lunedì 15 ottobre 2018

L’impero italiano dei sensi (Pt.1)

Mentre sul blog del collega e amico Ivano Landi entra ormai nel vivo lo Speciale "Pleasure of Pain II", sequel dell'omonima serie andata in onda qui lo scorso mese di maggio, ne approfittiamo per uscire con quello che in gergo dovrebbe chiamarsi "spin-off", ovvero un articolo che avrebbe tecnicamente qualcosa a che fare con il suo ispiratore ma che nella sostanza vive di vita propria. 
Oltre ad potersi considerare uno spin-off, ciò che mi auguro inizierete a leggere tra pochi istanti potrebbe anche rientrare esso stesso sotto la definizione di sequel, avendo già proposto un tema simile proprio nel corso dello Speciale già citato.
A conti infatti, in realtà, "L'impero italiano dei sensi" è molto più di un articolo derivativo: è un lungo excursus (talmente lungo che l'ho dovuto spezzare in tre parti) sulle vicende al limite del paradossale che uno dei film più importanti del panorama erotico di tutti i tempi ha dovuto affrontare per entrare nel nostro scalcinato paese. 
Ma non sarò io a parlarvene: per l'occasione lascio salire su questo palcoscenico, mentre io mi defilo dalla porta sul retro, uno tra i blogger più abili a scavare nel torbido della settima arte. Signore e signori, lasciate che vi introduca il mitico Lucius Etruscus, per un giorno svestito degli usuali panni di investigatore bibliofilo. A te il microfono, Lucius!

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L’impero italiano dei sensi
Il calvario di un celebre film giapponese alle prese con la distribuzione e la censura italiana: una storia inedita raccontata per la prima volta

In Italia nulla è come sembra, soprattutto nel campo dei film “scottanti”: e L’impero dei sensi è stato uno dei più clamorosi film scottanti, la cui fama supera di gran lunga la sua effettiva conoscenza: sin dalla prima notizia del suo arrivo, è stato un film-simbolo molto più citato che visto, nonché protagonista di una incredibile ma tipica storia di distribuzione italiana. 
Grazie alla quantità di archivi liberi di cui ci si può avvalere oggi, questa storia può essere finalmente raccontata, a più di quarant’anni di distanza. 
«Pensavo che [L’impero dei sensi] avrebbe scandalizzato i giapponesi, non gli occidentali.» Nagisa Ôshima intervistato da Aldo Tassone per “la Repubblica”, 10 giugno 1984 
Inviato speciale dal Pesaro Film Festival, per “la Repubblica” (7 giugno 1984) il giornalista Roberto Campagnani stila un breve vademecum dei generi cinematografici giapponesi ad uso dei lettori: un dizionario di sigle, case e nomi che in seguito diventeranno noti agli amanti del cinema, in un periodo poi – gli anni Ottanta – in cui i canali televisivi abbondano di produzioni dal Sol Levante. 
Fra yakuza, jidaigeki e chanbara, spunta un “roman-porno”, nome davvero ben poco giapponese. «Vuol dire stile romantico e pornografico», ci spiega l’autore. «È un genere inaugurato agli inizi degli anni Sessanta dalla casa di produzione Nikkatsu, nel tentativo, riuscito, di superare le crisi in cui versava in generale il cinema giapponese.» 
Forse l’etichetta “roman-porno” non ha l’ufficialità di cui è convinto il giornalista, né sembra destinata a futura memoria come le altre che la circondano, ma è sicuro che quel cinema giapponese a cui si riferisce ha in parte avuto eco anche in Italia. 
«Cossiga aveva scritto un copione degno del film giapponese “L’impero dei sensi”: voleva con Prodi un amplesso di straordinaria fantasia e intensità erotica. A patto che, subito dopo aver raggiunto il culmine, il partner morisse.» Bruno Vespa, La corsa (1998) 
Nel 1963 a Milano e nel 1964 a Roma esplode la passione per qualcosa la cui pronuncia divide l’Italia: il karate... che prima si dice karatè e poi si dice karàte, e ognuno poi lo pronuncia come gli pare. A febbraio del 1964 per la prima volta Diabolik esegue la tecnica marziale che per anni sarà suo marchio distintivo: lo shuto uchi, quel colpo del taglio della mano sul collo della vittima che di lì a poco avrebbe avuto successo anche cinematografico. È il decennio in cui ogni agente segreto dev’essere esperto di arti marziali giapponesi, se vuole conquistare il pubblico, come James Coburn – allievo di Bruce Lee – che si lancia in sgangherate mossette marziali ne Il nostro agente Flint (gennaio 1966, in Italia dal marzo successivo) o Dean Martin che cerca di fare del suo meglio in Matt Helm il silenziatore (febbraio 1966, in Italia dall’aprile successivo). Tutte tecniche giapponesi che nel decennio successivo verranno parodiate dall’ispettore Clouseau nei film de La Pantera Rosa, dimostrando che Peter Sellers era un atleta decisamente migliore dei vari “agenti segreti” del cinema. 

Se però negli anni Sessanta si vuole davvero ammaliare gli spettatori, non bastano le sole arti marziali giapponesi: bisogna andare in loco. James Bond sbarca in Giappone nel giugno del 1967 (in Italia, dall’ottobre successivo) con Si vive solo due volte, mentre la sua celebre controparte francese OSS117 c’era già stato nell’ottobre del 1966 (in Italia, dal marzo 1967) con A Tokio si muore. Non è più l’austero Giappone di Akira Kurosawa che faceva impazzire i cinefili e gli intellettuali sin dagli anni Cinquanta: quella raccontata dal cinema popolare era una terra esotica fatta di sesso e violenza, entrambi finti, entrambi da rivista pulp o da fumettone, e forse proprio per questo irresistibili. Ma che ne pensano i “locali”? Se Kurosawa è una gloria nazionale perché offre al Paese la dignità in tutti i festival del mondo, che ne pensano del nuovo format spionistico, fatto di pistolettate, pugni in faccia e donnine svestite? Dicono che è il momento di cominciare a dare all’Occidente quello che vuole. 
Nel marzo del 1965 arriva in Italia Tokio: divisione criminale (1962) di Shinji Murayama, a testimonianza di un interesse nostrano così grande da essere disposto a ciò che gli italiani odiano di più al mondo: vedere attori con gli occhi a mandorla. Che sono tutti uguali e non li distingui, ’sti cinesi... Il razzismo e l’ignoranza che gli italiani dimostreranno verso questi prodotti non ostacolerà il loro successo. Perché certe “parti anatomiche” non hanno distinzione di razza... e tirano più di un carro di buoi. Anche di buoi giapponesi. 
Insieme alle leggende del Medioevo giapponese, alle arti marziali e alle violente storie di mala, ci arriva anche il sesso: vero o presunto. Dalla torbida relazione in bianco e nero sommersa da cumuli sabbiosi de La donna di sabbia (febbraio 1964, in Italia dal gennaio 1968) al più ammiccante Le calde amanti di Kyoto (marzo 1964, in Italia dal luglio successivo: «Il film più peccaminoso, sexy, vietato, sconcertante della cinematografia giapponese»); da I proibiti amori di Tokio (luglio 1964, in Italia dall’agosto 1965: «un film scabroso, violento. Tutto proibito») a Sesso perduto (agosto 1966, in Italia dal maggio 1968: «Un argomento scottante portato per la prima volta sullo schermo»), fino a coinvolgere il Premio Nobel Kawabata con un film ispirato ad un suo romanzo: L’amaro giardino di Lesbo (febbraio 1965, in Italia dal settembre 1969: «Amata, desiderata e odiata per la sua bellezza sconvolgente»). 
È arrivato il ’68 e il sesso è libero (o piace pensarlo). Riscuotono sempre più successo i cinema a luci rosse aiutati anche da una certa ideologia di sinistra: la famiglia è un modello borghese opprimente e castrante, mentre il sesso libero – o la sua rappresentazione – è lodato e ben visto. È il momento perfetto perché arrivi in Italia l’opera definitiva sul sesso proveniente dal Giappone. O forse no?
«L’unico film vero sul sesso è “L’impero dei sensi”.» Gianni Amelio alla giornalista Anna Maria Mori, da “la Repubblica”, 1° dicembre 1987 
«Offrendo ad Ôshima soldi francesi», ci spiega Maureen Cheryn Turim nel suo The Films of Oshima Nagisa (1998), «Anatole Dauman gli offrì anche condizioni di produzione che non erano possibili in Giappone, e la consequenziale possibilità di fare un film che non sarebbe mai stato possibile fare nel Giappone di quel tempo.» 
La Turim riporta il succo di una sua intervista con Nagisa Ôshima svoltasi nel 1984. In essa il regista racconta dello spiazzamento degli europei davanti ad un titolo che, tradotto, indicava una “Corrida d’amore”: più di una persona gli ha risposto «Non sapevo che aveste le corride, in Giappone». A risolvere la situazione europea ci ha pensato lo stesso produttore Dauman, che approfittando del successo del libro di Roland Barthes, il cui saggio sul Giappone si intitola L’empire des signes (1970; in Italia, L’impero dei segni, Einaudi 1984), optò per L’empire des senses. «Non male come idea, no?» è il commento finale di Ôshima. 
La prima notizia del film arriva in Italia lunedì 17 maggio 1976, quando al cinema sono programmati film del tenore de Il solco di pesca («I due sex-simbols del cinema italiano per la prima volta insieme in un film di sconvolgente erotismo»), Campagnola bella («Successo delle contadine procaci e dagli istinti incontenibili e delle decisioni rapide. Vietato anni 18») e Casa di piacere («Una prima visione stuzzicante, un tester erotico a forti sensazioni hard-core. Decisamente vietato ai minori di anni 18»). Inoltre si anticipa che il giovedì successivo uscirà Giovannino col giovane Christian De Sica («Dopo “Paolo il caldo”, “La cugina”, “Malizia” e “Peccato veniale”, il nuovo divertentissimo erotico-sentimentale film tratto dal più bel romanzo di Ercole Patti»). Non stiamo parlando di losche sale dei bassifondi, piccoli cinema semi-nascosti dediti alla pornografia, bensì sale cittadine di cui si occupa una ricca distribuzione in grado di assicurarsi grandi pubblicità sui giornali. 
In questa data il giornalista Piero Perona, inviato speciale del quotidiano “La Stampa”, informa i lettori delle novità dal Festival di Cannes in corso in Francia. Ecco le sue parole per descrivere l’evento del giorno prima: 
«La massa dei festivaliers, esaurita la reazione troppo esigua dei due lungometraggi in concorso, si riversa in un cinemino della rue d’Antibes. Tutto esaurito mezz’ora prima dell’inizio, la coda che blocca il traffico, una protezione supplementare promessa e replicata. Siamo d’accordo: si inaugura l’attesissima Quinzaine de réalisateurs e il nome del regista Nagisa Oshima è il più autorevole nel Giappone e nell’Oriente grazie a L’impiccagione, Sulle canzoni sconce giapponesi e La cerimonia. Tuttavia il titolo L’impero dei sensi e alcune dichiarazioni di Pierre De Mandiargues suggeriscono che ci troviamo di fronte a un’opera particolare. Le previsioni sono rispettate e il parterre si trova a contatto con il cinema d’autore più spinto nella recente storia dello spettacolo.» 
«I due interpreti Eiko Matsuda e Tatsuya Fuji, bellissimi, raffigurano una coppia di amanti che si vogliono furiosamente bene. Fanno di tutto, tutte le ore. Non simulano mai. Del resto il primo piano non mente e piuttosto ingrandisce le passioni e i desideri. Finché la donna (pare che si tratti d’un fatto vero degli Anni Trenta) soffoca l’innamorato che le aveva concesso qualsiasi licenza. Quindi ne taglia con un coltellaccio la parte migliore e vaga con quella stretta al petto per quattro giorni.» 
Tipico del grande giornalismo italiano svelare il finale con abbondanza di dettagli. 
«Al termine, domande a Oshima. Un raffinato non ha capito se il regista guidava rigorosamente gli attori oppure li lasciava liberi di improvvisare. Silenzio. Tra le file gorgoglia una risata livida.»

Sembra alquanto deludente il primo contatto de L’empire des sens con l’Italia, e la situazione non sembra cambiare il 21 maggio successivo, quando un altro inviato de “La Stampa”, il romanziere e giornalista Giovanni Arpino, giudica la fine della rassegna cinematografica all’insegna di un concetto curioso: «il tramonto dei film sul sesso». 
«L’età dei “guardoni” non è ancora entrata in crisi, ma le fortune del cinema erotico certamente sì.» Arpino ci racconta che le varie edizioni del Festival di Cannes fino a quel momento ci hanno proposto addirittura «una valanga, un uragano di pellicole “porno”», ah però! È una critica? Non sembra, visto che la lamentela verte sul fatto che quest’anno siamo un po’ poveri sul fronte pornografico: «O si salva per la prestazione di qualche “maestro” o molla gli ormeggi di fronte a un mercato che perde colpi ed interesse.» Il problema dunque non sta nella qualità ma nella quantità: che fine ha fatto la Cannes sforna-porno? In questa edizione tocca accontentarci dell’ungherese Miklós Jancsó, «che dopo tanti film in patria è approdato in Europa per speculare, con borghese cinismo, sulle deviazioni e i pruriti del mondo occidentale. La sua recente opera (che da noi gira in versione mutilata) s’intitola Vizi privati, pubbliche virtù.» 
«La caduta dell’erotismo era nell’aria. Non è bastato il giapponese Oshima con il suo Impero dei sensi a ridargli quota. In questo film una coppia di amorosi si consuma per giorni e giorni, fino all’omicidio commesso dalla donna sull’uomo consenziente. Segue la castrazione del protagonista, mentre “lei” se ne andrà in giro, verso il nulla, tenendo stretto l’inutile bottino sanguinoso.» 

La chiosa finale non può che essere in sintonia con l’epoca: «Il film è piaciuto a più di una femminista, ma sappiamo che alle femministe a oltranza manca ancora il conforto di un moderno filosofo, che spieghi loro il significato di certi complessi castratori ed autocastratori.» Ah, il grande giornalismo italiano politicamente scorretto: a forza di trovare in edicola giornalucoli umidi di saliva linguale, un’epoca in cui a sorpresa si sparava a zero sulle femministe – così, per il gusto di sparare – fa sospirare. 
Ciò di cui si cruccia Arpino non è la «parabola del cinema erotico», una delle cui cause (ci viene spiegato) è la saturazione di un mercato sciabordante di titoli, bensì il fatto che «è mancata una definizione dell’erotismo contemporaneo, malgrado l’infinita applicazione più o meno pseudo-sociologica. Caratteristica tradizionale dell’erotismo fu quel certo abbraccio fra amore e morte che i più bravi mestieranti del cinema ancora adottano, con vizi privati, degenerazioni settecentesche, castrazioni volontarie o quasi. Siamo ancora alla cornice di Sade o del funereo Bataille, dunque: il cinema ha messo in colori una filosofia da archivio, che il meccanicismo e la duplicazione di ogni rapporto amoroso non riscattano.» 
Dopo essersi lamentato che le platee dei cinema porno sono vuote, e i pochi spettatori sonnecchiano davanti agli amplessi – ridendo se i protagonisti hanno i piedi sporchi! – Arpino ci fornisce un’informazione preziosa. «Dei trecento film in programma [a Cannes] solo uno ha la chiara definizione di prodotto pornografico. Il resto cerca di contrabbandarsi come opera d’arte, e si sforza di rimettere insieme vecchi canovacci: peccato sì, ma in crinolina, stupri e incesti, ma in una corte reale, sfiancamenti progressivi del piacere, ma incorniciati negli Anni Trenta. Sennò, senza queste salse arcaiche, l’arrosto “porno” non lo vuole più nessuno.» 
Dov’è finito lo studio delle perversioni sessuali? Ora si è mascherato da arte e gira con la puzza sotto il naso, disdegnando i ruspanti cinemini porno. E il piacere? Ha lasciato il posto all’annientamento. «È un approdo senza risorse: si chiude con una rinuncia totale ed un privato massacro edonistico. La voluttà ha travolto le regole libertine, diventa paranoia e disgusto. Privo d’umana letizia, Eros muore.» Il cinema ha perso la sua “bellezza del diavolo”, conclude Arpino, «che era poi gioventù, fantasia, gioco»: se un film porno non ha questi fattori, sembra di leggere fra le righe, non veicola piacere ma morte.

22 commenti:

  1. Grazie dell'ospitalità e spero che questa ricerca possa essere utile agli appassionati italiani del film ;-)

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    1. A me utile è stata di sicuro. Ero vagamente a conoscenza di questi "dietro le quinte" ma mai prima d'ora ero andato così a fondo nella questione. Grazie a te per il super-contributo!

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    2. P.S.: Quello "sfiancamenti progressivi del piacere" citato da Arpino si direbbe una non casuale citazione del quasi omonimo film di Alain Robbe-Grillet...

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    3. Che film che hai citato, Obsidian, visto non so quante volte... Mi commuovo solo a sentirlo nominare.

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    4. Non so perché ma sospettavo di risvegliare la tua libidine citando "Spostamenti...". Ahaha.

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  2. Sono stato bimbo nei primi anni '70, però ricordo l'onda lunga di quel periodo, con la pagina del quotidiano riservata agli spettacoli cinematografici a Roma in cui venivano elencati molti film che già dal titolo lasciavano capire i contenuti...
    Non sono ancora riuscito a vedere questo film (però stranamente moltissimi anni fa ho visto l'altro ispirato alla stessa storia, quello di Noboru Tanaka, e onestamente lo vidi più con spirito, ehm, da voyeur che da cinefilo).
    Comunque la vicenda di Sada Abe è stata di ispirazione per diversi artisti, anche non giapponesi. Il fumettista Igort gli dedica alcune pagine nei suoi "Quaderni giapponesi".

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    1. Immagino ti starai riferendo a quegli esilaranti titoli dei film a luce rossa che apparivano sui quotidiani, che erano una parodia di titoli normali... mi ricordo di robe come: "Eiaculazione da Tiffany", "Il silenzio degli impotenti", "Io speriamo che me la chiavo", "L’importanza di chiavarsi Ernesto", "Figa da Alcatraz"... Ah quante risate!

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    2. Anche quelli ;-)
      Però ricordo pure cose mooolto più esplicite tipo "Quel particolare piacere" o "La ninfomane"...

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    3. Se li ricordano in tanti, ma di gente che li ha visti non ne conosco nessuna...

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    4. E "La parte più appetitosa della femmina", non lo vogliamo citare?

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    5. Aporcalypse now, Analcord, Incontri ravvicinati del terzo dito...

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  3. Non ricordo i titoli di quei film a luce rossa sui quotidiani ....forse ero troppo piccolo .
    Ricordo che sui giornali scrivevano solo film V.M 18 in quei cinema che proiettavano per lo più film porno.
    Comunque l’artico è interessante, oddio immaginare un amplesso tra Prodi e Cossiga è più da Horror anche se ispirato a L’impero dei sensi 😀
    Stiamo a vedere le prossime puntate poi se riesci a condensare in tre capitoli quella che immagino sia un po’ anche la storia della censura in Italia sei veramente bravo.
    Chissà quanto ci sarebbe da scrivere a proposito.
    Già il divieto ai minori di 14 oltre ai 18 , non sto parlando chiaramente di film porno , galvanizza la distribuzione di tante opere cinematografiche qua nel nostro paese.
    L’impero dei Sensi non l’ho visto ...ma conosco la storia di Sada Abe .
    Ciao

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    1. Ti chiedi se riuscirà a condensare in tre capitoli la storia della censura in Italia? Ti rispondo subito io: no.
      Il fatto poi che l'articolo sia stato diviso in tre (quando avrebbe potuto dilatarsi in cinque) è stata una mia brutalità...

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    2. Temo che la storia della censura italiana si possa sovrapporre alla storia del cinema: è un'attività talmente ramificata che è impossibile riassumerla. Però oggi i tanti database disponibili ed attività meritorie che una distribuzione distratta lascia alla pirateria ci permettono, se non di capire, almeno di intuire il titanico lavoro censorio adottato a tutti i livelli.
      Sarebbe bello dire che la censura bacchettona ha tagliato con l'accetta contenuti scabrosi o anche solo controversi, invece la sensazione disarmante è che sono lontani quei "bei tempi": in periodi più vicini a noi la censura ha tagliato semplicemente per ridurre il prodotto ad una tempistica compatibile con il numero di proiezioni giornaliere, gli stacchi pubblicitari o addirittura i problemi di traduzione. Bei tempi quanto si censurava solo il sesso...

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  4. Lucius sta diventando sempre più bravo,ormai è il mio guru personale per quanto riguarda i retroscena filmici.

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    1. ahahah, ti ringrazio Nick, ma qui in effetti più che retroscena sono informazioni "in chiaro" che però nessuno si è mai preso la briga di andare a raccogliere, spesso dando per scontato che quando un film esce in tutto il mondo... esca anche in Italia. Grande errore! :-P

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    2. L'unico problema, Nick, è quello di capire su quale blog Lucius pubblicherà domani il suo prossimo post...

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    3. Per la tua grande gioia, TOM, domani su NonQuelMarlowe c'è un'altra intervista ad un blog di recensioni romance ^_^

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  5. Posso soltanto apprezzare questo "spin-off", dedicato a un film che vidi già negli anni '70, anche se mutilo di alcune scene che ho avuto modo di vedere solo molti anni dopo. E ancor di più apprezzo che sia inserito nella cornice più generale del cinema dell'epoca. L'accoppiata Lucius/TOM gli fa un baffo a quella Prodi/Cossiga ;-)

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    1. Nel senso di un "un amplesso di straordinaria fantasia e intensità erotica"? Beh, io a Lucius ci voglio tanto bene, ma non così tanto...

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    2. ahahahaha Non avrei mai creduto che una citazione di Bruno Vespa potesse essere così galeotta :-D
      Confermo la stima e l'amicizia con TOM ma rigorosamente su un piano platonico :-P

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