mercoledì 21 novembre 2012

Chilam Balam (Pt.2)

Quella notte la trascorsi in bianco. La mia mente continuava a ritornare agli avvenimenti occorsi il pomeriggio precedente. Come poteva quell’uomo essere sparito nel nulla? E che fine aveva fatto il libro sul quale era stato chino fino a solo poche ore prima? Ma soprattutto, qual era il segreto racchiuso in quelle pagine, segreto che quell’uomo dava la netta impressione di conoscere? Qual era infine il significato delle parole che mi aveva rivolto? Fu solo verso l’alba che la stanchezza mi vinse e finalmente mi addormentai. Quando mi svegliai il sole aveva già compiuto oltre la metà del suo compito quotidiano: a giudicare dalla luce che filtrava dalla piccola finestra della mia stanza, doveva essere infatti già tardo pomeriggio. Mi misi seduto, mi stropicciai gli occhi e mi guardai attorno. La stanza in cui vivevo in quegli anni non si poteva certo definire una reggia: si trattava di un pertugio di tre metri per due ricavato a lato di un vecchio fienile. Il contadino che mi ospitava era un vecchio amico di mio padre e, per affetto nei suoi confronti, acconsentì di ospitarmi in cambio solo di qualche piccolo lavoretto. Oltre alla brandina dove dormivo c’era solo una sedia e, accanto alla finestra, una piccola scrivania dove passavo il mio tempo a studiare. Non ci volle molto prima che i fatti appena vissuti mi tornassero alla mente, ed ero ora più che mai convinto di dovermi recare nuovamente in biblioteca. In cuor mio conservavo la speranza che l’incontro con quello strano individuo si fosse rivelato nient’altro che un brutto sogno. Mi gettai sul sentiero e, camminando di buona lena, giunsi ben presto in città. La piazza antistante la biblioteca era semideserta. Mi guardai un po’ in giro nel tentativo di riconoscere qualcuna delle facce a me note, ma senza successo. Le prime ombre della sera facevano capolino e pertanto decisi di non indugiare oltre e di infilare rapidamente la porta dell’edificio.

Mi diressi quasi di corsa verso il mio solito scaffale. Da lontano avevo già notato che l’ampio spazio vuoto orfano dal manoscritto mancante la sera prima non era affatto vuoto. Dentro di me però sapevo che qualcosa non andava, c’era qualcosa di profondamente sbagliato. Alzai lo sguardo verso lo scaffale: quello che vidi erano solo vecchi testi latini. Guardai a destra, guardai a sinistra, cercai poi in tutta la biblioteca, ma di quel libro non c’era alcuna traccia. Credo che fu in quel momento che persi i sensi. Quando mi svegliai era ormai notte inoltrata. Ero immerso nelle tenebre, dimenticato all’interno della biblioteca oltre l’orario di chiusura. A tentoni cercai di avvicinarmi all’ingresso. Il mio respiro diventava istante dopo istante sempre più affannoso. Fu in quel momento che sentii un rumore alle mie spalle. Nell’oscurità una candela si accese. Una figura diabolica si stava avvicinando a me, ed io caddi in ginocchio e mi sorpresi a singhiozzare: ero terrorizzato. Mi coprii il volto con le mani. Credevo di morire. - Ragazzo, - la sua voce ruppe il silenzio. La riconobbi.

Misi a fuoco la sagoma ancora parzialmente avvolta nell’oscurità e improvvisamente si materializzò, illuminato dalla fioca luce di una candela, un uomo con una lunga tonaca, il viso sottile e allungato, un paio di baffi ben curati e un’improbabile barba a punta. 
- Lo senti anche tu? - disse. 
Singhiozzai qualcosa. 
- Lo avverti anche tu il cambiamento? È nell’aria, tutto intorno a noi. La porta è stata aperta. Non c’è tempo da perdere. 
Notai il manoscritto nella sua mano destra. 
- Questo libro, - disse sollevandolo di fronte a me, - dovrà tornare da dove è venuto, ed io mi accerterò che sia così.
Rimasi in silenzio, indeciso sul significato di quelle parole. La figura di fronte a me stette a sua volta in silenzio e, per un numero interminabile di secondi, il tempo mi sembrò sospeso. Tutto il mondo attorno a me sembrava essersi fermato nell’attesa di un mio cenno, una risposta, una fuga, qualunque cosa. Rimasi tuttavia immobile, completamente impotente. 
- Tu hai avuto modo di curiosare in queste pagine, vero? Non mentire, ragazzo, te lo leggo negli occhi. 
Abbozzai un cenno di assenso con il capo, ma egli parve non accorgersene e proseguì: 
- Qualunque cosa tu abbia visto sfogliando questo libro, per carità di Dio, dimenticalo. Smetti di venire qui a curiosare. Smetti di tormentarti. Queste pagine maledette non appartengono a questo mondo. Se si trovano qui è a causa mia, della mia inettitudine, e adesso che finalmente ne ho compreso il significato, sento che dovrò essere io e soltanto io a pagarne il prezzo.

Lo osservai incuriosito. Avevo forse a che fare con un pazzo? Magari un pazzo pericoloso? Mi guardai rapidamente attorno. Eravamo soli, io e lui. Nessuna via di fuga. Nella peggiore delle ipotesi non avrei avuto altra scelta che difendermi con la forza. 
- Il mio nome è Kukulkàn - disse rompendo nuovamente il silenzio - e ho trascorso tutta la vita ad inseguire i fantasmi dei miei antenati, un popolo che viveva oltre le montagne, un popolo fiero e generoso che fu spazzato via dall’arrivo di coloro che scrissero questo libro molti secoli orsono. La tradizione vuole che il mio popolo fu annientato dai conquistadores spagnoli di Hernán Cortés, avidi delle loro ricchezze, ma la verità è un’altra ed è testimoniata da queste pagine. È una verità che non posso permettere venga rivelata, una verità che, se inseguita da individui senza morale, potrebbe portare alla fine del mondo così come lo conosciamo adesso. 
Adesso finalmente conoscevo il suo nome. Nemmeno per un momento ebbi la sensazione che quell’uomo, Kukulkàn (ma che razza di nome), mi stesse mentendo. Anche se pazzo (un’ipotesi che non avevo ancora scartato), non credevo potesse essere ostile nei miei confronti. 
- Ma prima di tutto è necessario che la porta venga chiusa, che il varco tra questo e quel mondo abominevole sia dimenticato per sempre, e soprattutto che questo… - qui ebbe un attimo di esitazione - questo… libro, unica testimonianza di quegli antichi predatori, rimanga dall’altra parte. 
Improvvisamente, al suono di quelle ennesime folli parole, mi armai di tutto il coraggio che avevo e replicai, cercando di sottolineare con il tono della voce il mio fastidio. 
- Eh no, calma. Adesso basta! Quale porta? Quali predatori? Quali pericoli? Che diavolo è quel libro? Come può rovesciarmi addosso una montagna di mezze frasi, di cose dette a metà, e allo stesso tempo chiedermi di non essere curioso, anzi, di dimenticare al più presto quello strano libro? Se prima la mia curiosità era solo abbozzata, beh… adesso sono MALEDETTAMENTE curioso! Voglio, pretendo, esigo delle spiegazioni!

Stette in silenzio per diversi minuti, durante i quali la mia rabbia fece in tempo a sbollire fintanto che quasi mi pentii di aver alzato la voce in quel modo. Mi osservava inclinando il capo prima a destra, poi a sinistra. Con l’indice e i pollice della mano destra prese a tormentarsi quegli insopportabili baffi, come se stesse valutando pro e contro. Dopodiché, mantenendo un tono di voce apparentemente calmo e rilassato disse: 
- Così sia, allora. Avrai le tue risposte. Tutto sommato nessuno mai ti crederà, una volta che tutto questo sarà finito. - Per un attimo mi chiesi se le parole che avevo udito erano davvero quelle che in cuor mio avevo sperato.
- Adesso, però, vai a farti qualche ora di sonno. Domattina presto, alle sette in punto, fatti trovare nella piazza qui di fronte. Sii puntuale, perché la corriera non ti aspetterà. E nemmeno io.
- La corriera? E per dove? - chiesi.
- Palenque, ragazzo mio, Palenque!



2 commenti:

  1. E si la reminiscenza Lovecraftiana diventa sempre più forte man mano che si va avanti...;)

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    1. Ne ho plagiato lo stile, lo ammetto. Dici che potrei finire nei casini?

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