sabato 26 marzo 2016

Un mondo di Yūrei

Come ho già scritto la volta scorsa, scrivere cento post su un unico argomento non è affatto facile. Occorre organizzare tutto con coerenza, evitando di cadere nella trappola dell’entusiasmo che, per quanto sia un ottimo lubrificante per questo mio motore, potrebbe essere alla lunga la causa di un fallimento (termine, quest’ultimo, che è presente nel mio vocabolario). Mentre scrivo mi rendo conto che servirebbero non uno, ma dieci o venti post di introduzione per poter gettare delle fondamenta stabili. Mettersi a raccontare storie di fantasmi, così come preannunciato all’inizio di questo speciale, è rischioso, e questo “edificio” avrebbe bisogno di basi solide su cui essere costruito e, sul versante tempo, di poter (r)esistere alla sua inevitabilmente mostruosa durata. Il calendario editoriale di questo blog (*), nonché la sua tradizione, prevede però che il mese di aprile sia interamente dedicato a uno speciale cinematografico e ciò complica un pelino le cose. Non resta quindi che approfittare delle circostanze e volgerle a nostro vantaggio, per cui quest’anno il tanto atteso evento primaverile si trasformerà in un acrobatico “speciale nello speciale”. Di cosa si tratta? Non posso ancora rivelarlo ma, sebbene vagamente, ne accennerò in fondo a questo post. Ricominciamo oggi il discorso dal punto in cui lo avevamo interrotto qualche settimana fa, vale a dire da un punto ancora molto lontano dalla nostra destinazione finale.
Oggigiorno noi tendiamo a semplificare e l’etichetta J-Horror, riferita a quel particolare cinema proveniente dal Sol Levante, è in realtà solo la facciata di qualcosa di profondamente radicato nella tradizione di un paese che noi occidentali fatichiamo, ma in realtà nemmeno ci sforziamo, a cogliere nei suoi aspetti più interessanti. Ci incolliamo di fronte a uno schermo, lasciamo crescere dentro di noi la tensione dell’attesa e rimaniamo inerti, consci che quest’ultima può scatenarsi all’improvviso nelle vesti di una malevola apparizione. Una semplificazione assurda, assurda tanto quanto è assurda la nostra presunzione di essere gli unici depositari di una tradizione che ha contribuito, nell’arco di oltre cinquecento anni, a diffondere storie di fantasmi in giro per il mondo. Spettri dal carattere furioso e vendicativo, come possono essere Sadako (Ring-u) e Kayako (Ju-on), non sono certo invenzioni dell’era moderna. Tutt’altro: esse sono l’evoluzione (o la trasposizione che dir si voglia) di creature delle cui vicende il folclore giapponese si occupa da centinaia di anni, addirittura da quel periodo Edo (1603-1868) che assistette a una produzione intensissima di creature fra le più grottesche e mostruose che il genere umano abbiamo mai concepito.
Furono quelli gli anni dai quali proviene la maggior parte delle testimonianze giunte sino a noi, affermazione che non esclude che vi siano stati momenti precedenti di altrettanto fulgore nell’attenzione per il sovrannaturale, come per esempio il ben più remoto periodo Heian (794-1185).
Come sostiene Terence Barrow nella prefazione al volume “Japanese Grotesqueries” di Nikolas Kiej’e (edizioni Charles and Tuttle), le creature sovrannaturali della tradizione giapponese, quelle che oggi ben conosciamo attraverso l’arte, il cinema e la letteratura sono una ben dosata miscela di culture provenienti da svariate aree del continente asiatico. Esse rappresentano la summa dell’idea cinese del mondo demoniaco, delle credenze indiane circa la trasmigrazione dell’anima e delle credenze Shintō riguardanti gli spiriti della natura e degli animali. 

Nulla di originale, quindi? In un certo senso è così, ma la questione-cultura in Giappone andrebbe valutata non tanto per le sue origini, quanto per il modo in cui già i primi abitanti della nazione Yamato siano stati in grado di “giapponesizzare” tutto ciò che attraversava i loro confini. Non dimentichiamo che, proprio a causa del suo isolamento geografico, il Giappone ha subito nei secoli pochissime invasioni straniere e di conseguenza ha potuto selezionare con cura e intelligenza ciò che la interessava delle culture degli altri paesi. Ma sto divagando…
La volta scorsa accennavamo alle differenze tra le due diverse culture, la nostra e quella giapponese, in relazione al mondo dei fantasmi. Una cosa ci eravamo forse dimenticati di sottolineare, vale a dire che se paragoniamo la nostra vita quotidiana con quella dei giapponesi ci accorgiamo che gli spiriti sono poco comuni nell'una quanto puntualmente presenti nell’altra. Esattamente come in Occidente, anche in Giappone si crede che gli spiriti dei defunti, al momento della morte del corpo, abbandonino quest’ultimo e raggiungano una nuova dimensione dell’esistenza in un indefinito mondo ultraterreno. Esiste però un luogo intermedio, una specie di limbo, nel quale le anime farebbero sosta prima del passaggio definitivo. Da questo luogo si dice sia ancora possibile tornare, e ciò sarebbe maggiormente vero per quelle anime le cui emozioni sono così forti da impedire loro di staccarsi del tutto da ciò che erano. Amore, gelosia, tristezza, odio e rancore sarebbero sentimenti talmente intensi da imprigionare le anime in quello stadio intermedio e, in casi estremi, da consentire loro di ritornare nel mondo dei vivi. E una volta che i “ritornati” avranno riattraversato la soglia in senso contrario, nulla potrà più placare le loro ossessioni se non una completa e definitiva redenzione da parte di colui o colei che, in vita, ha scatenato tali emozioni. Ma non sempre una redenzione può garantire i risultati sperati: amore, gelosia, tristezza, odio o rancore possono trasferirsi su chiunque abbia semplicemente la sventura di incontrare uno Yūrei.

È proprio il termine Yūrei (幽霊) che da questo momento in avanti utilizzeremo per riferirci ai fantasmi della tradizione giapponese, un termine composto dai kanji 幽 (yū), che significa "pallido", “tenue” o “leggero” e 霊 (rei), che significa "anima" o "spirito". È importante non confondere il termine Yūrei (幽霊) con il forse più famoso Yōkai (妖怪), al quale abbiamo accennato nel primo post: Yōkai, sebbene a volte il suo significato si accavalli a quello di Yūrei (alcuni Yūrei sono di fatto anche Yōkai), identifica generalmente un demone, un essere soprannaturale, una creatura mitologica come quelle che popolano fiabe e leggende.
C’è un modo molto semplice per distinguere i due concetti: uno Yūrei è “qualcuno”; uno Yōkai è “qualcosa”. Se riuscite a tenere a mente questa semplice regoletta non rischierete di sbagliare. Nel dubbio considerate anche che Yōkai è un termine generico, mentre Yūrei è più specifico: va da sé che scambiare uno Yūrei per uno Yōkai è meno grave del contrario. A loro volta gli Yūrei si distinguono in varie sottocategorie, una delle quali l'abbiamo già nominata, se ricordate, in chiusura del post precedente: gli Onryō (怨霊), termine composto dai kanji 怨 (on), che significa “risentimento”, “rancore”, ma anche “gelosia” e 霊 (ryo, rei), che significa, come abbiamo visto, "anima" o "spirito". Gli Onryō sono quindi spiriti che hanno trovato la strada per ritornare nel mondo terreno grazie a un’inestinguibile sete di vendetta. Come accennato la volta scorsa, gli Yūrei, in generale, e gli Onryō, in particolare, sono quasi esclusivamente di sesso femminile: donne che furono impotenti nel mondo fisico, spesso soggette ai capricci e alla ferocia dei loro compagni, ma in grado di diventare potentissime dopo il trapasso. Il più celebre tra gli Onryō è senza dubbio Oiwa Inari (お岩稲荷), lo spettro di una donna che, avvelenata dal marito infedele, ritorna dalla morte con il volto sfigurato per esigere vendetta. Avremo comunque modo di parlare della storia di Oiwa, nota anche come Yotsuya Kaidan (四谷怪談), piuttosto a lungo nei prossimi mesi. Oggi ci fermiamo qui perché dobbiamo lasciare spazio al già citato speciale di aprile che, guarda un po’ il caso, quest’anno si occuperà di Kiku (菊), un altro importantissimo Onryō, sorto dalla rabbia di una donna uccisa dal samurai presso cui era a servizio, il quale non aveva potuto accettare che le sue “attenzioni” venissero respinte. Una storia che ha dato vita ad una serie incredibile di trasposizioni cinematografiche, tra in cui in particolare una saga che… beh... lo vedrete tra qualche giorno sul blog.

Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di tale progetto,  esso rappresenta la parte 3 in un totale di 100.
Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. Buona lettura! 
P.S.: Possiamo spegnere la 3° candela...

23 commenti:

  1. "Se paragoniamo la nostra vita quotidiana con quella dei giapponesi ci accorgiamo che gli spiriti sono poco comuni nell'una quanto puntualmente presenti nell’altra": è proprio vero, nella nostra cultura gli spiriti non sono così presenti, se non come controparte dei protagonisti di grandi opere letterarie (penso a Dante, ma anche al Canto di Natale di Dickens). Non se ne avverte, per così dire, né la presenza né l'importanza, sebbene, stando alla morale occidentale, abbiamo molti concetti astratti che altre culture personificano con gli spiriti stessi (il senso di colpa, la vendetta...). Forse anche questo è un segno della sarsa spiritualità della nostra cultura, mentre quella giapponese ha conservato una sorta di rispetto laico verso queste credenze.

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    1. La nostra stessa Festa dei Morti (ovvero la Commemorazione dei Defunti) ha ormai perso di significato: non è rimasto altro che un giorno di ferie da aggiungere al ponte di Ognissanti. In Giappone invece la festa dell’Obon, oltre che durare più giorni, ha davvero un sapore molto particolare e suggestivo: una delle usanze è quella di scrivere preghiere su lanterne di carta e lasciarle poi scivolare sulle acque di un fiume affinché conducano placidamente i defunti nella terra dei morti.

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  2. Il tema del fantasma trasfigurato dalla rabbia è presente anche in alcune rappresentazioni del teatro kabuki, dove con l'ausilio di trucchi scenici simili a quelli del nostro teatro barocco questi spiriti entrano in scena volando (in realtà sospesi a un filo) o assumono forme mostruose grazie a un massiccio make up.

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    1. Gli spiriti così rappresentati derivano dalla credenza che essi, non essendo reali, non abbiano necessità di camminare e si possano quindi muovere nello spazio volando, talvolta su una nuvola o sull’acqua. L’iconografia classica, specialmente quelle del pittore Maruyama Ōkyo, avrebbe contribuito a diffondere le tendenza a descrivere i fantasmi come esseri privi di piedi.

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  3. Mi abbevero con gran gusto alla tua sorgente di terminologie ed atmosfere nipponiche, oltre che di filoni narrativi e personaggi: siamo appena all'inizio ma già sono fomentatissimo ^_^

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    1. ...e a proposito di personaggi fantasmatici, il mese di aprile sarà tutto dedicato alla vicenda di Kiku, un fantasma che dalle nostre parti è però famoso con tutt'altro nome. Sicuramente ne avrai già sentito parlare... Stay tuned!

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    2. Ora che mi hai stuzzicato... mi fai aspettare fino ad aprile??? Questa è tortura giapponese :-P

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    3. Oggi è già il 29 marzo... mica ti sto facendo aspettare un secolo.

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    4. Sei ugualmente crudele! :-D :-D :-D
      Tra parentesi ricordo vagamente un episodio di "Lamù" in cui Ataru raccontava che se a mezzanotte del 31 marzo si guarda in uno specchio riflesso in uno specchio e si dice qualcosa (che non ricordo) si evoca un demonio! Chissà se è una credenza giapponese "pura" o già contaminata dall'Occidente...

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    5. Si direbbe quasi una derivazione della leggenda di Bloody Mary... sicuro che fosse il 31 marzo?

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  4. Grazie per averci spiegato la distinzione tra yurei e yokai, molto utile per chi come me ne conosce così poco del folklore orientale. :)

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  5. Finalmente ho compreso la distinzione tra yurei e yokai, qualcuno il primo, qualcosa il secondo. E già questo aiuta molto a comprendere l'affollata Teratogonia nipponica!

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  6. Secondo me ti diverti un mondo a riempire i post di Kanji... ^^

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  7. Mi rifaccio alle osservazioni di Cristina su quanto il mondo dei morti sia parte della nostra tradizione. Apparentemente non lo è che in modo marginale, in realtà, se andiamo a studiare le tradizioni popolari, scopriamo che è prepotentemente presente. Ci scriverò qualcosa su in futuro.

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  8. Passo in grande ritardo, ma in tempo preciso per lo speciale *__*
    Mi piace questo procedere puntuale del ciclo! Nella nostra cultura probabilmente tanta parte l'ha avuta (e ha ancora) la religione dominante a proposito del mondo degli spiriti, per cui quello che non vi rientra è considerato "superstizione".

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    1. Sei stata però la prima a commentare lo Speciale "Ghost in the Well"... con quello diciamo che vai a pari. ^_^

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  9. Grazie per questo articolo interessantissimo con cui spengo anch'io la terza candelina. Sbaglio o, a confronto della tradizione occidentale, i cosiddetti fantasmi giapponesi sono estremamente variegati? Sembra quasi che esista una sorta di geografia...

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    1. Non proprio: sono gli Yōkai ad essere estremamente variegati. Gli Yūrei, al di là delle loro caratteristiche esteriori, trovano bene o male un equivalente anche in altre culture. La differenza, se vuoi, è che nella vita di tutti i giorni i fantasmi giapponesi sono molto più presenti.

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  10. Ho trovato interessante sia l'articolo che i commenti. Le storie legate a Yokai e Yurei sono sempre molto affascinanti, io cerco sempre blog a tema per approfondire questo argomento. Però è vero anche, come ha detto qualcuno nei commenti, che le nostre tradizioni più antiche non sono da meno, e spesso propongono elementi che possono avvicinarsi a quelli della mitologia giapponese. Io, per esempio, ho radici del sud Italia e le storie di famiglia sugli spiriti e sulle loro interazioni con i vivi si sprecano!

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