martedì 6 dicembre 2016

Il violino dell’impiccato

È da diverso tempo ormai che la mia attenzione sembra essere attratta dai vecchi autori del fantastico vissuti nel diciannovesimo secolo. Credo che in primo luogo questa mia piccola mania potrebbe essere nata grazie a quella vecchia intervista che feci qui sul blog ad uno dei più curiosi cercatori di tesori dimenticati che mi sia mai capitato di incontrare; in secondo luogo, parte della responsabilità di quanto sta accadendo è da ricondursi alla (ri)scoperta di alcuni libri ritornati sorprendentemente alla luce spolverando le seconde file della mia fagocitante libreria, in terzo e ultimo luogo… beh, si direbbe che la mia curiosità venga continuamente stimolata dai numerosi titoli che, quasi come se ne fossi l’unico destinatario, continuano ad essere proposti da alcune realtà editoriali che sono solito tenere d’occhio, anche se non necessariamente per lo stesso motivo. È questo il caso della Nero Press che, solo poche settimane fa, ha voluto riesumare alcuni incredibili racconti usciti dalla fantasia di una coppia scrittori francesi di origine alsaziana che sinceramente non conoscevo: Emile Erckmann e Alexandre Chatrian
Sebbene la mia lista di letture abbia ormai abbondantemente superato il punto di non ritorno (nel senso che non credo mi rimangano abbastanza anni da vivere per poter arrivare a leggere tutto ciò che vorrei), ho deciso di promuovere le 150 paginette di cui è composto “Il violino dell’impiccato e altri racconti" in posizione privilegiata e, stavolta davvero a tempo di record, sono qui a parlarne e a condividere con voi ciò che da questa lettura è scaturito. Proporrò due righe sugli Autori in calce, nel caso vi stiate chiedendo chi siano (righe che andrò per inciso a prelevare spudoratamente dal sito della casa editrice).
I racconti sono dodici, tutti naturalmente scritti e ambientati nella prima metà dell'Ottocento e tutti uniti dal filo conduttore della musica, a volte determinante ai fini della narrazione, altre volte mera cornice dovuta al fatto che alcuni personaggi sono dei musicisti. Ad ogni modo, considerato che farsi allietare dalla musica è consuetudine universale dalla notte dei tempi, il pretesto è più che ben accetto; in questi racconti la musica è il principale passatempo delle classi più abbienti, ma anche l’ideale colonna sonora delle fredde serate trascorse nelle osterie (che qui portano nomi come Gambrinus o gli ancor più rustici Vello d’Oro o Zampa di Pecora).
Tra questi il racconto più curioso è senza dubbio "L'orologio del Decano", una vera e propria crime story con furti e delitti che sembrano non rispondere ad alcuna logica: in una parola, non ci sono indizi! I musicisti girovaghi Kasper e Wilfrid, appena giunti nel villaggio di Heidelberg, nella Foresta Nera, hanno modo di intravedere il ladro e presunto assassino mentre questi si introduce nottetempo nella stanza dove stanno dormendo. L'uomo perde un orologio, e la mattina dopo il povero Wilfrid viene scoperto con quell'oggetto ancora in mano prima di avere il tempo materiale di consegnarlo alle autorità e spiegare l’accaduto. Per fortuna l'assassino torna sempre sul luogo del delitto… La tensione sale e, anche se viene lasciato largo spazio al lato investigativo, non manca una piccola incursione nel fantastico, e una riflessione non banale sull'anima, la volontà, la morale.
Da non sottovalutare "Il Requiem del corvo", una storia che sembra originarsi dalla teoria degli opposti: il maestro Zacharias è convinto che la presenza del Diavolo, incarnato nel corvo Hans, gli impedisca di completare la sua grande opera, la Sinfonia dei Serafini, perché quando tenta di scrivere Hans lo disturba con la sua presenza o copre le note con le sue grida rauche. Quando infine il musicista ritroverà l'ispirazione, sarà un Requiem quello che scriverà: una melodia triste, ma così celestiale da garantirgli onori e fama a vita.

Illustration de Vincent VANOLI
Non mancano naturalmente racconti dalla qualità decisamente meno convincente, come lo stesso "Il violino dell'impiccato", quello che dà il titolo alla raccolta. Il musicista Karl è in viaggio alla ricerca dell'ispirazione perduta: la troverà nella Foresta Nera, dopo essere incappato nel fantasma di Melchior che, anche da morto, dà prova di uno straordinario talento con il violino. Melchior non è un ritornante, un fantasma in cerca di vendetta o in attesa di finire qualcosa che ha lasciato in sospeso, ma semplicemente un uomo il cui amore per la musica supera i confini della morte.
La qualità altalenante dei racconti e i finali delle storie, a volte bruschi e poco incisivi, si può riscontare anche altrove tra le pagine di questa raccolta: ciò accade per esempio ne "L'eredità di zio Christian", dove si narra la storia del maestro di cappella Kasper, il quale si ritrova erede unico di un grosso patrimonio in titoli. Installatosi nella tenuta del defunto zio, Kasper sente svanire ogni preoccupazione per il futuro e mette da parte la musica, tuttavia l’incontro con i fantasmi dei passati proprietari, venti generazioni di persone che in tempi diversi hanno vissuto in quella che è la sua nuova casa, gli farà cambiare idea.

Alcuni racconti si limitano a narrare fatti o fenomeni più o meno curiosi o misteriosi ma altri, per me i più riusciti, vanno decisamente oltre; sono, questi, piccoli capolavori di introspezione, oppure racconti nei quali l'accaduto viene sviscerato fino a una soluzione che non necessariamente è quella che ci si aspetterebbe, mantenendo un buon livello di suspense. È il caso del racconto che da solo vale il prezzo, tra l’altro assolutamente contenuto, della raccolta: "L'occhio invisibile". In questo incredibile episodio, come si sarà capito uno dei miei preferiti, il pittore Christian si ritrova a combattere una battaglia per la vita, reale o soltanto immaginata, contro una anziana megera da tutti additata come fattucchiera. I fatti su cui si basa la vicenda hanno come sfondo una camera d’albergo i cui ospiti, invariabilmente, vengono ritrovati la mattina privi di vita appesi ad un cappio. Semplici casi di suicidio? Oppure la verità è da ricercarsi proprio nella sinistra figura di quella vecchia che avrebbe appreso l’arte di manipolare le forze più arcane della natura al fine di piegare la volontà delle sue vittime?
"La treccia nera", coi suoi rimandi a rituali antichi e misteriosi, sa di folclore e magia nera, ma può anche essere visto come una sorta di ammonimento, una piccola parabola morale che mette in guardia dalla curiosità smodata e dai desideri materiali. I protagonisti sono Theodore, musicista e organista della cattedrale, e Georges, ufficiale reduce dalle campagne in Africa. Una sera, Georges svela all'amico il segreto che lo tormenta e che lo isola dagli altri uomini: il suo successo ha un prezzo, un prezzo molto alto che darebbe qualsiasi cosa per non dover più pagare.
Capita anche che il razionale e l'irrazionale compaiano nello stesso racconto, rendendo difficile trovare dei punti fermi. E proprio qui viene il bello, perché accanto a elementi gotici come i fantasmi o le streghe ce ne sono altri più concreti e “popolari”, come il già citato poliziesco, o sottili e cerebrali come i grandi temi filosofici. È il caso de “L’orecchio della civetta”, in cui il giovane Christian (come avrete capito i nomi dei protagonisti tendono a ripetersi) ripercorre la storia e le ultime ore di Nuremberg, un “omino rosso” che per motivi di studio viveva nella grotta del Geierstein, una cisterna detta “orecchio della Civetta” per la sua forma peculiare. Pensando a lui, Christian riflette con amarezza sul destino di coloro che sono nati per illuminare il cammino degli uomini.
È anche però il caso, sebbene per altri versi, de "La regina delle api", un racconto delicato e commovente che è anche un'ode alla vita e a un Dio che sa prendersi cura di tutte le sue creature, incluse quelle all'apparenza più indifese. Hennetius è un professore di botanica che si trova a dover chiedere ospitalità in una baita sullo Chasseron. L’incontro con la figlia dei suoi ospiti sarà per lui un vero e proprio bagno d’umiltà, perché la bambina – Roesel, che è cieca ma è in grado di vedere con mille occhi - dimostra di possedere una conoscenza della natura e delle sue meraviglie infinitamente superiore alla sua.

Illustration de Vincent VANOLI
Gran parte del merito per il quale il giudizio finale su questa raccolta è decisamente positivo è da attribuirsi all'ambientazione dell'Alsazia e della Lorena, una campagna intrisa di valori contadini ma anche di elementi del folclore e della fiaba così come della religione e della superstizione (oltre che fonte quasi inesauribile di metafore ispirate alla natura: prendete uno a caso dei racconti e vi troverete descrizioni come “il naso piccolo come un fiorellino”, “il viaggiatore aveva esattamente l’aspetto di un gattone” oppure “si dimenò come una martora”!). Sotto questo punto di vista, "Il borgomastro imbottigliato" è molto efficace. Ludwig e Hippel sono due vecchi amici che un giorno si incontrano per caso nella valle del Reno. Una notte, dopo qualche ora trascorsa bevendo dell'ottimo vino rosso, Hippel ha un orribile incubo nel quale s’identifica con il borgomastro di un villaggio limitrofo, da poco trapassato tra lo scherno e l’indifferenza generali; un uomo avaro il cui spirito non trova pace al pensiero dei beni materiali che ha lasciato dietro di sé. Un persistente déjà-vu lo perseguita man mano che Hippel s’inoltra nella campagna, fino alla scoperta che la serata alcolica appena trascorsa ha molto a che vedere con la strana forma di possessione di cui sembra essere vittima... in questo caso, ed è un peccato, il titolo è più che rivelatore.
"Il cabalista Hans Weinland" è invece un’immersione nella tradizione induista del “dio azzurro” Krishna contrapposto al “dio giallo” del cristianesimo: nella storia di Weinland, ex professore di metafisica votatosi alla Cabala e deciso a compiere una vendetta mortale per conto dei suoi vituperati dèi, sta tutta la fascinazione dell’Occidente per l'Oriente. A giudicare dalla padronanza della materia, una fascinazione da cui gli stessi Autori non dovettero essere immuni. Come in altri racconti però la narrazione non manca di ironia, visto che proprio il razionalismo della società parigina (la “Sodoma degli Intellettuali”) le impedirà di rendersi conto della grave minaccia che incombe.
Tra la profondità e la complessità del racconto precedente e di quello che lo seguirà, "Tra due vini" appare poco più che un simpatico intermezzo, superfluo ma in fondo gradevole. Durante una bizzarra nottata, dopo qualche bicchiere di troppo, Vanderbach si accorge che l'amico Spitz sotto le sembianze umane nasconde un'altra identità, quella di una gazza calva appartenente alla famiglia del tessitore, gli Holbein. O no? Il successivo racconto si intitola "Hans Storkus" e comincia con l'incontro fortuito tra Hans, collezionista di conchiglie e ossa fossili, e il maestro di cappella Christian, nipote del borgomastro. La tematica è affine a quella del racconto che lo precede soltanto all'apparenza, per via dell’efferato omicidio, in un certo senso involontario, i cui prodromi si possono già intuire nella conversazione iniziale tra Hans e Christian. La visione catastrofica di Storkus, con l'immagine del plesiosauro che stermina le tartarughe marine, è quasi un presagio di ciò che sta per abbattersi su di lui. Mancano però le circonvoluzioni narrative che caratterizzano "L'orologio del Decano"; lo svolgimento è più lineare, non c’è mistero né suspense. Soprattutto, non c’è alcuna indagine, perché questa è piuttosto un'indagine psicologica sulle ossessioni che muovono le azioni umane e sul confine spesso labile tra lucidità e follia.

Émile Erckmann nasce nel 1822 a Phalsbourg, ultimo di cinque figli. Dopo gli studi universitari in legge, interrotti più volte a causa del tifo, trova lavoro in una libreria. Nel 1848, anno della famosa Rivoluzione di febbraio, Erckmann diventa membro della Massoneria. Compirà numerosi viaggi in Oriente e, ritornato nel suo villaggio natale, conoscerà Chatrian. Alexandre Chatrian nasce nel 1826 a Soldatenthal, penultimo di dodici figli di un mastro vetraio. Dopo gli studi superiori a indirizzo tecnico, trova lavoro in Belgio come contabile. Tornato nella Lorena, nel 1847 incontra Erckmann, con il quale quella stessa estate attraverserà i Vosgi, terra in cui ambienteranno alcune delle loro opere. L’anno seguente fonderanno un circolo di propaganda repubblicana e incontreranno i disegnatori Gustave Doré e Théophile Schuler, i quali illustreranno alcuni dei loro scritti. Dopo il colpo di Stato del 1851, Chatrian riuscirà ad ottenere un impiego nel settore ferroviario e si stabilirà a Parigi insieme all’amico e collaboratore Erckmann, scrivendo dapprima per riviste e giornali, pubblicando poi per prestigiose case editrici come Hachette e Hetzel. La loro proficua collaborazione diede alla luce romanzi, commedie e saggi tra cui vale la pena di annoverare L’Ami Fritz, Madame Thérèse, Histoire d’un conscrit de 1813, L’illustre Docteur Mathéus, Myrtille, L’Art et les grands idéalistes, senza contare peraltro le numerose raccolte di novelle di genere fantastico e popolare. Ma l’amicizia tra i due, durata oltre un quarantennio, terminò nel 1899, quando ebbero una lite che li portò in tribunale. Seguì una lunga contesa sui diritti d’autore, vinta da Erckmann. Morirono in solitudine: Erckmann a Lunéville, colpito dal diabete, e Chatrian a Villemomble, affetto da una grave patologia del sistema nervoso centrale. In memoria dei due scrittori alsaziani è stato eretto un monumento e inaugurato un premio letterario che porta il loro nome.

14 commenti:

  1. Certo però che litigare dopo quarant'anni di amicizia....e finire anche in tribunale....
    Tornando serio per un attimo, l'ambientazione dei Vosgi è perfetta perché unisce tradizioni, leggende e fantasmi di vari popoli e lingue. Un vero melting pot tra cultura latina, celtica e poi in seguito francofona e germanica.

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    1. Quel finale è effettivamente un po' triste ma, per nostra fortuna, è avvenuto dopo cinquant'anni di comune carriera. Roba da leggere a noi ne è pervenuta parecchia (anche se in italiano non tantissima).
      L'ambientazione è senz'altro un punto a loro favore: la Foresta Nera è decisamente evocativa nella letteratura di genere, probabilmente a causa della vicenda del celebre negromante Johann Faust che a sua volta ha ispirato milioni di pagine.

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  2. ... poi basta andare in ospedale a Saronno, e la realtà supera l'immaginazione, dandole un bel distacco...
    Scherzi a parte certe volte ambientazioni prosaiche e storie apparentemente banali possono celare situazioni che nemmeno Lovecraft quando aveva mangiato pesante.

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    1. La realtà supera quasi sempre la fantasia, anche perché quest'ultima spesso deriva da ciò che osserviamo nella realtà. Lovecraft, beh, lui era un caso diverso...

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  3. Interessante riscoperta di autori, almeno da noi, sconosciuti.

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    1. Completamente sconosciuti, per quanto mi riguarda. Mi è comunque appena giunta notizia che stanno per uscire delle interessanti novità su questa coppia di autori...

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  4. Ho usato e sentito usare per anni il modo di dire "L'amico Fritz" senza mai farmi domande sulla sua origine, e oggi scopro che proviene da questi due scrittori.

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    1. Ahahah! E' vero! L'ho pensato anch'io!

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    2. E Mascagni ne ha fatto un'opera! :O Scopro appunto ora che il libretto è stato ricavato dalla commedia dei nostri :O

      Gran bel post, autori da riscoprire sicuramente per tutti gli aspetti sottolineati. E brava la Nero Press!

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    3. Ecco allora perché l'amico Fritz mi suonava così familiare... grazie per la precisazione!

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  5. Ti capisco perché anch'io sono in fase di riscoperta di autori del passato, anche se nel mio caso si tratta di veristi toscani (Renato Fucini prima e ora Federigo Tozzi).

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    1. Tozzi è uno di quei nomi che spesso mi tentano, quando frugo negli scaffali delle librerie.... Mi sa che prima o poi sarà costretto a cedere.

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  6. Grazie per la segnalazione. Non conoscevo questi due autori e mi incuriosiscono molto.

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    1. Li conoscevano davvero in pochi, a quanto pare... Ciaooo!

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