lunedì 18 giugno 2018

Un tentativo di datazione

Quando il governo francese ne aveva sequestrato le copie appena giunte a Parigi, Londra ovviamente aveva cominciato a bramarne la lettura: com'è noto, il libro si diffuse come una malattia infettiva, di città in città, di continente in continente, proibito qui, sequestrato là, condannato dalla stampa e dal pulpito, censurato persino dai più moderni fra i letterati anarchici. Eppure quelle pagine stregate non violavano alcun principio del vivere civile, nessuna dottrina conosciuta: nessuna ideologia vi veniva offesa. Semplicemente non poteva essere giudicato secondo i modelli abituali. (Robert W. Chambers, Il riparatore di reputazioni.)
Sono trascorsi diversi mesi da che il blog si è affacciato l'ultima volta sull'affascinante mondo del Re in Giallo. Senza quasi farlo apposta è passato di nuovo quasi un anno, tra vacanze, traslochi e impegni di varia natura; e addirittura cinque anni dal giorno in cui abbiamo iniziato assieme questo lungo percorso, nella finora vana ricerca di una chiave per decifrare il mistero che si cela dietro la mitologia rivelata da Bierce e Chambers.
Ci eravamo addirittura lasciati con una promessa, quella di "materializzare" il famigerato "King in Yellow" attraverso gli scritti di due celebri autori americani di fantasy e fantascienza.
Ebbene, il momento di fare il nostro trionfale ingresso a Carcosa è quasi arrivato, ma prima occorre fare un passo indietro e fare il punto su tutto ciò che sappiamo a proposito del famigerato testo.

Partiamo dalla datazione: Robert W. Chambers ce ne parla per la prima volta nel 1895 nella sua raccolta di racconti intitolata, guarda il caso, proprio "The King in Yellow", esattamente come il testo dell'opera teatrale a cui facciamo riferimento. In realtà, come abbiamo visto qui, la sua esistenza era già stata testimoniata da Oscar Wilde niente meno che nel suo romanzo più famoso, "Il Ritratto di Dorian Gray" (1890).
Possiamo ipotizzare, sempre per merito di Robert W. Chambers, l'esistenza di sua versione in francese, che potrebbe essere addirittura la lingua originale, e, sempre per supposizioni, sappiamo che numerose altre traduzioni apparvero qua e là in tutto il mondo.
In realtà la citazione che ho inserito all'inizio del post è piuttosto criptica e potrebbe essere interpretabile in modi diametralmente opposti: la frase "il governo francese ne aveva sequestrato le copie appena giunte a Parigi" ci dice solo che il libro era giunto a Parigi (ma da dove?) e che lì si era diffuso; non ci dice se i parigini leggevano in francese o in un'altra lingua. La successiva frase ci dice solo che "Londra ovviamente aveva cominciato a bramarne la lettura", senza precisare se tale bramosia ebbe un seguito. Possiamo solo dedurlo dalla precisazione che segue: "il libro si diffuse come una malattia infettiva, di città in città...". In poche parole, Robert W. Chambers si guarda bene dal chiarire in quale lingua era scritto il malvagio testo che si diffuse a Parigi e poi nel resto del mondo. Sulla stessa datazione abbiamo dei dubbi, visto che "Il riparatore di reputazioni" è ambientato in un 1920 distopico.
Sul tema della lingua ci è già venuta in soccorso Ann K. Schwader, che nel racconto "Tattered Souls" (2003), di cui abbiamo parlato qui, precisa:
"Oltre un secolo fa il governo francese aveva presumibilmente bruciato la prima edizione tradotta de Le Roi en Jaune che aveva attraversato i suoi confini. Dopo aver letto il secondo atto ne aveva compreso il significato, sebbene fino a quel giorno non fosse sicura del vero motivo per il quale avesse gettato la propria copia nelle acque della Senna." (Ann K. Schwader, Tattered Souls, 2003.)
A questo punto diamo per assodato che fu effettivamente una versione in francese quella che si diffuse a Parigi. Non sappiamo però ancora da dove veniva e da quale lingua fu tradotta.
Nell'articolo di oggi prova a spiegarcelo Peter A. Worthy, autore ed editore, attraverso il  racconto "The Peace that will not come" pubblicato sull'antologia Rehearsals for Oblivion, Act.I (Elder Signs Press, 2007).

La professoressa Alison Engels e il sergente della marina britannica Gabe Mungell arrivano al Four Mile Hospital in cerca del loro amico e collega Xavier Wilmarth, scomparso mentre stava indagando su alcuni misteriosi fatti avvenuti novant'anni prima fra le mura dell'ospedale psichiatrico, ora abbandonato.
Piccola digressione: è solo un caso che Xavier Wilmarth sia omonimo di Albert Wilmarth, protagonista del racconto "The Whisperer in Darkess" di H.P. Lovecraft)? Fine digressione.
Gli avvenimenti ebbero inizio nell'agosto del 1917, data in cui numerosi membri dello staff cominciarono a sparire misteriosamente. Nell'arco di quatto mesi si persero tracce di dieci persone tra medici, infermieri e assistenti. Solo i corpi di due di questi vennero alla luce: il primo era il cadavere di un medico, trovato appeso a un albero giù nel parco. Ciò che ne restava erano solamente la testa e il torso. Sulla base di quanto riportato dagli archivi della polizia, un lungo filo spinato ne avvolgeva il corpo, sul quale erano incise le parole COME AND PLAY. Tale incisione risultò essere nient'altro che pelle scorticata.
Il secondo e ultimo corpo fu quello di un'infermiera: i suoi resti furono rinvenuti nei sotterranei, appesi al centro di una cella per mezzo dello stesso filo spinato. Catene arrugginite, che non erano mai state lì prima di quel momento, pendevano dal soffitto. Il corpo quella volta era intatto, ma le parole MORE TOYS erano incise all'altezza della cintola. Occhi e bocca erano cuciti con un filo spinato più sottile. Il coroner, a quel tempo, sostenne che la poveretta era ancora viva quando tutto ciò le era stato fatto.
Per diverso tempo dopo quegli episodi numerosi membri dello staff testimoniarono di aver talvolta notato, fra le ombre notturne, la presenza di strane figure, e di aver udito voci che parevano disincarnate. Realtà o suggestione? Difficile dirlo, almeno fino a quella notte di dicembre in cui tutti sparirono. Medici, infermieri e pazienti. Tutti svaniti in una sola notte. Tutto quello che fu trovato la mattina successiva, quando la polizia fece il suo ingresso nell'ospedale psichiatrico, fu una parola in latino tracciata con il sangue su una parete: VACUO.

Xavier Wilmarth, novant'anni più tardi, su richiesta dell'Istituto di Ricerca Psichica si sarebbe recato al Four Mile Hospital, abbandonato sin da quel giorno del 1907 e nel tempo lasciato andare in rovina, per cercare indizi su quei lontani avvenimenti. Possibile trovare qualcosa dopo tanto tempo? Pare proprio di sì, perché Wilmarth riportò alla luce, proprio in quella cella sotterranea dove fu rinvenuto il corpo dell'infermiera, un libro dall'aspetto antichissimo, scritto in una lingua che pareva essere greco antico. Il responso definitivo lo avrebbe potuto dare però, solo dopo accurata analisi, uno studioso dell'istituto committente. Eccolo:
Da: Darrel Hutchinson
A: Xavier Wilmarth
Oggetto: Risultati analisi manoscritto
Caro Xavier, mi dispiace doverti confermare che il libro è "Il Re in Giallo", proprio come temevi. Da un certo punto di vista avevi ragione riguardo alla lingua del manoscritto. Il testo è davvero greco, tuttavia, non è medievale - ciò che hai notato come bizantino - ma in realtà attico, il dialetto di Alessandro il Grande, piuttosto che quello dell'imperatore Giustiniano. Avrai compreso a questo punto che anziché al periodo 527-565 dopo Cristo dobbiamo guardare al periodo 336-327 avanti Cristo. In pratica questa versione del dramma è databile grosso modo tra i 2342 e i 2329 anni fa. Non riesco proprio a trovare un senso in tutto ciò.
Hai detto di averlo trovato in un manicomio, giusto? E che, dalle tue informazioni, esso si trovava già laggiù nel 1917? Come fa un documento dell'epoca di Alessandro di Macedonia a finire nell'Inghilterra della Grande Guerra? Comunque, sulla base di tali informazioni, avrei piuttosto suggerito i seguenti come candidati più probabili: Kralj u Žutom (stampato a Zagabria), A Kiraly-ban Sarga (Budapest), Le Roi en Jaune (Parigi), Król w Żółci (Praga e Varsavia), Obdredeni clan Krali unutra Zut (Belgrado, Bucarest, Sarajevo e Sofia).
Personalmente, se avessi dovuto scommettere, avrei puntato su Der Konig in Gelb, che sembra sia circolato in Germania e in Austria-Ungheria qualche mese prima dello scoppio della grande guerra. Quella traduzione del re in giallo, in modo aneddotico, godette di una rinnovata fama a Berlino negli anni '30.
Ho citato la traduzione francese semplicemente perché è la più accessibile, a dispetto della sua rarità. Negli anni precedenti la Prima Guerra l'Europa orientale aveva subito un fascino sotterraneo con il testo. Trieste, Vienna e Varsavia riuscirono a fermare la diffusione delle loro versioni abbastanza rapidamente. Belgrado, Bucarest, Sarajevo, Sofia e Zagabria non furono così fortunate. Ma anche così, stiamo parlando solo di doppie cifre: nessuna traduzione che abbiamo mai visto ha superato le novantanove copie. Intendiamoci, solo una è già abbastanza.
Potrebbe questo essere l'originale? Vi prego di farmi avere ulteriori dettagli sulla sua provenienza, nel caso li dovesse scoprire.
HUTCH
Niente male, no? Siamo quindi di fronte a una rivelazione straordinaria: il dramma in due atti conosciuto con il nome de "Il Re in Giallo", oltre ad aver goduto di numerose traduzioni, risale a un'epoca antichissima. E a questo punto nulla ci vieta di pensare che forse il temibile libro potrebbe essere ancora più antico, risalente magari a un'epoca antecedente la comparsa dell'uomo sulla terra. Ma forse sto esagerando.
Come Wilmarth prima di loro, Engels e Mugnell si ritrovano, nel finale, intrappolati in un paesaggio onirico, strettamente legato al Re In Giallo, materializzato dalla mente del colonnello Thomas Atheling, che fu ospite dell'istituto psichiatrico ai tempi della battaglia di Passchendaele.
Piccola digressione: è solo un caso che Thomas Atheling porti lo stesso cognome di quegli Atheling di cui ho ampiamente parlato qui? Fine digressione.
Non è comunque questo il momento di avventurarsi negli incubi del colonnello Atheling, nei quali, attraverso Gallipoli (quella turca) e lo stretto dei Dardanelli, si giunge a Costantinopoli e alla celebre Hagia Sophia, così assurdamente simile al palazzo reale di Carcosa.
Certo, la tentazione di posizionare geograficamente la mitica città nell'attuale Istanbul è davvero tanta, ma oggi era nostra intenzione scavare a fondo nelle origini dell'altrettanto mitico pseudobliblium e, sebbene ciò che abbiamo portato alla luce sia ancora molto lontano dall'essere definitivo, qualche piccolo passo in avanti possiamo tranquillamente dire di averlo fatto.

Hagia Sophia

9 commenti:

  1. Ma se Carcosa avesse una localizzazione geografica sul pianeta Terra, resterebbe da spiegare la questione dei due soli gemelli, no?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. C'è un passaggio ne "Il cittadino di Carcosa" di Bierce che recita: "Alzando gli occhi vidi, attraverso un improvviso squarcio tra le nuvole, Aldebaran e le Iadi!".
      Aldebaran, per un effetto ottico, sembra associata all’ammasso delle Iadi (anche se in realtà si trova molto più vicina a noi), ma l’associazione è data solo dalla prospettiva dalla quale noi la osserviamo. È proprio questo quindi il punto: da dove, se non dalla nostra Terra, possono essere visibili contemporaneamente sia Aldebaran che le Iadi?
      Carcosa, secondo Bierce, si troverebbe quindi sulla Terra. Non sappiamo ancora in quale tempo e in quale luogo, ma Carcosa, o una sua versione extra-dimensionale, va cercata innanzitutto qui.
      C'è poi una seconda pista (che stiamo seguendo da tempo) secondo la quale ciascun personaggio dei "Mythos" possiede almeno due "alias" e quello che stiamo cercando di fare, tra le tante cose, è discriminare i personaggi appartenenti al fantomatico "Regno di Hastur", dovunque esso sia, dalla loro controparte "terrestre".
      Sulla questione dei "soli gemelli" la risposta potrebbe essere molto più semplice di quello che si creda (prova a immaginare il nostro astro che tramonta, specchiandosi, sulle acque del lago di Hali). Più complessa è invece la questione delle "stelle nere"... ma su quelle prima o poi ci arriviamo.

      Elimina
  2. Sai che anch'io sono appassionato di lunga data del Re, quindi ti ringrazio di tenere viva nel tempo la sua eredità ;-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Purtroppo il tempo vola e i miei propositi di portare avanti questo progetto a ritmi serrati, per una ragione o per l'altra, continuano e venire infranti.

      Elimina
  3. Io ho letto solo i racconti di Chambers.
    Ma altri meritevoli di lettura, secondo te?
    Cioè, mi spiego: quali consideri irrinunciabili?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Bella domanda a cui rispondo con un'altra domanda. tu leggi in inglese? Te lo chiedo perché la maggior parte dei testi che utilizzo per questo speciale non sono mai stati tradotti in italiano (e tutte le citazioni che trovi sono mie traduzioni). I
      Tra i pochi tradotti c'è sicuramente Ambrose Bierce, di cui ti consiglio la raccolta di racconti Fanucci (si trova si Amazon anche in formato Kindle a pochi euro).
      Se invece leggi in inglese, un buon inizio è quello di frugare nel catalogo della casa editrice Chaosium, con un occhio di riguardo alla raccolta "The Hastur Cycle"...

      Elimina
    2. Vada per Ambrose Bierce!
      Ho già segnato il titolo.

      Elimina
  4. Questa metaletteratura mi fa impazzire! Tu pensa che potenza di immaginario ha creato questo fantomatico libro, incredibile!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ...ed è nulla in confronto a ciò che ha scatenato il Necronomicon.

      Elimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...