Avete capito bene. A un mese esatto dalla sua scomparsa, su questo blog si torna nuovamente a parlare di David Bowie. Qualcuno potrebbe pensare, e credo sia inevitabile, che questi miei continui riferimenti al Duca Bianco siano un modo un po’ paraculo per attirare audience sfruttando un evento tragico… e non saprei davvero cosa rispondere, se non che mi dispiacerebbe se qualcuno davvero lo pensasse. La verità è dentro di me e non saranno certamente queste quattro righe di introduzione a cambiare le cose.
In quei primissimi giorni dopo la terribile notizia, tutto il web si è risvegliato all’improvviso e un po’ tutti si sono ricordati di essere (o di essere stati) fan di David Bowie. Ammetto che io stesso non sono stato da meno e, se non fosse stato per quell’unico album (Low, 1977) sempre presente nella memoria di tutti gli smartphone che si sono succeduti nella mia tasca, probabilmente adesso sarei qui a dire che non ascoltavo niente di suo da decenni. Che poi, a pensarci bene, un’affermazione del genere sarebbe quanto mai irreale, visto che la musica di Bowie, volente o nolente, ha sempre attraversato a intervalli alterni le varie fasi della mia vita senza mai, nemmeno una volta, lasciarmi indifferente. Anche quei pochi secondi di un suo pezzo captato in tivù durante uno spot pubblicitario, o anche quell’altro pezzo usato, perfetta pennellata finale, nei titoli di coda di un recente mainstream hollywoodiano. Fugaci attimi che mi hanno sempre fatto saltare una pulsazione, mentre mi sorprendevo a dire a me stesso “Ehi, questa è quella vecchia canzone che ascoltavo quando…”. Quanti ricordi!
Ma oggi non siamo qui per celebrare il Bowie musicista: quello l’hanno già fatto in molti (me compreso) nelle ultime settimane. Oggi siamo invece qui per celebrare il suo lato artistico meno conosciuto, quello che lo ha visto numerose volte offrirsi all’occhio della macchina da presa di un regista; il Bowie cinematografico, quel Bowie che innumerevoli volte ha svestito i panni della popstar per indossare quelli, spesso più scomodi, dell’attore. E quando su questo blog di parla di “celebrazioni”, come sapete, di solito c’è in ballo un’iniziativa che coinvolge numerosi blogger. Oggi pertanto, come altre volte è capitato, troverete in giro per la blogosfera numerosi articoli che hanno un denominatore in comune e, in questo caso, quel denominatore è il Bowie-attore. Vi rimando alle note in fondo a questo post per i dettagli (1).
Ho appositamente usato, poco fa, il termine “scomodi” perché, mi sembra quasi superfluo sottolinearlo, non basta avere un bel visino fotogenico per farsi apprezzare in una forma d’arte sostanzialmente diversa da quella nella quale si è abituati a esprimersi. Non sto dicendo che Bowie non fosse all’altezza… tutt’altro. Sto solo dicendo che il pubblico al quale quel tipo di cinema si è sempre rivolto non è mai stato troppo tenero con i “bei visini”. Una specie di innato pregiudizio che, sebbene sostenuto da solide basi quando il bel visino si chiama Jennifer Lopez o Paris Hilton, è tutt’altro che giustificato a proposito del nostro.
Eppure, sono in molti quelli che hanno sostenuto (e tuttora sostengono) che il Bowie attore non sia mai stato un granché e, se me lo concedete, il motivo è abbastanza evidente: ben pochi tra i film interpretati da David Bowie nel corso della sua lunga carriera possono ritenersi opere memorabili. A parte pochissime eccezioni, la filmografia di Bowie è un lungo elenco di titoli i quali, senza la presenza del suddetto, sarebbero finiti da decenni nel dimenticatoio come milioni di altri film. Un’opinione sicuramente forte, la mia, ma credo che anche il più accanito sostenitore di Julien Temple o di David Lynch non possa, tutto sommato, che darmi ragione.
Per questa ragione la mia attenzione non si è soffermata su un film, bensì su un’opera teatrale risalente a trentacinque anni fa che vide il Duca Bianco nelle vesti del protagonista.
Sono quasi certo che, a parte alcuni Bowie-addicted, in pochi oggi si ricordino di quell’avvenimento.
Tutto cominciò qualche mese prima della rappresentazione a San Francisco, città nella quale Bowie assistette alla performance di Phillip Anglim nel dramma “The Elephant Man”, l’opera incentrata sulle vicende di Joseph Cary Merrick (2), l’uomo elefante, reso poi universalmente celebre dalla pellicola di David Lynch che, per inciso, uscì in prima visione nelle sale americane praticamente gli stessi giorni in cui veniva messa in scena la versione teatrale.
David Bowie rimase estasiato da quello spettacolo, ne vide e rivide più volte le repliche e, quasi come se avesse voluto forzare la mano al destino, si mise in testa di poter offrire lui stesso il volto al grottesco personaggio dell’Inghilterra vittoriana. Dopo aver studiato fino alla nausea il copione, il suo sogno si realizzò il 29 luglio 1980, giorno in cui il suo “The Elephant Man” debuttò sul palcoscenico del Denver Centre of Performing Arts.
David Bowie ormai non era più un novellino: a quel tempo la sua carriera artistica era già ben più che consolidata, avendo lui già messo in archivio ben tredici album (3) e un paio di interessanti esperienze artistiche nel mondo del cinema (4).
Il ruolo del protagonista, estremamente complesso di per sé, era reso ancora più ostico dall’oggettiva difficoltà nel mettere in scena le disabilità fisiche di Merrick senza poter ricorrere ai trucchi di scena. Il film di Lynch è molto coinvolgente dal punto di vista emotivo, quasi patetico per come riesce a delineare una figura di uomo la cui interiorità non è minimamente minata dalla disgrazia di un aspetto fisico anormale e alieno, alieno come può esserlo qualcuno la cui fisionomia ricorda quella di un animale. E Bowie, che alieno era in un altro senso, per le sue innate doti di bellezza ed eleganza, ce l’avrebbe fatta a rendere sul palcoscenico un personaggio tanto diverso da se stesso?
La risposta arrivò con una standing ovation già la sera della prima. Bowie sfruttò al meglio la sua espressività e il suo talento e regalò al pubblico di Denver, accorso numerosissimo, uno dei più realistici ritratti di Joseph Merrick.
Tutto il resto è storia: il successo di quella prima serata ebbe un’eco strepitosa, tanto che tutte le date andarono sold-out. Il Denver Centre of Performing Arts incassò quasi duecentomila dollari e registrò il miglior risultato assoluto, tuttora imbattuto, della sua storia. Televisione e giornali sottolinearono entusiasticamente le incredibili capacità mimiche della popstar e, inevitabilmente, contribuirono al successo delle date successive. Credo sia superfluo, specialmente in questa sede, riportare nel dettaglio la cronaca degli avvenimenti che seguirono. Basti sapere che lo spettacolo tornò in scena nuovamente al Blackstone Theatre di Chicago, dove proseguì per tre settimane con invariato entusiasmo da parte di pubblico e critica (si dice che anche il grande Roy Orbison volle presenziare a una delle date di Chicago) per poi sbarcare presso il Booth Theatre di Broadway, nel settembre di quello stesso anno, dove venne replicato con immutato successo fino al 3 gennaio 1981 alla presenza di numerosi mostri sacri della scena pop di quegli anni, da Andy Warhol a David Hockney e Diana Vreeland. Un successo che avrebbe potuto trasformarsi in tragedia considerato che, che in una delle date di dicembre, David Bowie fu avvicinato e fotografato, all’uscita dal teatro, da Mark Chapman, l’uomo che pochi giorni più tardi, a pochi isolati di distanza, avrebbe sfogato la sua lucida follia addosso a John Lennon.
Oggi rimane il rimpianto di esserci persi qualcosa di fondamentale. Sono trascorsi trentacinque anni da quei giorni e tutto quello che rimane di quegli spettacoli sono pochi articoli sul web (5), alcuni piccoli spezzoni di scena ricavati dai notiziari dell’epoca (6) e un CD audio non ufficiale di incerta qualità (7). Non c’è null’altro. Un’intera opera è andata ormai perduta ma resta, perlomeno nella memoria di quei fortunati che poterono assistervi di persona, un'ulteriore testimonianza della poliedricità di un artista che non finiremo mai di rimpiangere.
(1) Oggi si parla del Bowie-attore anche sui seguenti blog: Combinazione Casuale, In Central Perk, Mari's Red Room, White Russian, Il Bollalmanacco, Non c'è paragone, Director's Cult e Pensieri Cannibali
(2) Nel tempo si è sparsa l’errata convinzione che il suo nome di battesimo fosse John, il nome con cui fu portato al cinema da Lynch
(3) Le registrazioni di Scary Monsters, che sarebbe diventato la sua quattordicesima fatica, erano tuttavia già state completate e l’album sarebbe arrivato nei negozi nel settembre di quello stesso anno.
(4) Due erano i film che avevano già visto Bowie nei panni del protagonista: The Man Who Fell to Earth (1976) di Nicolas Roeg e Just a Gigolo (1978) di David Hemmimgs (sì, proprio il David Hemmings di Profondo Rosso)
(5) Principalmente sono due gli articoli degli di nota trovati sul web, articoli che ho usato come fonte per la stesura di questo articolo: trattasi dell'ottimo sito BowieGoldenYears.com e di Up-to-date.com, testimonianza diretta di uno che c'era.
(6) Anche in questo caso le testimonianze video sono pochissime, tutte su TheBowieChannel.
(7) Scaricabile da diverse forti, tra cui World of Bootleg
In quei primissimi giorni dopo la terribile notizia, tutto il web si è risvegliato all’improvviso e un po’ tutti si sono ricordati di essere (o di essere stati) fan di David Bowie. Ammetto che io stesso non sono stato da meno e, se non fosse stato per quell’unico album (Low, 1977) sempre presente nella memoria di tutti gli smartphone che si sono succeduti nella mia tasca, probabilmente adesso sarei qui a dire che non ascoltavo niente di suo da decenni. Che poi, a pensarci bene, un’affermazione del genere sarebbe quanto mai irreale, visto che la musica di Bowie, volente o nolente, ha sempre attraversato a intervalli alterni le varie fasi della mia vita senza mai, nemmeno una volta, lasciarmi indifferente. Anche quei pochi secondi di un suo pezzo captato in tivù durante uno spot pubblicitario, o anche quell’altro pezzo usato, perfetta pennellata finale, nei titoli di coda di un recente mainstream hollywoodiano. Fugaci attimi che mi hanno sempre fatto saltare una pulsazione, mentre mi sorprendevo a dire a me stesso “Ehi, questa è quella vecchia canzone che ascoltavo quando…”. Quanti ricordi!
Ma oggi non siamo qui per celebrare il Bowie musicista: quello l’hanno già fatto in molti (me compreso) nelle ultime settimane. Oggi siamo invece qui per celebrare il suo lato artistico meno conosciuto, quello che lo ha visto numerose volte offrirsi all’occhio della macchina da presa di un regista; il Bowie cinematografico, quel Bowie che innumerevoli volte ha svestito i panni della popstar per indossare quelli, spesso più scomodi, dell’attore. E quando su questo blog di parla di “celebrazioni”, come sapete, di solito c’è in ballo un’iniziativa che coinvolge numerosi blogger. Oggi pertanto, come altre volte è capitato, troverete in giro per la blogosfera numerosi articoli che hanno un denominatore in comune e, in questo caso, quel denominatore è il Bowie-attore. Vi rimando alle note in fondo a questo post per i dettagli (1).
Ho appositamente usato, poco fa, il termine “scomodi” perché, mi sembra quasi superfluo sottolinearlo, non basta avere un bel visino fotogenico per farsi apprezzare in una forma d’arte sostanzialmente diversa da quella nella quale si è abituati a esprimersi. Non sto dicendo che Bowie non fosse all’altezza… tutt’altro. Sto solo dicendo che il pubblico al quale quel tipo di cinema si è sempre rivolto non è mai stato troppo tenero con i “bei visini”. Una specie di innato pregiudizio che, sebbene sostenuto da solide basi quando il bel visino si chiama Jennifer Lopez o Paris Hilton, è tutt’altro che giustificato a proposito del nostro.
Eppure, sono in molti quelli che hanno sostenuto (e tuttora sostengono) che il Bowie attore non sia mai stato un granché e, se me lo concedete, il motivo è abbastanza evidente: ben pochi tra i film interpretati da David Bowie nel corso della sua lunga carriera possono ritenersi opere memorabili. A parte pochissime eccezioni, la filmografia di Bowie è un lungo elenco di titoli i quali, senza la presenza del suddetto, sarebbero finiti da decenni nel dimenticatoio come milioni di altri film. Un’opinione sicuramente forte, la mia, ma credo che anche il più accanito sostenitore di Julien Temple o di David Lynch non possa, tutto sommato, che darmi ragione.
Per questa ragione la mia attenzione non si è soffermata su un film, bensì su un’opera teatrale risalente a trentacinque anni fa che vide il Duca Bianco nelle vesti del protagonista.
Sono quasi certo che, a parte alcuni Bowie-addicted, in pochi oggi si ricordino di quell’avvenimento.
Tutto cominciò qualche mese prima della rappresentazione a San Francisco, città nella quale Bowie assistette alla performance di Phillip Anglim nel dramma “The Elephant Man”, l’opera incentrata sulle vicende di Joseph Cary Merrick (2), l’uomo elefante, reso poi universalmente celebre dalla pellicola di David Lynch che, per inciso, uscì in prima visione nelle sale americane praticamente gli stessi giorni in cui veniva messa in scena la versione teatrale.
David Bowie rimase estasiato da quello spettacolo, ne vide e rivide più volte le repliche e, quasi come se avesse voluto forzare la mano al destino, si mise in testa di poter offrire lui stesso il volto al grottesco personaggio dell’Inghilterra vittoriana. Dopo aver studiato fino alla nausea il copione, il suo sogno si realizzò il 29 luglio 1980, giorno in cui il suo “The Elephant Man” debuttò sul palcoscenico del Denver Centre of Performing Arts.
David Bowie ormai non era più un novellino: a quel tempo la sua carriera artistica era già ben più che consolidata, avendo lui già messo in archivio ben tredici album (3) e un paio di interessanti esperienze artistiche nel mondo del cinema (4).
Il ruolo del protagonista, estremamente complesso di per sé, era reso ancora più ostico dall’oggettiva difficoltà nel mettere in scena le disabilità fisiche di Merrick senza poter ricorrere ai trucchi di scena. Il film di Lynch è molto coinvolgente dal punto di vista emotivo, quasi patetico per come riesce a delineare una figura di uomo la cui interiorità non è minimamente minata dalla disgrazia di un aspetto fisico anormale e alieno, alieno come può esserlo qualcuno la cui fisionomia ricorda quella di un animale. E Bowie, che alieno era in un altro senso, per le sue innate doti di bellezza ed eleganza, ce l’avrebbe fatta a rendere sul palcoscenico un personaggio tanto diverso da se stesso?
La risposta arrivò con una standing ovation già la sera della prima. Bowie sfruttò al meglio la sua espressività e il suo talento e regalò al pubblico di Denver, accorso numerosissimo, uno dei più realistici ritratti di Joseph Merrick.
Tutto il resto è storia: il successo di quella prima serata ebbe un’eco strepitosa, tanto che tutte le date andarono sold-out. Il Denver Centre of Performing Arts incassò quasi duecentomila dollari e registrò il miglior risultato assoluto, tuttora imbattuto, della sua storia. Televisione e giornali sottolinearono entusiasticamente le incredibili capacità mimiche della popstar e, inevitabilmente, contribuirono al successo delle date successive. Credo sia superfluo, specialmente in questa sede, riportare nel dettaglio la cronaca degli avvenimenti che seguirono. Basti sapere che lo spettacolo tornò in scena nuovamente al Blackstone Theatre di Chicago, dove proseguì per tre settimane con invariato entusiasmo da parte di pubblico e critica (si dice che anche il grande Roy Orbison volle presenziare a una delle date di Chicago) per poi sbarcare presso il Booth Theatre di Broadway, nel settembre di quello stesso anno, dove venne replicato con immutato successo fino al 3 gennaio 1981 alla presenza di numerosi mostri sacri della scena pop di quegli anni, da Andy Warhol a David Hockney e Diana Vreeland. Un successo che avrebbe potuto trasformarsi in tragedia considerato che, che in una delle date di dicembre, David Bowie fu avvicinato e fotografato, all’uscita dal teatro, da Mark Chapman, l’uomo che pochi giorni più tardi, a pochi isolati di distanza, avrebbe sfogato la sua lucida follia addosso a John Lennon.
Oggi rimane il rimpianto di esserci persi qualcosa di fondamentale. Sono trascorsi trentacinque anni da quei giorni e tutto quello che rimane di quegli spettacoli sono pochi articoli sul web (5), alcuni piccoli spezzoni di scena ricavati dai notiziari dell’epoca (6) e un CD audio non ufficiale di incerta qualità (7). Non c’è null’altro. Un’intera opera è andata ormai perduta ma resta, perlomeno nella memoria di quei fortunati che poterono assistervi di persona, un'ulteriore testimonianza della poliedricità di un artista che non finiremo mai di rimpiangere.
(1) Oggi si parla del Bowie-attore anche sui seguenti blog: Combinazione Casuale, In Central Perk, Mari's Red Room, White Russian, Il Bollalmanacco, Non c'è paragone, Director's Cult e Pensieri Cannibali
(2) Nel tempo si è sparsa l’errata convinzione che il suo nome di battesimo fosse John, il nome con cui fu portato al cinema da Lynch
(3) Le registrazioni di Scary Monsters, che sarebbe diventato la sua quattordicesima fatica, erano tuttavia già state completate e l’album sarebbe arrivato nei negozi nel settembre di quello stesso anno.
(4) Due erano i film che avevano già visto Bowie nei panni del protagonista: The Man Who Fell to Earth (1976) di Nicolas Roeg e Just a Gigolo (1978) di David Hemmimgs (sì, proprio il David Hemmings di Profondo Rosso)
(5) Principalmente sono due gli articoli degli di nota trovati sul web, articoli che ho usato come fonte per la stesura di questo articolo: trattasi dell'ottimo sito BowieGoldenYears.com e di Up-to-date.com, testimonianza diretta di uno che c'era.
(6) Anche in questo caso le testimonianze video sono pochissime, tutte su TheBowieChannel.
(7) Scaricabile da diverse forti, tra cui World of Bootleg
Ennesimo esempio della mia ignoranza, di questo "evento" passato non sapevo davvero nulla.
RispondiEliminaPeccato sia rimasto poco di quest'opera, avrebbe meritato sicuramente maggior fortuna presso noi poveri posteri...
Era inevitabile che ne rimanesse poco. Credo siamo già fortunati a poter avere quel poco che abbiamo.
EliminaIncredibile! Ignoravo tutto questo e ti ho letto a bocca spalancata: mi sa che solo Bowie poteva dar voce all'Elephant Man senza trucco!
RispondiEliminaIn molti hanno impersonato Joseph Merrick a teatro: l'ultimo in ordine di tempo è stato credo Bradley Cooper. Credo però che l'interpretazione offerta da Bowie, perlomeno guardando i pochi spezzoni a nostra disposizione, sia rimasta unica e inimitabile.
EliminaHo visto sia il film che lo spettacolo teatrale, ma non sapevo che anche Bowie avesse recitato nel ruolo di Merrick.
RispondiEliminaE comunque immagino che seguiranno altri post sull'argomento, visto che persino io, nel mio piccolo, ricordo un paio di interpretazioni memorabili del Duca Bianco (in "Furyo" e "Miriam si sveglia mezzanotte").
Hai visto Merrick a teatro? Ecco una cosa che ti invidio! Altri post sull'argomento sono usciti oggi per merito dei blogger che ho linkato nelle note. Su questo blog, almeno per un po', metterei da parte l'argomento "Bowie": finirei per diventare monotematico (anche se non è escluso che presto possa tornare qui a parlare di Merry Xmas Mr. Lawrence)...
EliminaPreciso: l'ho visto in televisione. Su un piccolo canale televisivo dove trasmettevano cose originali, una volta ho visto la pièce teatrale di "Elephant man" doppiata in modo tutto sommato accettabile.
EliminaN.B.: Quando ho scritto "Furyo" intendevo "Merry Xmas Mr. Lawrence"
Furyo... Merry Xmas... stessa roba. Grazie piuttosto per aver trovato il tempo di passare di qua, considerati i tuoi recenti casini...
EliminaNon è vero che hai fatto un riferimento paraculo citando Bowie, anche se non lo ascolti per decenni (ma è quasi impossibile, la sua arte è dappertutto come colonna sonora per esempioin The Martian).Per il resto, Madonna come attrice ha fatto di peggio, quindi a Bowie si può perdonare anche il film meno riuscito. Magari avessi avuto la chance di vederlo a teatro o solo in concerto! :( Grazie per aver organizzato questo grandissimo omaggio a Bowie!
RispondiEliminaVedere nominata Madonna mi ha creato un momento di scompenso... anche se ammetto che in "Evita" mi aveva quasi convinto.
EliminaNon conoscevo nemmeno io quest'opera teatrale.
RispondiEliminaMi congratulo con voi blogger per questa bella iniziativa del David Bowie Day e -sotot sotto- mi dispiace non averne fatto parte.
Beh... se non vuoi farti sfuggire altre occasioni come questa basta che scrivi alla bolla in pvt. Purtroppo mi sa che di Bowie-Day non ce ne saranno molti altri nel prossimo futuro.
EliminaIgnoravo totalmente questa notizia. Lui era un talentuoso e non mi stupisce che, pur essendo fondamentalmente un artista del pop raffinato, volesse dedicare parte della sua carriera anche al teatro. Ottime prove le sue.
RispondiEliminaMusica, cinema, teatro... alla fine sono diverse facce della stessa arte, no?
EliminaMah, forse non potrei abbracciare una definizione come questa se non in senso molto lato: sono manifestazioni della tendenza umana a rappresentarsi, ma sono anche molto differenti fra loro.
EliminaNaturalmente la definizione è in senso molto lato... Altre arti, come pittura e fotografia, non rientrano invece in questa definizione. Mi sembrano invece quasi appartenere ad una categoria opposta...
EliminaQuesta poi... altre che chicca, chiccona ghiotta. Bravo Tom.
RispondiEliminaNiente male, eh ? ^_°
EliminaIo, da Bowie-addicted, ero al corrente della cosa e mi ero anche chiesto perché i tg (almeno quelli che ho visto io) non ne avessero fatto parola.
RispondiEliminaUn'altra cosa che credo sia poco nota, è che Bowie ha fatto anche la voce recitante in un'incisione di "Pierino e il lupo" di Prokoviev.
...per non parlare di quel famoso omaggio a Bertold Brecht (anche se a quello ci erano arrivati primi i Doors).
EliminaNon ne sapevo nulla nemmeno io, grazie per questo bellissimo e illuminante post!
RispondiEliminaIlluminante? Addirittura? Troppo buona!
EliminaIdem come molti altri. Una cosa totalmente nuova per me. Ti ho letto sempre con grande piacere però!
RispondiEliminaNon è un peccato ignorare questo particolare della vita di Bowie. Alla fine, per qualche strano motivo, non lo si è mai sottolineato troppo nelle sue biografie.
EliminaIn quest'ultimo mese ho scoperto sempre più cose di Bowie di cui ero totalmente all'oscuro.
RispondiEliminaAnch'io, non ti credere.
EliminaComunque di Elephant Man, prima del dramma teatrale, c'era il delicato racconto, che ho letto un po' di anni fa, scritto dal medico che per primo ha conosciuto Merrick. Il dramma e il film di Linch sono una versione romanzata di quel racconto.
RispondiEliminaAdesso che che me lo dici ricordo di averne sentito parlare...
EliminaNemmeno io sapevo di questa interpretazione! Comunque Bowie - attore (per i ruoli avuti, ovviamente) a me non dispiace, non essendo quello il suo campo in senso stretto. Un peccato non sia rimasto quasi nulla di quella performance...
RispondiEliminaBuon week end ^_^
Chissà che magari un giorno qualche cosa possa saltare fuori sepolto in una cantina. Altre volte in passato ciò che si riteneva perduto si è rivelato esistere....
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