mercoledì 25 novembre 2015

La cisterna

Il paese ha bisogno di riforme, riforme che non possono più essere rinviate. Occorre rendere più flessibile il mercato del lavoro. Non si può pensare alla scuola come a un ammortizzatore sociale. Siamo disponibili al confronto con l’opposizione e le parti sociali. Quante volte abbiamo ascoltato distrattamente queste frasi al telegiornale? Talmente spesso che, ne sono sicuro, ormai hanno per noi perso di significato. Non facciamo nemmeno più caso a chi le pronuncia e a quale sia il contesto dal quale tali frasi emergono. Frasi buttate lì e alle quali non prestiamo più attenzione, consci come siamo che chi le pronuncia ha come unico fine quello di ottenere voti, con i quali ottenere potere e con il quale ottenere benefici personali. I recenti episodi che hanno visto come protagonisti burocrati statali dai nomi eccellenti, pescati come mille altri loro predecessori con le mani nel sacco, tra episodi di clientelismo e vicende di peculato, ci fanno indignare, se non addirittura rabbrividire, però continuiamo a tirare avanti per la nostra strada, a capo chino, brontolando al cielo e sperando, dentro di noi, che qualcuno abbia il coraggio di cambiare le cose. Eppure la storia ci insegna che l’umanità si è trovata più volte di fronte a situazioni di questo genere. La corruzione sempre più diffusa all’interno delle cosiddette democrazie ha fatto in modo che queste ultime sfociassero in qualcosa di ben peggiore. Le dittature nazi-fasciste che insanguinarono l’Europa per tutta la prima metà del Novecento, giusto per fare un esempio, vennero in risposta alla crisi strutturale dei sistemi parlamentari. Tutte le grandi dittature sono sorte a causa dell’illusione del popolo di poter restaurare una democrazia non più rispondente alle necessità pubbliche.
La strada è stata sempre la stessa… impoverimento economico della società, accrescimento della corruzione, eventuale (ma non sistematica) guerra civile e insediamento di poteri forti per il ripristino di un certo grado di stabilità. In un certo qual modo fu lo stesso percorso che portò, già duemila anni fa, alla nascita dell’Impero romano sulle ceneri della Repubblica.
Sulla base di tali illustri precedenti non possiamo fare a meno di temere che tutto questo possa ripetersi - è quello che immagina Nicola Lombardi, autore de "La Cisterna", un eccezionale romanzo distopico pubblicato solo qualche mese fa per merito dell’attenta oculatezza di Dunwich Edizioni.
"La Cisterna" è uno di quei libri che si leggono tutto d'un fiato, uno di quei pochi casi dove ci si trova immersi in un’atmosfera talmente coinvolgente che il desiderio di procedere nella lettura prende il sopravvento sulle umane necessità quali il mangiare, il bere e il dormire. Credo in realtà di aver esordito altre volte con una frase come questa ma, lo sapete meglio di me, scrivere recensioni non è il mio mestiere e quello che mi viene da gettare in pasto a questo blog, al termine della lettura di un libro o della visione di un film, è esclusivamente ciò che mi sgorga dai pori della pelle. Mi capita ormai sempre più di rado di trovarmi immerso in pagine di potenza descrittiva ed evocativa pari a quelle de "La Cisterna" e, nonostante manchi ancora un mesetto alla fine dell'anno, credo che tale titolo verrà ricordato dal sottoscritto come la più piacevole scoperta del 2015.
Riporto qui di seguito il breve testo estratto dalla quarta di copertina: "Nuovo Ordine Morale. Una feroce dittatura militare. Un nuovo sistema carcerario estremo in cui le Cisterne rappresentano il terribile strumento per una radicale epurazione della società. Giovanni Corte, giovane pieno di speranze, conquista l’ambito ruolo di Custode della Cisterna 9, nella quale dovrà trascorrere un anno. E comincia così per lui un cammino – inesorabile, claustrofobico, allucinante – lungo gli oscuri sentieri dell’anima umana, verso il cuore buio di tutti gli orrori che albergano fuori e dentro ciascuno di noi".

L'idea è incredibile ma nemmeno poi tanto, visto che, come detto, l'umanità ha più volte generato orrori paragonabili, se non superiori, a quelli immaginati da Nicola Lombardi. La novità in questo caso è l'ambientazione italiana, quella in un imprecisato futuro sorto sulle ceneri della quarta repubblica, ennesimo fallimento politico del nostro paese, un futuro in cui sorge la soluzione che dovrebbe sradicare per sempre la corruzione, il clientelismo e tutti gli altri cancri che ben conosciamo; una dittatura così feroce da immaginare e realizzare una cisterna, un enorme silo di cemento e acciaio al quale vengono "consegnati" gli indesiderabili della società: ladri, assassini, stupratori e, naturalmente, gli oppositori del regime. Un’enorme cisterna al cui interno i colpevoli, o presunti tali, vengono gettati dalla cima senza tante storie.
I più fortunati riusciranno a rompersi l'osso del collo nella caduta, gli altri periranno lentamente, immersi in un infernale groviglio di carne umana, cercando istintivamente di non farsi ingoiare da quella montagna di disgraziati destinati ad una morte terribile. Niente cibo per i condannati, niente luce, niente di niente: la società li ha dimenticati nell'istante stesso dello "scarico". La morte, una morte orrenda, è l'unica via d'uscita. Senza eccezione alcuna. Giovanni espirò con cautela, in maniera da non rendere evidente il nervosismo che lo aveva quasi pietrificato, mentre un invisibile meccanismo oleodinamico faceva scorrere all’interno del muro circolare la porta di vetro e metallo. Fu un soffio, un fruscio setoso. E il piccolo locale conosciuto come Chiusa si mostrò ai suoi occhi. […] Si tratta di un angusto spazio delimitato da pareti di cristallo che si protendeva per circa un metro entro la circonferenza della cisterna. Una sorta di balconcino, in pratica, sostanzialmente ampio quanto la cabina di un ascensore, stretto e chiuso su ogni lato, sospeso sopra l’oscura voragine circolare gremita di corpi in agonia. [… La parete di fondo della Chiusa, infatti, era costituita da una seconda porta a due battenti, denominata tecnicamente Varco di Scarico (ma che nel gergo parallelo e più spiccio usato dagli addetti ai lavori era la Dolente, a richiamare l’iscrizione posta da Dante sopra l’entrata dell’Inferno). […] Ciò che stava avvenendo all’interno della Chiusa era inesorabile, nella sua semplicità. La Dolente si era spalancata protendendo verso l’abisso i suoi battenti e nel contempo la piattaforma gommata che fungeva da base aveva preso a ruotare in avanti. Un piccolo tapis roulant. […] Giovanni aveva sentito racconti secondo i quali vi erano condannati che preferivano di gran lunga procurarsi la morte per caduta piuttosto che affrontare un’agonia la cui durata non sarebbe stata valutabile. La cosa, naturalmente, era possibile qualora la distanza tra la Chiusa e lo strato superficiale degli ospiti fosse apprezzabile; in caso contrario, era pensabile che una caduta volontariamente autolesiva potesse provocare solo menomazioni o dolorose ferite. Si diceva che non fossero rari i casi i cui anche chi stava già disteso sopra l’ammasso di corpi cercasse la morte sfruttando l’arrivo dei nuovi arrivati posizionandosi in modo tale da farsi rompere i collo. Non mancavano neppure racconti incentrati sul cannibalismo, che si diceva fosse praticato dagli ospiti delle Cisterne giunti all’estremo grado di abbruttimento, disperazione e pazzia. 

Nicola Lombardi, ferrarese, classe 1965, non è certamente un nome nuovo per chi si aggira tra le meraviglie della letteratura fantastica di casa nostra. Già vincitore del Premio John W. Polidori di Nero Press con l’horror palindromo “I ragni zingari” (originariamente uscito in cartaceo attraverso le mitiche Edizioni XII), è autore di numeri racconti e romanzi, tra i quali “Madre nera”, una storia “in bilico sull’orlo degli abissi in cui custodiamo i segreti dell’anima”.
Mi sento di dire che con “La Cisterna” Nicola ha veramente fatto il botto. Nel mio piccolo, da lettore nella media senza una grande capacità analitica, trovo “La Cisterna” veramente efficace per la sua capacità di descrivere situazioni dai toni estremamente cupi e drammatici, inseriti in un ambiente estremamente limitato (non solo in termini di spazio), senza tuttavia rendere la lettura né soffocante né claustrofobica. Un protagonista che si offre spontaneamente per il ruolo di boia ufficiale del regime, che addirittura partecipa a un concorso e lo vince sbaragliando una moltitudine di candidati per poterlo ottenere, potrebbe di primo acchito respingere un po’ le simpatie dei più, ma posso assicurarvi che si fa dannatamente in fretta a entrare nei suoi panni e a fare il tifo per lui.
Sembra quasi impossibile, ma è la pura realtà. Giovanni Corte non ci viene presentato come un ragazzo che si trova calato in una realtà che nessuno di noi vorrebbe mai affrontare, Giovanni Corte non è un pavido che sceglie semplicemente di stare dalla parte del più forte per convenienza. Tutt’altro. Egli, almeno inizialmente, è un deciso sostenitore del regime, nel quale vede l’unica soluzione ai problemi del mondo. Se ancora non bastasse, Giovanni Corte si offre per il posto di lavoro più discutibile al solo fine di poter uscire, dopo un anno esatto, al successivo cambio della guardia, con le tasche piene di denaro da poter spendere liberamente su quelle spiagge esotiche a lui promesse, come bonus pensione, dal feroce NOM.
Eppure, nonostante le premesse, qualcosa in lui riesce ad avvicinarci. Solo dopo poche pagine quell’immaturo boia di stato (anzi, del “Nuovo Ordine Mondiale”) riesce ad entrare in sintonia con noi lettori. Ne seguiamo le vicende, ne condividiamo le angosce e ci sentiamo sollevati quando i suoi “piccoli” problemi quotidiani si risolvono. Ciò però non equivale a condividere il suo pensiero, non equivale a comprendere coloro che si macchiano di quelle colpe giustificate dai tempi. Sarebbe come assolvere i simpatizzanti dei regimi nazifascisti del secolo scorso. Non reagire, non contrapporsi, non criticare, sono tutte scelte che rappresentano una sorta di accettazione e di complicità. Ho ragione o mi sbaglio? Una domanda a cui non saprei rispondere. Non saprei nemmeno come finirei per comportarmi se mi ritrovassi catapultato in un mondo in cui ogni giorno è buono per morire senza ragione. E quando il giovane condannato gli passò accanto - smunto, con alcune ecchimosi da percosse sul viso – Giovanni non si aspettava certo che gli rivolgesse la parola. “Ho solo lanciato… volantini…all’Università”.

Immagini: Arturo Benvenuti - K.Z.: Disegni degli internati nei campi di concentramento nazifascisti (edizioni BeccoGiallo)

14 commenti:

  1. Questo assaggio mi ha fatto venire i brividi e, anche se non è adatto ad un clima natalizio, me lo voglio procurare.
    Certo è che, con la tecnologia odierna, anche Hitler avrebbe risolto più rapidamente la sua missione di epuratore.
    Pensare che un giorno possano costruire un 'cisterna' è inamissibile, ma neanche tanto poi, con ciò che si vede ingiro...
    Una recensione impeccabile, grazie.
    Cristiana

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    1. Una cisterna non è un'idea tanto campata in aria, se ci pensi bene. In fondo i campi di concentramento non erano molto diversi: la gente che vi entrava veniva ben presto dimenticata e, in carenza di spazio, c'erano le ciminiere a completare l'opera di "smaltimento". Oggi? Potrebbe succedere ancora. Dopotutto siamo già sulla buona strada....

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  2. Inutile dire che la Dunwich sta facendo un ottimo lavoro, ho letto diverse cose editate da loro e non sono assolutamente male.

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    1. Le edizioni Dunwich stanno davvero sparando fuori un gioiellino dopo l'altro... faccio davvero una fatica immane nel trattenermi dal spendere una fortuna.

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  3. Grazie Obsidiam, mi ha incuriosito molto questo post, ma è possibile acquistare "la cisterna" in ebook?

    Ci si legge :-)

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    1. Esiste anche la versione ebook ma credo solo nel formato Kindle (qui).

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  4. Lo trovo terrificante (in senso proprio eh!)... penso che mi farebbe arrabbiare e non poco il personaggio protagonista. Chi insegue la propria felicità e salvezza a discapito di innocenti e volontariamente (così appare) è il peggio del peggio.
    Queste tematiche sono importanti e fanno "bene" a tutti. Penso che parlarne e non tacere sia la sola cosa possibile. Prendo nota!

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    1. Mentre scrivevo stavo infatti riflettendo su come mi sarei comportato io in una situazione analoga. Ribellarsi e morire oppure voltare la faccia e sopravvivere? Credo che, sebbene ne sia diversa la portata, siano dilemmi che viviamo tutti noi quotidianamente anche nel nostro tempo.

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  5. L'autore si è ispirato forse alle foibe?

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    1. Non saprei ma la tua mi sembra in ipotesi piuttosto probabile...

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  6. Grazie per l'ottima segnalazione. Ho un po' di problemi a imbarcare qualcos'altro da leggere in questo periodo ma ho preso nota del titolo e dell'autore.

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    1. Dico anch'io sempre così ma poi continuò imperterrito ad imbarcare roba. Rassegnati, è il nostro destino quello di venire seppelliti da una montagna di libri...

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