deteneva il potere, e non dall'uomo della strada, non sarebbe affidabile.
Innanzitutto, è chiaro che Rasputin venne ucciso perché era diventato troppo influente e rischiava di trascinare il paese in una direzione che i più non desideravano. Insomma si era messo contro chi contava. La solita vecchia storia di giochi di potere sfuggiti di mano e prove di forza, vincitori e vinti. Ma è davvero tutto qui? Non si trattò forse anche di un tentativo di affossare le sue battaglie in favore dei contadini e degli ebrei, ovvero i deboli e gli emarginati della società?
Non voglio fare parallelismi con la storia attuale, e soprattutto con quella del nostro paese, perché sarebbero decisamente fuori luogo: Rasputin non fu certo un eroe immolato sull’altare della patria e le sue motivazioni probabilmente non erano così pure, insomma non possiamo affermare con certezza se fosse davvero uno sciamano e un veggente oppure un impostore. In qualche modo, però, la sua ossessione per il misticismo era tangibile, e sebbene la sua natura godereccia non gli permise di vivere in maniera più consona al suo ruolo di monaco, la sua spiritualità era reale. E sulle sue battaglie sociali troppo spesso si sorvola.
A questo proposito, occorre innanzitutto sottolineare che la supposta dissolutezza di Rasputin non era altro che l’espressione di un comportamento normale nell’aristocrazia russa dell’epoca. La società russa era di per sé decadente; il fatto stesso che le malattie veneree dilagassero dimostra che la promiscuità sessuale era comune, mentre l'alcol era molto diffuso presso la nobiltà. Un certo numero di storici e biografi afferma che, se Rasputin fosse stato un aristocratico, le voci di promiscuità e di ubriachezza sarebbero state liquidate come comportamenti normali. Del resto la stessa indagine della Commissione Straordinaria post-rivoluzionaria appurò che le affermazioni secondo le quali egli sarebbe stato un donnaiolo erano da considerarsi tesi infondate perché non supportate da alcun testimone diretto, e lo assolse dall’accusa di aver fatto parte della setta dei Khlysty.
Secondo quegli stessi storici e biografi, Rasputin fu dipinto come un mostro solo perché sosteneva i contadini e gli ebrei, mentre la società russa era ferocemente settaria e antisemita, e fu eliminato perché aveva cercato di impedire l’entrata in guerra della Russia.
Nel 1791 Caterina la Grande creò la cosiddetta Zona di residenza (The Pale of Settlement, in lingua russa Черта́ осе́длости, cherta osedlosti) in cui gli ebrei avevano il permesso di risiedere permanentemente, e oltre la quale di solito la residenza gli era interdetta. Quest’area comprendeva una regione lungo il confine occidentale della Russia che si stendeva dalla linea di demarcazione alla frontiera russa con la Germania e l'Austria-Ungheria (ovvero comprendeva, in base alla geografia attuale, gran parte di Lituania, Bielorussia, Polonia, Moldavia, Ucraina e Lettonia) e rimase i vigore fino alla Rivoluzione.
La Zona di residenza era dedicata non solo agli ebrei, ma anche ai cattolici e a tutti coloro che si rifiutavano di abiurare per abbracciare la religione di stato (la Russia, ricordiamolo, era in maggioranza ortodossa).
Con poche eccezioni, gli ebrei non erano autorizzati a lasciare Zona di residenza; in determinati periodi gli fu inoltre vietata la residenza nelle aree agricole o in alcune città come Kiev o Yalta, incoraggiando la nascita di piccoli villaggi nei quali le condizioni di vita non erano delle migliori.
Inoltre, all’epoca molte professioni e occupazioni erano loro precluse. Le cronache dell’epoca riportano che solo a una piccola percentuale della popolazione ebraica fosse permesso di frequentare scuole e università: paradossalmente, mentre a un’insegnante o studentessa ebraica era proibito lasciare la Zona di residenza nell’espletamento della propria attività, a una prostituta era consentito viaggiare ovunque, quindi molte donne si fingevano prostitute mentre in realtà studiavano o insegnavano in segreto.
Quel che è peggio gli zar, incluso Nikolaj II, permisero (quando non apertamente decretarono) incursioni regolari, chiamate “pogrom”, nei villaggi della Zona, e la concentrazione di ebrei nelle stesse aree li rendeva anche facile preda di spontanee rivolte anti-ebraiche. Nel corso di queste incursioni e rivolte case e proprietà erano saccheggiate e bruciate, e intere famiglie torturate e massacrate.
Rasputin era inorridito da questa situazione e cercò a più riprese di convincere lo zar a concedere uguali diritti agli ebrei, ma invano. Una volta dichiarò: "invece di organizzare pogrom e accusare gli ebrei di tutti i mali, faremmo meglio a criticare noi stessi." Egli sosteneva che se un uomo crede in Dio, questo è sufficiente ed è un peccato cercare di convertirlo o sminuire il suo credo, posizione in totale contrasto con il nazionalismo russo e che gli provocò non poche critiche.

Concretamente, Rasputin cercava di aiutare gli ebrei, per esempio avvisandoli di imminenti attacchi quando ne veniva a conoscenza, e chiedendo allo zar di annullarli. Intercesse in alcuni casi giudiziari e presentò una petizione alla zarina per consentire agli studenti ebrei di frequentare l'università o esercitare determinate professioni, al di sopra e al di là della quota consentita, per consentire il teatro ebraico, per liberare gli uomini innocenti e le loro famiglie dalla prigione o dal confino in Siberia, e molto altro.
Alla sua porta c’erano sempre file di persone che chiedevano favori o la sua intercessione, e tra questi i poveri e gli ebrei, così come burocrati e militari in cerca di promozioni. Lui accettava i soldi dei ricchi per poi distribuirli tra i poveri, oppure li utilizzava per corrompere i funzionari perché concedessero favori, o aggirassero le leggi, in base a quello che gli era stato chiesto.
Rasputin era anche contrario alla guerra e consigliò allo zar di non farsi coinvolgere nella I Guerra mondiale, ma inutilmente. Tentò di far nominare come ministri coloro che gli avevano promesso di sostenere gli ebrei e la campagna contro la guerra, anche se molti di questi, una volta eletti, non ebbero poi il coraggio di rispettare le promesse fatte.
Propose allo zar di acquistare terreni dalla nobiltà per darli da coltivare ai contadini, e di far sì che la nobiltà investisse gli utili dei propri immobili nelle fabbriche per contribuire alla rivoluzione industriale e creare posti di lavoro.
Tra le altre battaglie civili che egli promosse ci fu la richiesta di regolare i prezzi dei prodotti alimentari per contrastare il mercato nero, di non inviare uomini al fronte prima della vendemmia e di non inviarli in battaglia senza munizioni (in battaglia le truppe russe registravano un altissimo numero di perdite dovute alla scarsità di armi e all’inadeguatezza dei vestiti per i soldati, carenze delle quali lo zar era a conoscenza ma che per inerzia non si decideva a colmare).
Purtroppo lo zar non ascoltò nessuno di questi consigli, e questo dimostra da un lato che l’influenza di Rasputin sul sovrano, questioni spirituali a parte, non era poi così grande come si sosteneva, e dall’altro che Rasputin era un uomo dalle idee progressiste, contrario alle ingiustizie e alla violenza.
Un certo numero di studiosi ha anche suggerito che, se i consigli di Rasputin fossero stati seguiti, forse la rivoluzione del 1917 non si sarebbe verificata. Infatti, dopo la Rivoluzione, gli ebrei non furono più costretti a vivere nella Zona di residenza e gli furono concessi gli stessi diritti degli altri cittadini, la terra fu data da coltivare ai contadini e cominciò l'era dell’industrializzazione.
Insomma Rasputin sarebbe stato scientemente screditato dal clero e dall’aristocrazia con la connivenza della stampa perché cercava di sovvertire l’ordine sociale eliminando (o limitando) i privilegi di alcuni. In rete si trova anche chi afferma che Rasputin fosse uno spirito illuminato con la sua opera seguì le orme dell’Apostolo Giovanni.
Io non so se Rasputin sia stato un vero guaritore , un veggente o una persona illuminata da Dio, ma non lo credo neanche malvagio né la personificazione del male. Probabilmente non era un santo né un demonio, ma semplicemente solo un uomo, con in sé un po’ dello spirito divino che alberga in tutte le cose.

3 commenti:

  1. Il problema è che la Storia viene sempre scritta dai vincitori. Mi vengono in mente tutte le biografie che dipingono Robespierre come un autentico mostro, mentre l'ultima che è appena uscita, e che ho letto, cerca non di difendere il personaggio ma di ridimensionarlo. Molte condanne a morte nel 1794 non furono avallate da lui, ma proprio da coloro che poi lo abbatterono.

    Ritornando a Rasputin, pensa che un mesetto fa c'era un articolo sul supplemento di un quotidiano in cui si ricordava una serie di colloqui con il principe Feliks Jusupov. Questi raccontava all'incirca quello che hai detto tu, e che nel tentativo di farlo fuori lui era impressionato dalla vitalità emanata da Rasputin, pur avvelenato e pur accoltellato. Come se fosse durissima assassinarlo, come se non fosse del tutto umano... A conti fatti, è una figura carismatica ancora oggi!

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    1. Intanto grazie per aver recuperato questo mio vecchio post. Non mi era venuto particolarmente bene, non è uno di quelli di cui sono proprio soddisfatto, diciamo, ma mi fa piacere lo stesso aver scritto qualcosa su Rasputin, uno dei personaggi più interessanti della storia russa. Un tempo pensavo di riuscire a dedicare molto spazio alla Russia in questo blog, ma finora non ce l’ho fatta (l’ennesimo proposito disatteso). Comunque… la Storia in effetti è quanto di più misterioso possa esistere: non ne conosciamo che le briciole e i cosiddetti ‘revisionisti’ non hanno quasi mai vita facile, perché si devono scontrare con idee ormai radicate nell’immaginario collettivo. Anche Robespierre è una figura molto ambigua, ma anche affascinante.

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    2. La Storia ha il problema che viene vista da una sola angolazione. Tempo fa avevo assistito a un incontro con uno storico che tratta di Sicilia musulmana: ovviamente il punto di vista europeo sulla questione del Mediterraneo è il nostro, ma è interessante sapere anche il loro. Ad esempio mio padre mi raccontava che in gioventù aveva letto un saggio con testimonianze sulle famose Cinque Giornate di Milano, scritto dagli austriaci. Pare che fu il maresciallo Radetzky a ritirarsi di sua volontà, e non i milanesi a cacciarlo. Poi dove stia la verità, o se sia un misto di entrambe le versioni, non lo sapremo mai.

      Per quanto riguarda Rasputin, si può definire un personaggio da romanzo, nessuna meraviglia che abbia acceso la fantasia di storici e scrittori! La Russia poi è una nazione dall'anima mistica, basta pensare a quali scrittori abbia generato.

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