Sebastião Salgado - The Brooks Range, 2009 from the series Genesis - Gelatin silver print |
Ogni personaggio che si rispetti vive in un mondo creato dal suo autore, che naturalmente prende spunto dalla realtà.
Con queste parole esordiva circa un mese fa la collega blogger Cristina Rossi de "Il manoscritto del cavaliere" nel suo articolo "I quadri, i romanzi e... i paesaggi naturali".
Si tratta, il suo, di un progetto molto più vasto che ha la sua ragione di esistere nell'immortale concetto dei "vasi comunicanti", ovvero quei luoghi (o non-luoghi) dove un unico elemento fa da filo conduttore fra altri completamente diversi.
Nell'ultimo esperimento, ultimo in ordine di tempo, si tratta di individuare prima di tutto un paesaggio naturale (reale o immaginario che sia, purché non artificiale) e quindi associare ad esso un libro, (romanzo, racconto, prosa, poesia) nel quale l'autore abbia saputo al meglio sfruttare le caratteristiche di tale paesaggio, vuoi per averne esaltato l''atmosfera, vuoi per averci costretto indissolubilmente i suoi personaggi. Ma non è finita qui: il secondo passo è quello di identificare un'opera d'arte (un dipinto, ma non necessariamente) che, sulla base del gusto di chi scrive, possa virtualmente unire i due concetti sopra esposti. Il gioco ha intrigato altre persone e, come spesso accade con le iniziative di Cristina, è diventato una sorta di meme. Dopo una piccola esitazione e con i miei tempi, ho deciso di provare a cimentarmici anch'io. Ho quindi scelto di prendere in esame, in rigoroso ordine di apparizione, i seguenti paesaggi naturali: il deserto, la montagna, il ghiacciaio, il fiume e la collina.
E la foto di Salgado che ho inserito qui sopra? Tecnicamente non c'entra nulla: mi piaceva solo l'idea di un singolo scatto che potesse contenere tutti e cinque i paesaggi (uno più o uno meno).
1. Il deserto
Uno dei luoghi-simbolo della letteratura, specie quella americana, è indubbiamente il deserto. Avrei potuto andare sul sicuro e proporvi per esempio un romanzo di Joe R. Lansdale, le cui migliori storie sono cadenzate dal ritmo caldo e ossessivo del vento desertico, ma ho deciso di rendermi le cose un po’ più difficili. Vi propongo quindi “Vacanze nel deserto” di Robert Silverberg (1972), un libro che i più forse conoscono come “Il libro dei Teschi”, dal momento che Fazi lo ha ristampato una decina di anni fa proprio con questo titolo (che, poi, è la traduzione letterale del titolo originale).
Anche se Silverberg non si dilunga troppo in descrizioni particolareggiate del paesaggio, il libro è in gran parte dedicato dell’avventura on the road di quattro ventenni che si ritrovano, appunto, ad attraversare il deserto dell’Arizona fin quasi al confine con il Messico. Questo perché quell’angolo di deserto occulta la dimora di una setta di monaci che secondo il Libro dei Teschi, riemerso per caso dagli scaffali polverosi della biblioteca universitaria che i quattro frequentano, custodisce da millenni il segreto dell’immortalità. Un segreto di cui tutti loro, per motivi diversi, sono decisi a impadronirsi.
Il deserto è quindi inestricabilmente legato all’esistenza della setta stessa e del suo segreto, come esplica Eli, uno dei protagonisti:
Hanno fatto bene, a scegliere come ubicazione della Casa dei Teschi questa regione crudele e inaridita. I culti di antica origine devono circondarsi di mistero e di romantica inaccessibilità, se vogliono conservarsi a dispetto della cacofonica babele del ventesimo secolo scettico e materialista. Un deserto è l’ideale. Qui il cielo è talmente azzurro da far dolere gli occhi, il suolo è una sottile crosta bruciata che ricopre uno zoccolo di roccia, i cespugli e gli alberi sono contorti, spinosi, stranissimi. In un posto come questo, il tempo non scorre. Il mondo moderno non può né intrufolarsi né gettare la propria corruzione. Le antiche divinità possono prosperare in pace. Le antiche salmodie si elevano al cielo, non contaminate da rumore di traffico o rimbombo di macchinari.
Il deserto si respira nelle atmosfere, nei dialoghi, nella lenta e inesorabile discesa dei giovani nei più profondi recessi dell’Es che, lungi dal cementare la loro amicizia, sembra sprofondarli ancora di più nella solitudine. Neanche l’atmosfera ovattata del monastero cambia le cose, perché il raggiungimento dell’immortalità richiede un sacrificio e sembra quindi foriero di eterna desolazione.
Ho sentito che fra Ned e me s’innalzava un muro a causa del quale non potevo confidargli le mie paure o domandargli perché fosse apparso così sconvolto. L’ho lasciato e sono andato in camera mia a fare il bagno. Ci siamo rivisti subito dopo, a colazione, ma abbiamo scambiato solo poche parole. […] Mi alzo, lascio la mia camera e percorro rapidamente il corridoio, giungendo a quella parte dell’edificio in cui i soffitti sono costituiti soltanto da nude travi. Alzo lo sguardo e vedo un gloriosissimo falco che vola in cerchio a grande altezza, nero contro la limpida e accecante azzurrità del cielo. Falco, tu morirai e io vivrò.
Cercare un quadro che rappresentasse questo libro non è stato facile, ma infine credo di averlo trovato nell'opera di una pittrice californiana, Cecelia Catherine Rappapor. Ci sono decine di quadri più belli di questo (almeno per quello che è il mio senso estetico) che rappresentano il deserto, ma questo mi sembra esprimere molto bene quella solitudine esistenziale che è il vero cuore del romanzo di Silverberg.
Cecelia C. Rappaport, "Desert Sunrise", Mixed Media on Canvas |
Il deserto si respira nelle atmosfere, nei dialoghi, nella lenta e inesorabile discesa dei giovani nei più profondi recessi dell’Es che, lungi dal cementare la loro amicizia, sembra sprofondarli ancora di più nella solitudine. Neanche l’atmosfera ovattata del monastero cambia le cose, perché il raggiungimento dell’immortalità richiede un sacrificio e sembra quindi foriero di eterna desolazione.
Ho sentito che fra Ned e me s’innalzava un muro a causa del quale non potevo confidargli le mie paure o domandargli perché fosse apparso così sconvolto. L’ho lasciato e sono andato in camera mia a fare il bagno. Ci siamo rivisti subito dopo, a colazione, ma abbiamo scambiato solo poche parole. […] Mi alzo, lascio la mia camera e percorro rapidamente il corridoio, giungendo a quella parte dell’edificio in cui i soffitti sono costituiti soltanto da nude travi. Alzo lo sguardo e vedo un gloriosissimo falco che vola in cerchio a grande altezza, nero contro la limpida e accecante azzurrità del cielo. Falco, tu morirai e io vivrò.
Cercare un quadro che rappresentasse questo libro non è stato facile, ma infine credo di averlo trovato nell'opera di una pittrice californiana, Cecelia Catherine Rappapor. Ci sono decine di quadri più belli di questo (almeno per quello che è il mio senso estetico) che rappresentano il deserto, ma questo mi sembra esprimere molto bene quella solitudine esistenziale che è il vero cuore del romanzo di Silverberg.
2. La montagna
Pensando alla montagna mi è venuto subito alla mente “La pietra lunare”, il romanzo con il quale Tommaso Landolfi inaugurò la sua produzione letteraria nel 1939. Protagonisti della storia sono la ragazza-capra Gurù e il suo innamorato Giovancarlo, che verrà da lei iniziato ai misteri della montagna. Montagna che qui è non un rassicurante baluardo della natura, ma lo scrigno di insoliti e arcani segreti.
All’inizio il paesaggio viene descritto in maniera piuttosto rassicurante, come in questo passaggio tratto dal primo capitolo:
L’argento diffuso della luna non voleva cedere alla giada dell’alba, che pareva un più pallido e diafano plenilunio, a oriente; ma né il volto gelido e ingenuo né le stelle quasi dissolte nella chiaria, improntate a casta serenità, tradivano nulla della mutua lotta. Il tì tì insistente di una pernice si faceva udire a dritta molto in alto; anche a tratti, chissà d’onde, l’ultimo assiuolo inviava un esausto messaggio. Gurù s’allontanava agilmente fra le rocce; i suoi piedi di capra trovavano con sicurezza la lor strada per quel malagevole cammino; scomparve un istante allo sguardo, ricomparve più lontana, scomparve ancora definitivamente. L’assiuolo e la pernice tacquero. Una piccola capra sperduta, tutta bianca, come spaventata dal passaggio della fanciulla, prese a inerpicarsi in fretta su per la pendice, belando lamentosamente nella gran calma sospesa.
Man mano però che Giovancarlo si addentra nel mondo crepuscolare di Gurù, le atmosfere si fanno sempre più favolose e inesplicabili. Mentre gli umani dormono, creature “lunari” si affollano nel regno delle Madri come in risposta a una chiamata o a un innato bisogno. Di notte, la montagna e le sue valli si popolano di creature che spesso di umano conservano solo piccoli dettagli anatomici (un arto, il petto, il sesso che spunta dalla carne villosa). La carezza di Eros e Thanatos regala brividi di calore e terrore a chi assiste agli antichi riti. È qui che la cupezza fa davvero capolino nella narrazione, prima di svanire di nuovo coi primi raggi del sole:
Non c’era ormai più che “un uomo di luna”; e la luce dell’astro quasi aveva abbandonato la terra illuminando, solo, di raggi obliqui l’estremo orizzonte come un reame siderale, suscitandovi, in gelido miraggio, barbagli immobili. Del vasto Fosso la Neve, dunque, un lato appena e poco del fondo erano battuti dal chiaro, che acquistava violenza e stacco dall’oscurità circostante, serratagli attorno in rigido cerchio, e così questa da lui; in un tale cupo si stava come in un pozzo largo e profondo, con, sulla bocca, la lacca opaca e compatta del cielo: un grigiazzurro pastoso. […] Sulla riva del piccolo stagno, prese di fronte dal raggio di luna, Giovancarlo, condotto per mano da Gurù senza rumore, scorse subito, anche prima d’accostarsi, tre forme severe; e fu preso da uno spavento vertiginoso; la severità stessa delle forme, e null’altro che quella, era terribile. Erano tre donne in vario atteggiamento, due di fianco una di fronte, immobili d’orrida immobilità; l’orrore era forse, appunto, solo nella loro immobilità. Le loro vesti, le loro tuniche grigie, opache, ricadevano in larghi panneggiamenti d’una intollerabile serenità, più fermi più sereni, più chiusi nel soffio rappreso d’un gelido mondo, di quelli delle donne che custodiscono i sepolcri. Grigi i capelli e senza riflessi piovevano lisci attorno ai volti e, in fondo, non s’arricciavano neppure un poco, esigui stili volti contro il suolo; e anche le fronti erano serene così, battute dal raggio. Di tutte e tre gli occhi assorti, argentati come canapa, guardavano alla luna. Non c’era altro, e questo bastava, insieme alle labbra serrate. Guardandole, subito si capiva che erano le Madri.
Questo libro è la prova (se mai ce ne fosse bisogno) che in Italia esiste una tradizione fantastica longeva strettamente legata al folclore del nostro territorio. Difatti, la fanciulla-capra di Landolfi sembra ispirarsi a figure come la salvaria e ancor di più l’anguana, la protagonista di tante fiabe e leggende montane che in alcune storie delle Alpi centro-orientali ha il piede caprino; creature che possono essere pacifiche e amiche degli umani se vengono rispettate, ma abbandonarli o addirittura rivoltarsi contro di loro se vengono offese, oppure se viene infranto un tabù da loro imposto – per esempio, non pronunciarne mai il nome.
So che il quadro prescelto dovrebbe rappresentare il paesaggio montano, ma non volevo né potevo trascurare l'atmosfera fiabesca del romanzo di Landolfi. Credo quindi di aver trovato un buon compromesso recuperando una delle opere di un personaggio che già tre anni fa era apparso, per ben altri motivi, su questo blog: sto parlando di Alfred Kubin, l'ideatore del "Regno del Sogno" che tanto mi aveva catturato per via dei suoi contesti al tempo stesso inquietanti e meravigliosi.
3. Il ghiacciaio
L’argento diffuso della luna non voleva cedere alla giada dell’alba, che pareva un più pallido e diafano plenilunio, a oriente; ma né il volto gelido e ingenuo né le stelle quasi dissolte nella chiaria, improntate a casta serenità, tradivano nulla della mutua lotta. Il tì tì insistente di una pernice si faceva udire a dritta molto in alto; anche a tratti, chissà d’onde, l’ultimo assiuolo inviava un esausto messaggio. Gurù s’allontanava agilmente fra le rocce; i suoi piedi di capra trovavano con sicurezza la lor strada per quel malagevole cammino; scomparve un istante allo sguardo, ricomparve più lontana, scomparve ancora definitivamente. L’assiuolo e la pernice tacquero. Una piccola capra sperduta, tutta bianca, come spaventata dal passaggio della fanciulla, prese a inerpicarsi in fretta su per la pendice, belando lamentosamente nella gran calma sospesa.
Man mano però che Giovancarlo si addentra nel mondo crepuscolare di Gurù, le atmosfere si fanno sempre più favolose e inesplicabili. Mentre gli umani dormono, creature “lunari” si affollano nel regno delle Madri come in risposta a una chiamata o a un innato bisogno. Di notte, la montagna e le sue valli si popolano di creature che spesso di umano conservano solo piccoli dettagli anatomici (un arto, il petto, il sesso che spunta dalla carne villosa). La carezza di Eros e Thanatos regala brividi di calore e terrore a chi assiste agli antichi riti. È qui che la cupezza fa davvero capolino nella narrazione, prima di svanire di nuovo coi primi raggi del sole:
Alfred Kubin, "Der Wassermann", 1935, China Ink |
Questo libro è la prova (se mai ce ne fosse bisogno) che in Italia esiste una tradizione fantastica longeva strettamente legata al folclore del nostro territorio. Difatti, la fanciulla-capra di Landolfi sembra ispirarsi a figure come la salvaria e ancor di più l’anguana, la protagonista di tante fiabe e leggende montane che in alcune storie delle Alpi centro-orientali ha il piede caprino; creature che possono essere pacifiche e amiche degli umani se vengono rispettate, ma abbandonarli o addirittura rivoltarsi contro di loro se vengono offese, oppure se viene infranto un tabù da loro imposto – per esempio, non pronunciarne mai il nome.
So che il quadro prescelto dovrebbe rappresentare il paesaggio montano, ma non volevo né potevo trascurare l'atmosfera fiabesca del romanzo di Landolfi. Credo quindi di aver trovato un buon compromesso recuperando una delle opere di un personaggio che già tre anni fa era apparso, per ben altri motivi, su questo blog: sto parlando di Alfred Kubin, l'ideatore del "Regno del Sogno" che tanto mi aveva catturato per via dei suoi contesti al tempo stesso inquietanti e meravigliosi.
3. Il ghiacciaio
Tecnicamente il ghiacciaio fa parte dell’ambiente montano, ma è anche un luogo in qualche modo molto più alieno, nemico della vita, specialmente dove i ghiacci sono perenni come là dove i meridiani terrestri convergono. Il ghiacciaio per antonomasia è per me quello che avvolge costantemente i protagonisti del meraviglioso “Le Montagne della follia” (At The Mountain of Madness) di Howard Phillips Lovecraft.
Il romanzo del solitario di Providence, che è in realtà un racconto lungo abbastanza da non essere considerato tale, rappresenta a mio parere l’assoluto vertice della sua opera, la massima espressione del suo talento, il punto in cui convergono (esattamente come i già citati meridiani) tutte le creature della sua mitologia immaginaria.
È la storia di un gruppo di esploratori che decidono di avventurarsi in una folle spedizione attraverso i ghiacci antartici sulle tracce di un’antica civiltà perduta, la cui esistenza addirittura risalirebbe, secondo alcuni frammenti recuperati da una precedente spedizione, al periodo Cambriano (oltre cinquecento milioni di anni prima dell’avvento dell’essere umano sul nostro pianeta). Una civiltà composta da “esseri del tutto inclassificabili ma piuttosto avanzati nell'evoluzione”, come li descrive lo stesso autore. Senza entrare troppo nel dettaglio, “Le Montagne della follia” è un autentico trattato di geologia che offre al lettore una descrizione talmente accurata del paesaggio dal permettergli di sentirsene totalmente immerso. E tutto questo già dalle prime righe:
Spingendoci attraverso il ghiaccio […] provammo tutti un brivido di eccitazione alla vista di un'immensa, torreggiante catena di montagne incappucciate di neve che dominavano il panorama e impedivano di vedere oltre. Avevamo finalmente incontrato un avamposto del grande continente sconosciuto e del suo ambiente misterioso, serrato nel gelo della morte. […] L'ultimo tratto del viaggio fu impressionante ed eccitò la nostra fantasia: grandi vette nude e misteriose torreggiavano a ovest, mentre il basso sole di mezzogiorno e quello che splendeva a mezzanotte, ancor più a filo dell'orizzonte, riversava i suoi raggi velati e rossastri sulla neve bianca, sul ghiaccio azzurro, nei canali d'acqua libera e sui frammenti di granito nero e nudo. Fra le vette desolate soffiava a folate intermittenti il terribile vento antartico, e a volte le sue cadenze ricordavano una selvaggia musica per flauti con una traccia di quasi-coscienza; le note avevano una gamma piuttosto ampia, e per qualche ragione che solo il mio inconscio conosce mi parvero inquietanti, addirittura tremende.
Nicholas Roerich - "Treasure of the world", 1924, Tempera on canvas |
La spedizione continuerà il suo viaggio fino a raggiungere un’enorme quanto inaspettata catena montuosa, molto più alta dell’Himalaya, i cui confini “si estendevano a perdita d’occhio a sinistra e a destra”. Come è stato qualche decina di righe fa per il deserto, anche nel ghiacciaio polare l’uomo soccombe dinanzi all’orrore della solitudine. Impossibile non sentirsi persi al cospetto di una natura talmente vasta e irrimediabilmente potente. Una natura tanto più inavvicinabile tanto più ci si addentra nelle pagine del racconto, finché la mente del lettore si non si trova a vacillare di fronte alla verità su coloro che vengono definiti “Antichi”.
Le montagne si stendono a perdita d'occhio, e al disopra degli ottomila metri non sono più coperte di neve. Sulle più alte osserviamo strane formazioni: grandi blocchi squadrati e bassi, con i lati perfettamente verticali e file rettangolari di modesti bastioni, come gli antichi castelli asiatici arroccati sulle montagne nei quadri di Roerich.
Per quanto riguarda un dipinto da associare a “Le montagne della follia”, mi viene in aiuto lo stesso Lovecraft che, in diversi passaggi, lascia dire ai suoi protagonisti che i paesaggi circostanti ricordano gli “inquietanti dipinti asiatici” di Nicholas Roerich. Sono andato quindi a cercare le opere di questo artista russo (che conoscevo molto poco) il quale, con mio sommo stupore, si è rivelato essere molto più di un semplice pittore. Archeologo, diplomatico, poeta, Nikolaj Konstantinovič Roerich fu anche breve tempo membro della Società Teosofica e tradusse in lingua russa La dottrina segreta di Madame Blavatsky. Tra le tante opere, tutte dedicate agli ambienti più ostili delle montagne himalayane, ne ho scelta una in cui il ghiacciaio è solo un particolare sullo sfondo, un ghiacciaio che cede la scena a delle figure, quelle che paiono scolpite nella roccia, che sembrano davvero ispirarsi agli "Antichi" narrati da Lovecraft.
4. Il fiume
Pure ne “L’allegra compagnia del sogno” il paesaggio fa la parte del leone, anche perché la narrazione si svolge perlopiù all’aperto.
Questo libro, scritto da James G. Ballard nel 1979, è la descrizione del vero, profondo sogno dell’umanità: un volo, o moto, perpetuo che (ri)unisce i vivi ai morti e - cosa non molto sorprendente - il protagonista e deus ex machina della storia viene descritto all’inizio come un mezzo balordo.
Blake lavora presso l’aeroporto di Londra ed è ossessionato dall’idea di volare. Un giorno ruba un aereo leggero, con il quale sorvola il Tamigi prima di precipitarvi rovinosamente dentro. Quando riesce a uscire dall’acqua, miracolosamente illeso, scopre di trovarsi nella cittadina di Shepperton, i cui abitanti sembravano attendere la sua venuta come quella di un messia.
Era ormai evidente che essere precipitato con il mio aereo in fiamme su questa città in riva al fiume non era stato casuale. Shepperton era letteralmente circondata dall’acqua – laghetti morenici e artificiali, pozzi di decantazione, i canali e le condotte dell’autorità idrica locale, i bracci divisi del fiume alimentati da un intrico di torrenti e ruscelli. Gli alti argini dei laghi artificiali formavano una serie di orizzonti sopraelevati, e mi resi conto che stavo vagando in un mondo marino. La luce screziata sotto gli alberi si posava su un fondale oceanico. Senza esserne minimamente consapevoli, quei modesti abitanti di sobborgo erano esotiche creature marine, con le menti infestate dagli stessi sogni dei mammiferi acquatici.
Ma il fiume ritorna anche in seguito e per suo tramite Blake comincia la sua sorprendente opera di trasformazione della realtà. Man mano i confini tra sogno e realtà si fanno più labili, la realtà si piega al desiderio. Come nel capitolo 15:
Ero disteso in una casa di vetro, e affondavo lungo piani infiniti d’acqua. Sopra di me c’era una volta illuminata, una galleria invertita dalle pareti trasparenti sospesa a testa in giù sulla superficie del fiume. Trasportate dall’acqua benevola, le diatomeee impreziosivano i banchi di pesci che erano venuti a darmi il benvenuto. Cercai le mie gambe e le mie braccia, ma erano sparite, trasformate in una potente coda e in pinne. […]
Mentre mi esibivo per loro, tutti gli abitanti di Shepperton erano venuti a vedermi. […]
Incoraggiandoli a unirsi a me, descrissi rapidi cerchi nell’acqua agitata, cercando di afferrarmi la coda a beneficio dei bambini. […]
Un giovane gettò via la camicia e i calzoni e si tuffò di testa nell’acqua turbolenta. Trapassato da una dozzina di barre luminose, riemerse in superficie, trasformato in uno snello ed elegante pesce spada. Subito dopo, una donna in tenuta da tennis scivolò sull’erba umida e cadde in acqua, per passarmi accanto in un profluvio di bollicine nelle vesti di un aggraziato storione.
Il lettore più scettico farà fatica ad accettare quello che sta accadendo, e forse preferirà credere che sia tutto un sogno o un'allucinazione collettiva. La risposta a questi dubbi arriverà più avanti, quando questi episodi si moltiplicheranno e vedremo l'esperienza cristologica di Blake divenire un vero e proprio calvario, mentre un corpo morto dal fondo del fiume, fra i rottami dell’aereo, lo sfida a riconoscerlo. In quest’opera psichedelica come poche, la presenza dell’acqua, elemento di nascita, morte e rinascita per eccellenza, domina tutta la narrazione, fino allo svelamento del mistero di un uomo morto ma destinato a vivere per sempre.
Per illustrare al meglio questo romanzo volevo un'opera dalle forti tinte pop, qualcosa che trasmettesse entusiasmo ma allo stesso tempo fosse avvolto da un'intensa atmosfera onirica. Non ho trovato quello che cercavo, tuttavia sono incappato in un'artista irachena, Widad Al Orfali, che ha prodotto una serie di opere piuttosto interessanti e, tra queste, una bellissima collezione dedicata alla sua città di origine, Baghdad. Il dipinto scelto appartiene appunto a questa collezione: una incredibile veduta della capitale irachena accarezzata dalle acque del fiume Tigri. Anche se la geografia di Al Orfali è quanto di più lontano si possa immaginare dal contesto british di Ballard, credo che la trasformazione del paesaggio del romanzo in un luogo decisamente molto più esotico nel corso della narrazione giustifichi la mia scelta.
5. Le colline
Era ormai evidente che essere precipitato con il mio aereo in fiamme su questa città in riva al fiume non era stato casuale. Shepperton era letteralmente circondata dall’acqua – laghetti morenici e artificiali, pozzi di decantazione, i canali e le condotte dell’autorità idrica locale, i bracci divisi del fiume alimentati da un intrico di torrenti e ruscelli. Gli alti argini dei laghi artificiali formavano una serie di orizzonti sopraelevati, e mi resi conto che stavo vagando in un mondo marino. La luce screziata sotto gli alberi si posava su un fondale oceanico. Senza esserne minimamente consapevoli, quei modesti abitanti di sobborgo erano esotiche creature marine, con le menti infestate dagli stessi sogni dei mammiferi acquatici.
Ma il fiume ritorna anche in seguito e per suo tramite Blake comincia la sua sorprendente opera di trasformazione della realtà. Man mano i confini tra sogno e realtà si fanno più labili, la realtà si piega al desiderio. Come nel capitolo 15:
Widad Al Orfali, "City Scape", 2002, Acrylic on canvas |
Il lettore più scettico farà fatica ad accettare quello che sta accadendo, e forse preferirà credere che sia tutto un sogno o un'allucinazione collettiva. La risposta a questi dubbi arriverà più avanti, quando questi episodi si moltiplicheranno e vedremo l'esperienza cristologica di Blake divenire un vero e proprio calvario, mentre un corpo morto dal fondo del fiume, fra i rottami dell’aereo, lo sfida a riconoscerlo. In quest’opera psichedelica come poche, la presenza dell’acqua, elemento di nascita, morte e rinascita per eccellenza, domina tutta la narrazione, fino allo svelamento del mistero di un uomo morto ma destinato a vivere per sempre.
Per illustrare al meglio questo romanzo volevo un'opera dalle forti tinte pop, qualcosa che trasmettesse entusiasmo ma allo stesso tempo fosse avvolto da un'intensa atmosfera onirica. Non ho trovato quello che cercavo, tuttavia sono incappato in un'artista irachena, Widad Al Orfali, che ha prodotto una serie di opere piuttosto interessanti e, tra queste, una bellissima collezione dedicata alla sua città di origine, Baghdad. Il dipinto scelto appartiene appunto a questa collezione: una incredibile veduta della capitale irachena accarezzata dalle acque del fiume Tigri. Anche se la geografia di Al Orfali è quanto di più lontano si possa immaginare dal contesto british di Ballard, credo che la trasformazione del paesaggio del romanzo in un luogo decisamente molto più esotico nel corso della narrazione giustifichi la mia scelta.
5. Le colline
Concludo questa piccola serie di presentazioni con un necessario omaggio alla festa di Halloween, visto che quest'anno questo blog non ha dedicato nulla alla ricorrenza. Quale miglior modo se non quello di andare a ripescare uno dei romanzi che forse più di ogni altro rappresenta l’orrore a trecentosessanta gradi? Non credo ci sia molto che io possa dire che già non si sappia sul “Dracula” di Bram Stoker, l’eterna vicenda della lotta fra il bene e il male descritta secondo i canoni del romanzo gotico ottocentesco inglese.
Oggi alcuni passaggi del romanzo possono sembrare un po’ ingenui al lettore più smaliziato, ma è indubbio che Dracula è forte di un tal potere evocativo che ben pochi altri romanzi, a oltre un secolo di distanza, sono stati in grado di eguagliare. Tra questi c'è un’accurata descrizione del paesaggio dei Carpazi, paesaggio che Jonathan Harker osserva attraverso la piccola finestra della carrozza che lo sta conducendo, attraverso le colline, al castello del conte.
Davanti a noi, una terra verde e ondulata, coperta di foreste e boschi, e di quando in quando erti colli coronati da folteti o da fattorie con il nudo retro aguzzo prospiciente la strada. Ovunque, una rigogliosissima fioritura di alberi da frutto - meli, pruni, peri, ciliegi; e, passando, vedevo l'erba fresca ai loro piedi cosparsa di petali. Addentrandosi tra quei verdi colli, e sbucandone, la strada serpeggiava per questa che chiamano "Mittel Land" ora sparendo alla vista dietro una svolta erbosa ora nascosta dalle cime irregolari delle pinete che svettavano sui pendii come lingue di fiamma. La strada era irregolare, pure sembravamo volarvi sopra con fretta febbrile. Non mi rendevo conto, allora, del perché di tanta furia, ma era evidente che il cocchiere voleva giungere a Borgo Prund, cioè a Passo Borgo, senza por tempo in mezzo. […] Oltre le verdi colline ondulate della "Mittel Land" si levavano imponenti pendici boscose fino ai maestosi dirupi dei Carpazi veri e propri. Torreggiavano a destra e a sinistra, e la luce del sole pomeridiano, investendole in pieno, faceva risaltare tutti gli splendidi colori di codesta bella catena, l'azzurro cupo e il viola all'ombra dei picchi, il verde e il bruno là dove rocce ed erba si confondevano, e una prospettiva illimitata di rocce frastagliate e creste aguzze, che si perdeva in lontananza, dove picchi innevati si drizzavano maestosi. Qua e là, imponenti crepacci spaccavano i monti, e in essi il sole ormai declinante di tanto in tanto rivelava il bianco schiumare di una cascata.
Uno dei miei compagni di viaggio mi ha toccato il braccio mentre, aggirata la base di una collina, compariva l'alta cima incappucciata di neve d'un monte che, per via delle tortuosità del cammino, sembrava starci proprio di faccia. "Guardate! "Isten szek"" - il trono di Dio -, e si è segnato con reverenza. E via e via s'andava per la nostra lunghissima strada tutta curve, e il sole sempre più scendeva alle nostre spalle, mentre le ombre della sera cominciavano ad addensarsi all'intorno, rese tanto più cupe dal fatto che la cima innevata, ancora colpita dall'astro al tramonto pareva ardere d'un rosa delicato.
Col calare dell'oscurità ha cominciato a fare un gran freddo, e il buio avanzante sembrava sommergere in una sola fosca caligine le macchie cupe degli alberi, querce, faggi e pini, sebbene nelle vallate che si insinuavano profondamente tra i contrafforti delle colline, nel mentre che si saliva verso il passo singoli, neri abeti si stagliassero su residue chiazze di neve. Talvolta, là dove la strada tagliava per pinete che nell'oscurità sembravano sul punto di piombarci addosso, i grandi banchi di foschia, qua e là insinuantisi fra i tronchi, producevano un effetto singolare, lugubre e solenne, risuscitatore di pensieri e sinistre fantasie già evocati dalla sera incipiente, allorché il sole al tramonto aveva conferito strano spicco alle nuvole che nei Carpazi sembrano incessantemente sfilare per le valli.
Non mi restava a questo punto che trovare un dipinto che potesse essere associato al paesaggio collinare descritto, ma che trasmettesse allo stesso tempo il mood cupo del romanzo di Stoker. Anche in questo caso non è stato facile, visto che solitamente le colline vengono rappresentate nei colori sgargianti della primavera o in quelli altrettanto accesi dell’autunno. Ho fatto quindi una piccola ricerca in rete inserendo le parole chiave "paesaggio dei Carpazi" e quello che ne è risultato è un olio su tela di un artista ucraino vivente (Kikinev Vasily Matveevich, classe 1930) che ha realizzato diverse opere sul genere di quella che ho scelto. Mi sembra che ben rappresenti quel che io immagino possa essere stata la vista offertasi agli occhi di Jonathan Harker attraverso il finestrino della sua carrozza.
E questo è tutto. Spero che abbiate gradito questo mio piccolo esperimento: è stato bello ma faticoso, perciò spero davvero che vi siate divertiti a leggere questo post quanto lo sono stato io a scriverlo!
Oggi alcuni passaggi del romanzo possono sembrare un po’ ingenui al lettore più smaliziato, ma è indubbio che Dracula è forte di un tal potere evocativo che ben pochi altri romanzi, a oltre un secolo di distanza, sono stati in grado di eguagliare. Tra questi c'è un’accurata descrizione del paesaggio dei Carpazi, paesaggio che Jonathan Harker osserva attraverso la piccola finestra della carrozza che lo sta conducendo, attraverso le colline, al castello del conte.
Davanti a noi, una terra verde e ondulata, coperta di foreste e boschi, e di quando in quando erti colli coronati da folteti o da fattorie con il nudo retro aguzzo prospiciente la strada. Ovunque, una rigogliosissima fioritura di alberi da frutto - meli, pruni, peri, ciliegi; e, passando, vedevo l'erba fresca ai loro piedi cosparsa di petali. Addentrandosi tra quei verdi colli, e sbucandone, la strada serpeggiava per questa che chiamano "Mittel Land" ora sparendo alla vista dietro una svolta erbosa ora nascosta dalle cime irregolari delle pinete che svettavano sui pendii come lingue di fiamma. La strada era irregolare, pure sembravamo volarvi sopra con fretta febbrile. Non mi rendevo conto, allora, del perché di tanta furia, ma era evidente che il cocchiere voleva giungere a Borgo Prund, cioè a Passo Borgo, senza por tempo in mezzo. […] Oltre le verdi colline ondulate della "Mittel Land" si levavano imponenti pendici boscose fino ai maestosi dirupi dei Carpazi veri e propri. Torreggiavano a destra e a sinistra, e la luce del sole pomeridiano, investendole in pieno, faceva risaltare tutti gli splendidi colori di codesta bella catena, l'azzurro cupo e il viola all'ombra dei picchi, il verde e il bruno là dove rocce ed erba si confondevano, e una prospettiva illimitata di rocce frastagliate e creste aguzze, che si perdeva in lontananza, dove picchi innevati si drizzavano maestosi. Qua e là, imponenti crepacci spaccavano i monti, e in essi il sole ormai declinante di tanto in tanto rivelava il bianco schiumare di una cascata.
Kikinev Vasily Matveevich, "Carpathian village", 1988, Oil on canvas |
Col calare dell'oscurità ha cominciato a fare un gran freddo, e il buio avanzante sembrava sommergere in una sola fosca caligine le macchie cupe degli alberi, querce, faggi e pini, sebbene nelle vallate che si insinuavano profondamente tra i contrafforti delle colline, nel mentre che si saliva verso il passo singoli, neri abeti si stagliassero su residue chiazze di neve. Talvolta, là dove la strada tagliava per pinete che nell'oscurità sembravano sul punto di piombarci addosso, i grandi banchi di foschia, qua e là insinuantisi fra i tronchi, producevano un effetto singolare, lugubre e solenne, risuscitatore di pensieri e sinistre fantasie già evocati dalla sera incipiente, allorché il sole al tramonto aveva conferito strano spicco alle nuvole che nei Carpazi sembrano incessantemente sfilare per le valli.
Non mi restava a questo punto che trovare un dipinto che potesse essere associato al paesaggio collinare descritto, ma che trasmettesse allo stesso tempo il mood cupo del romanzo di Stoker. Anche in questo caso non è stato facile, visto che solitamente le colline vengono rappresentate nei colori sgargianti della primavera o in quelli altrettanto accesi dell’autunno. Ho fatto quindi una piccola ricerca in rete inserendo le parole chiave "paesaggio dei Carpazi" e quello che ne è risultato è un olio su tela di un artista ucraino vivente (Kikinev Vasily Matveevich, classe 1930) che ha realizzato diverse opere sul genere di quella che ho scelto. Mi sembra che ben rappresenti quel che io immagino possa essere stata la vista offertasi agli occhi di Jonathan Harker attraverso il finestrino della sua carrozza.
E questo è tutto. Spero che abbiate gradito questo mio piccolo esperimento: è stato bello ma faticoso, perciò spero davvero che vi siate divertiti a leggere questo post quanto lo sono stato io a scriverlo!
Avevo letto il post di Cristina, molto bella la tua interpretazione.
RispondiEliminaDifferiamo però nei gusti: ho letto "La pietra lunare" e mi ha lasciato, diciamo, con una sensazione di incompletezza. "Le montagne della follia" ho provato a leggerlo ma ho mollato a circa metà romanzo perché non mi prendeva proprio.
Mi piacciono molto invece il disegno di Kubin e il quadro di Orfali.
Noooo! davvero non ti è piaciuto “Le montagne della follia”? Non ci posso credere! Mi fa comunque piacere che almeno alcuni dei dipinti che ho proposto siano di tuo gradimento, in ogni caso spero soprattutto che ogni singolo dipinto possa trasmettere davvero quello che secondo me è lo spirito o perlomeno l'atmosfera di ciascun romanzo. Mi sarebbe piaciuto leggere anche la tua versione del meme, comunque :)
EliminaSplendida prova!!! E stavolta conosco tre libri su cinque, il che mi sembra la conferma di una discreta affinità di gusti.
RispondiEliminaMa mi ti sei anche insinuato di soppiatto nel mio percorso sulle Madri. Tra Steiner e Landolfi c'è comunque di mezzo un altro autore... tra non molto vedremo chi ;-)
Sempre splendidi poi Roerich e Kubin. Ma ho apprezzato molto anche il quadro sui Carpazi, davvero d'atmosfera. Quello del deserto mi sembra invece una "crosta" come tu stesso hai rilevato (sebbene con meno brutalità) ;D
Bravo bravissimo!
Provo a immaginare quali possano essere i due libri che non conosci e, a spanne, direi Ballard e Silverberg. Ho indovinato? Nelle tre madri mi ci sono insinuato, ma solo perché non credevo che nel tuo percorso avresti mai inserito anche Landolfi. Se mi spremo le meningi credo di potermi far venire in mente almeno un altro autore che ne ha parlato, ma a questo punto taccio, che è meglio (quando avrò letto il tuo post ti saprò dire se ti tratta della stessa persona, sempre se la memoria non mi tradisce. Sai, vero, che sto leggendo anche questa serie con molto interesse? Più avanti magari mi verrà in mente anche qualcosa di vagamente intelligente da commentare).
EliminaIl dipinto sul deserto è quello che mi ha creato più problemi, non solo perché è un soggetto meno comune di altri (che so, il fiume), ma anche perché la maggior parte dei dipinti a tema hanno un’ambientazione africana, io però volevo un paesaggio immediatamente identificabile come americano, senza presenze umane o animali e che trasmettesse un senso di desolazione. In questo senso credo di aver scelto bene anche se il valore artistico dell’opera è opinabile ;)
Indovinato, due su due ;-)
EliminaP.S. E sono sempre felice se e quando parli delle Madri :-)
EliminaSì, ma chi meglio di te può farlo? :D
EliminaBello, Obsidian! Bello il post e gli accostamenti e ti confessoche mi vergogno sempre più del mio ruolo in questo meme😕
RispondiEliminaLa pietra lunare mi ha parecchio colpito. Uhm... ci penso sopra...
Ma, no, Patricia, a me i tuoi accostamenti sono piaciuti. Sono molto particolari e “parlano” di te, il che era proprio lo scopo del meme :) Questa non è una gara per vedere chi vince, ma un modo di scoprire cose nuove e anche, perché no, qualcosa di più sulla persona che decide di partecipare.
EliminaLandolfi te lo consiglio solo se ti piace il genere e se non disdegni un linguaggio un po’ datato (il romanzo dal punto di vista stilistico dimostra tutti i suoi anni, come credo si veda dagli estratti che ho riportato. Poi, come saprai, Landolfi è famoso per i suoi esperimenti linguistici, perciò non è roba per tutti).
Io sono tendenzialmente curiosa 😊 poi, dopo aver letto le tremila pagine di Clarissa di Richardson non mi apavento più😆
EliminaProprio perché sono curioso, tremila pagine io non potrei mai affrontarle, visto che nello stesso tempo potrei leggere dieci cose diverse. :)
Elimina3 volumi e quindi tra uno e l'altro.... 😊
EliminaGrazie di cuore di aver partecipato al mio meme, che come sempre è involontario. Di solito scrivo e poi sto a vedere che accade... ;-) E sono anche ammirata dagli accostamenti che hai fatto tra libri e immagini. Ti confesso che non ho letto nemmeno uno dei libri che proponi, a parte "Dracula"; avevo pensato anch'io di utilizzarlo, ma più in rapporto alla montagna. Degli altri, mi attirano molto "Vacanze nel deserto" e "Le montagne della follia" di Lovecraft. Di quest'ultimo autore, come sai, avevo letto il racconto sulla musica di Eric Zahn, scovandoti poi nella blogosfera grazie alla tua recensione.
RispondiEliminaDegli artisti conosco piuttosto bene Roerich, per via delle mie letture esoteriche, diciamo così, e filosofiche, Steiner compreso. L'ho utilizzato io stessa in almeno un paio di occasioni. Per i miei gusti mi piace moltissimo l'opera di Widad Al Orfali, sembra fatta di vetro.
Allora corro a inserirti nell'aggiornamento in calce al mio post. Grazie ancora! :-)
Grazie a te per aver ideato questo meme (e quelli precedenti a cui non ho partecipato, ma sto recuperando le letture ^_^). Anche se non era voluto, è un bel modo di parlare di libri (e non solo) in maniera diversa dal solito e poi credo che tu abbia una capacità più unica che rara di ispirare le persone. Solo provando ho capito davvero che fatica e che sforzo devi aver fatto, non è mica facile ripescare certi dettagli dai cassetti della memoria, e poi trovare le immagini (disegni, quadri) che rappresentino le proprie visioni interiori. Tra l’altro, anch’io avevo scelto due romanzi che non sono fisicamente riuscito a trovare nella mia libreria, e così ho dovuto ripiegare su altri. Bello il dipinto di Al Orfali, vero? Non appena l’ho visto mi sono sentito trasportare in un altro luogo e ho capito che era perfetto per quello che avevo in mente, ma ne ha realizzati anche di più belli :)
EliminaSì, in effetti sono post faticosi... provare per credere, sia come individuazione fisica dei libri che come sforzo mnemonico. Mi ricordo ancora il primissimo che aveva inaugurato la serie, quello sulle quattro stagioni: mi era venuta un'emicrania a grappolo. Poi pensavo che non se lo filasse nessuno, invece sono cominciati a spuntare i primi seguaci all'orizzonte. ;-) Magia e imprevedibilità della blogosfera.
EliminaDevo proprio fare una ricerca su questo Al Orfali, mi piace molto.
Ah, e grazie per il complimento sulla capacità di ispirare. ^_^
Sono troppo in ritardo per replicare l'esperimento delle quattro stagioni, ma sto già facendo mente locale sui paesaggi artificiali. Tu però non avere troppa fretta a lanciare la sfida, eh? ^_^
EliminaP.S. Widad Al Orfali è una donna. Chissà che un giorno non possa finire in quell'altra tua rubrica...
Ehm... a dire il vero la pubblicazione del post sui paesaggi artificiali è imminente. Ma comunque questi articoli non hanno una data di scadenza (come le mozzarelle), quindi se ti piace di più il meme sulle quattro stagioni puoi cimentarti con quello. ^_^
EliminaIl fatto di non aver capito che Widad è un nome femminile dimostra la mia scarsa conoscenza della lingua araba. Lingua che avevo cominciato a studiare da autodidatta in un momento di follia e su cui mi ero arenata miseramente dopo aver imparato l'alfabeto e un centinaio di parole. Inutile, devo proprio aspettare di andare in pensione per potermi iscrivere a un corso con un docente.
Imminente? Oddio! Ansia...
EliminaOttimo lavoro! Il mio luogo preferito? deserto, ovviamnete! evoca immagini aride e tristi, è vero, di morte e distruzione, di quei cespugli che rotolano ovunque, di sabbia e caldo soffocante...ma anche di vento che cambia le cose, soffia e modifica l'aspetto di ogni cosa...grazie, mi hai fatto sognare!
RispondiEliminaNon so perché ma me lo aspettavo che avresti indicato il deserto! ^_^ Anche il ghiacciaio, che è un concetto diametralmente opposto ma per certi versi molto simile, evoca solitudine, ma evidentemente l'acqua, fonte di vita, che vi è imprigionata lascia aperta una speranza...
EliminaBellissime le associazioni! Per me tutto da mettere in lista, in quanto a libri, e da approfondire *_*
RispondiEliminaMi ha colpito parecchio il libro di Ballard e la tua scelta pittorica mi è sembrata particolarmente azzeccata, per quanto hai scritto a proposito di quel processo di "straniamento".
Magnifici i "Roerich" e "Kubin" *__* Un ottimo lavoro, molto molto personalizzato e nello spirito del blog (e tuo va da sé)... e non è per niente facile mettere insieme post simili!
Sono contento che trovi azzeccata la scelta pittorica. Come ho scritto nel post la mia idea originale per Ballard era un attimino diversa. Diciamo che infine è andata bene ^_^
EliminaSplendido viaggio e ottime scelte. Ovviamente mi hai dato una grande gioia quando hai scelto una delizia pseudobiblica come quella di Silverberg! E' uno dei primi libri che lessi per recensirlo nella mia rubrica "Pseudobiblia" e gli sono rimasto affezionato. E' passato molto tempo, ma se ricordo bene il deserto modifica anche lo stile del racconto: si passa dall'iniziale "ragazzi in viaggio", con rimorchi e divertimenti vari, ad un'avventura interiore che metterà a dura prova la loro umanità. Forse è tra le opere meno conosciute dell'autore, in Italia, ma merita davvero.
RispondiEliminaEffettivamente è così, ricordi perfettamente: è un romanzo a due facce che però si intersecano molto bene. Adesso che me lo dici mi ricordo di quel tuo vecchio post: devo esserci capitato un giorno tempo fa, non necessariamente all'epoca in cui lo pubblicasti (solo che ora non riesco a ritrovarlo).
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