venerdì 19 ottobre 2018

L’impero italiano dei sensi (Pt.2)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Il Festival di Cannes finisce e il bilancio tocca a Piero Perona, sulle pagine di “Europa” di sabato 29 maggio 1976: «Costituisce la gioia di chi ama il cinema, Nagisa Oshima scruta senza morbosità le follie erotiche di due amanti che si dannano da soli.» Poche parole, ma almeno lusinghiere. 
Lo stesso giornalista il 21 giugno successivo ci racconta degli “orientamenti dei produttori per la prossima stagione”, sdoganando un concetto a cui Arpino aveva già accennato: il cinema porno si sta trasformando in “film sexy d’autore”. «In ogni parte del mondo si avvertono i segni del declino della produzione pornografica. Nei Paesi del Nord Europa, negli Stati Uniti stessi i film spinti dove l’atto sessuale non è finto ma consumato, vengono relegati in sale particolari sempre meno frequentate. Linda Lovelace, interprete dello scandalo in Gola profonda, gira con Linda for president una scollacciata satira politica che tuttavia potrebbe benissimo comparire salvo il divieto dei minori. La Francia scoraggia il lancio del pornofilm con una serie di misure a carattere economico.» 
Pare che all’epoca la Francia avesse imposto tasse più onerose ai film dichiarati pornografici, costringendoli così ad un ghetto a loro riservato: se questo viene specificato, siamo autorizzati a pensare che in Italia non ci siano queste iniziative. «Da noi infine le leggi del mercato stanno per decretare la fine della programmazione sconcia: una zia scaccia l’altra, una camerierina vogliosa si confonde con la vicina dalle tendenze particolari, una brava maestra vale – come “nave scuola” – quanto la sua supplente. I titoli e gli argomenti, troppo simili e troppo improvvisati, si confondono con il risultato di non fare più sensazione.»
È incredibile leggere queste parole all’alba dell’esplosione della commedia all’italiana, scollacciata e fintamente disinibita: sta per arrivare una stagione di comici in mutande e soubrette in reggicalze che inonderanno di titoli ogni sala per almeno i dieci anni successivi, promettendo sesso senza mai realizzarlo. Diciamo che la “spinta” rimane, malgrado la si dia per defunta nel ’76, ma gli effetti sono totalmente diversi. 
Anticipando l’arrivo in sala de L’impero dei sensi, Perona ci racconta le parole dello stesso regista Ôshima. «Per il popolo giapponese l’amore carnale e l’amore spirituale sono legati insieme. Invece le classi dominanti tendono a separarli. Per giunta Sada, che rievoca una figura e i fatti realmente attinti dalle cronache del ’36, ha una tale personalità da opporsi allo spirito militaristico che allora falsava l’immagine del Paese.» 
«Nagisa Oshima inventa un erotismo che sa di funebre, alla Bataille o alla Artaud», conclude il giornalista italiano. Il film è stato lanciato: ora tocca ai distributori italiani portarlo in sala per mostrarlo a quegli spettatori così interessati al porno come vengono ritratti. Le cose, però, non vanno proprio così... 
«In Francia hanno fatto un referendum sui film più erotici. È risultato primo “L’impero dei sensi”. E secondi, a pari merito, il mio “La chiave” e “Gli uccelli” del maestro americano [Hitchcock].» Tinto Brass alla giornalista Anna Maria Mori, “la Repubblica”, 28 febbraio 1987 
Il maggio di Cannes è giunto alla fine e ora ci troviamo in quel territorio di nessuno fra i festival e le sale, fra i giornalisti e gli spettatori, fra chi deve criticare e recensire un film e chi va in sala a fare commenti fra amici. Siamo cioè in quel momento in cui il film ha finito di girare per festival e sta per arrivare nei cinema del Paese, quando cioè dovrà essere giudicato da chi davvero comanda. I critici possono dire quello che vogliono, sono chiacchiere: ciò che conta nel cinema sono i biglietti venduti. Se la gente non va al cinema, il film in questione può essere un capolavoro ma lo stesso rimane un flop. E quindi comincia la grande specialità italiana: la campagna elettorale.

Se organizzassero delle Olimpiadi della Campagna Elettorale l’Italia si farebbe costantemente onore, perché sfrutta la propria grande e fantomatica creatività proprio nel raccontare chiacchiere ai propri (e)lettori. 
Così il 2 agosto 1976 arrivano notizie da Tokyo, dove la polizia avrebbe sequestrato tutte le copie di un libro che presentava non solo la sceneggiatura de L’empire des sens ma ben venti pagine di fotografie. Fine della notizia. Da che fonte arriva? Chi ha pubblicato questo libro, una casa editrice indipendente o legata alla produzione del film? È cioè un’iniziativa privata o fa parte della campagna di promozione ufficiale? Chi ha curato quest’edizione aveva il consenso degli autori del film? E il «sequestro censorio» è avvenuto solo a Tokyo o in tutto il Giappone? Basta, è inutile andare avanti, il grande giornalismo italiano non fa domande e non cerca risposte: si limita alla propaganda. 
Questa notizia ha il forte sapore del sensazionalismo per far montare l’interesse nei confronti del film, in arrivo nelle sale, visto poi che è apparsa sullo stesso quotidiano “La Stampa” che dieci anni prima voleva farci credere che spie francesi erano arrivate di notte nella casa editrice milanese Ribalta per ricevere in dono le prime copie italiane dei romanzi di Francis Coplan, che dichiaravano di raccontare vere missioni sotto falso nome.

Come sempre, però, la realtà nasce dall’immagine: la finzione viene sempre prima. Così questa notizia viene ricordata il 28 agosto successivo, dopo che il sostituto procuratore della Repubblica di Trento, Carlo Alberto Agnoli, ha ordinato il sequestro su tutto il territorio nazionale dell’enciclopedia “Vita sessuale”. Si tratta di un’opera francese risalente al 1973, pubblicata in Italia da Mondadori nel 1974, che d’un tratto – secondo Agnoli – «esalta il nudismo» ed è «un chiaro esempio di pornografia perché alimenta la fantasia del lettore». Strano, di solito è l’erotismo che gioca con la fantasia: la pornografia al contrario non le lascia proprio nulla.

La propaganda sta preparando il terreno per un’uscita trionfale de L’empire des sens, l’estate ha montato l’attesa e quindi – com’è consuetudine per i film di Cannes – a settembre i cinema sono pronti per... niente. La macchina si è inceppata, e sebbene ampiamente atteso il film giapponese quel 1976 non si fa vedere in Italia. Perché mostra amplessi troppo espliciti che potrebbero turbare gli spettatori maggiorenni? No, visto che nell’ottobre 1976 la commissione di censura presieduta dallo stesso ministro democristiano Carlo Sangalli che – come vedremo – blocca L’empire des sens dà il via alla distribuzione in sala de La vera gola profonda, titolo italiano che cerca di rettificare l’errore dell’anno precedente di distribuire nei cinema nostrani Deep Throat II con il titolo Gola profonda. Dal 14 dicembre 1976 tornano su grande schermo gli amplessi di Linda Lovelace senza alcun velo né il minimo tentativo di spacciare il film per “arte”: è un film pornografico proiettato fuori dal circuito dei cinema a luci rosse, eppure è considerato meno “proibito” dell’opera di Ôshima.

Il 23 aprile 1977 esce nelle sale italiane il film erotico tedesco Vanessa di Hubert Frank e parte la consueta propaganda sensazionalistica. «Dissequestrato e in libertà provvisoria» strillano le locandine, aggiungendo slogan davvero signorili come: «Donna, non avere paura, il sesso è tuo!» Ma ciò che conta è che, dopo quasi un anno, l’atteso e negato titolo giapponese dev’essere ancora ben noto agli spettatori, perché sulle locandine viene riportata una dichiarazione della rivista “Films Box Office” (chissà se sia vera). Ci viene spiegato che il film tedesco sta «registrando i maggiori incassi anche su mercati tradizionalmente aperti ai films “harde-core”», usando termini inglesi stentati, e per farci capire il successo del film, ecco un paragone: «Giappone: paragone delle prime dieci settimane 1.000.000 di presenze in più per “Vanessa” rispetto a “L’impero dei sensi”» 
Molto facile che siano dati fantasiosi inventati sul momento, ma questa frase è indicativa per testimoniare come il film di Ôshima sia molto noto, sebbene nessuno spettatore italiano l’abbia ancora visto, tanto da diventare pietra di paragone.

Raccontare i problemi di censura dei film erotici è pratica storica del giornalismo italiano, e il 7 maggio successivo una notizia senza firma de “La Stampa” ci informa che L’impero dei sensi «è stato bloccato dalla censura italiana». Visto il «quasi ininterrotto susseguirsi di accoppiamenti e perversioni sessuali, spesso rappresentati attraverso l’esposizione di nudi integrali e di dettagli anatomici», il film è stato bloccato. È comprensibile, il comune senso del pudore va tutelato, anche se curiosamente questa notizia esce insieme all’annuncio di due film che stanno riscuotendo successo in sala: la sensuale danese Lisbeth Hummel ammicca ad un cavallo nella locandina de La bella e la bestia («Fino ad oggi i vostri occhi non avevano mai visto nulla di simile») e la milanese Adriana Asti ammicca all’obiettivo per il suo Maschio latino cercasi («Vi attendono i campioni della risata e del sesso»).

Questi due citati sono però film italiani, figli della grande arte cinematografica nostrana, quindi evidentemente godono di un lasciapassare morale. Invece è svedese il film Taboo di Vilgot Sjoman («Sconcertante! Scabroso! Coraggioso! Strepitosamente provocatorio! Un capolavoro!») che viene presentato il 6 dicembre 1977 come «il film che ha superato lo scandalo di Sweet Movie e L’impero dei sensi».
Insomma, il povero film di Ôshima continua ad essere citato... ma che fine ha fatto? Perché dopo Cannes 1976 ancora non esce nelle sale italiane? Il problema è che una volta tanto gli “strilli” hanno ragione: i problemi di censura sono veri e anche importanti. 
«Alla fine ci hanno invitato a vedere al videoregistratore “L’impero dei sensi colpisce ancora”.» Niccolò Ammaniti, Branchie (1994) 
C’è chi ha definito la Sada del film di Ôshima una ninfomane: questo è un problema per il delicato pubblico italiano del 1976? Ovviamente no: mentre il film giapponese viene proiettato a Cannes, il 21 giugno arriva nei cinema nostrani Le journal intime d’une nymphomane (1973) che viene “ammorbidito” con il titolo Le giornate intime di una giovane donna, così come diventa Clifford Brown il nome del regista, Jesús Franco. Non certo nuovo ai problemi del sesso su grande schermo.

Nel marzo precedente si era riunita la commissione di censura presieduta dal neoeletto Sottosegretario di Stato al Turismo e allo Spettacolo, il democristiano Antonino Drago, ed aveva stabilito che era impresentabile nelle sale italiane Die Blonde mit dem süßen Busen (1972) di Franco, «perché la vicenda è interamente basata su rapporti lesbici crudamente e dettagliatamente rappresentati, tra l’altro, anche con scene di sadismo oltre ai ripetuti primi piani del sesso della protagonista, il tutto sempre descritto con evidente compiacimento». Ad inizio aprile però la commissione si riunisce e visti i tagli applicati alla pellicola – via le frustate, via lo spogliarello, via gli amplessi e i «toccamenti lascivi tra la Cinzia ed Evelina» e varie altre sforbiciate per un totale di 110 metri di pellicola – il 16 aprile il film ottiene il visto per essere proiettato con il divieto ai minori di 18 anni, apparendo in sala il 21 agosto successivo con il titolo Piaceri erotici di una signora bene. Esattamente lo stesso giorno in cui I racconti immorali di Borowczyk (1973) viene presentato con il lancio «dissequestrato e senza tagli»: notizia falsa, visto che nel febbraio precedente il film viene tagliato per 117 metri di pellicola prima di ricevere il visto della censura (presieduta dallo stesso Drago).

Quando dovrebbe uscire nei nostri cinema il film giapponese, dunque, la situazione è abbastanza chiara: nessun problema a presentare pellicole con atti sessuali espliciti, l’importante è che subiscano i tagli decisi da una commissione di censura. Poi ci pensa il marketing, e se i tagli ci sono stati si scrive in locandina “senza tagli”, se invece il film non ha avuto alcun problema... lo si inventa, perché un problema di censura “vende” sempre. Così per esempio il 18 marzo 1976 esce Kitty Tippel (1975) di Paul Verhoeven non toccato dalla censura italiana, che ne ha riconosciuto «i pregi veramente artistici di esso sia per la spiccata recitazione degli attori sia per la ricostruzione degli ambienti dell’epoca», ma il lancio non resiste a vantare un’incriminazione per oscenità.

Il problema de L’empire des sens è che la prima commissione del visto censura riguardo L’empire des sens si riunisce solamente il 18 aprile 1977, quasi un anno dopo l’apparizione del film a Cannes, senza dare alcuna spiegazione di questo lungo intervallo. Grazie alle preziose informazioni riportate dal database di ItaliaTaglia.it sappiano che quella commissione – presieduta dal ministro democristiano Carlo Sangalli – nega il permesso di proiettare il film in sala. Scopriamo così che, come in pratica sempre accade in questi casi, sono stati richiesti dei tagli al distributore della pellicola, il quale però si è sempre rifiutato di applicarli, adducendo non meglio specificati “motivi tecnici”.

«Preso atto di quanto sopra, la Commissione, sciogliendo la riserva formulata nella precedente seduta, esprime, a maggioranza, parere contrario al rilascio del nulla osta di rappresentazione in pubblico del film “L’Empire des sens” in considerazione del quasi ininterrotto susseguirsi di accoppiamenti e perversioni sessuali, spesso rappresentati attraverso l’esposizione di nudi integrali e di dettagli anatomici dei protagonisti, ciò che unitamente al clima di esasperato erotismo che caratterizza la vicenda, rende il film, nel suo complesso, oltre che nelle singole scene, contrario al buon costume.» 
Non è però detta l’ultima parola, e l’11 ottobre successivo si torna alla carica, stavolta con i distributori disposti a più miti consigli. 
«Visto il film, sentiti i rappresentanti della società distributrice signori Loiacono e Improta, i quali sarebbero disposti ad apportare eventuali tagli, previo beneplacito del regista giapponese del film, la Commissione, a maggioranza, esprime parere negativo per la concessione del nulla osta di proiezione in pubblico per i medesimi motivi già espressi dalla Commissione di 1^ istanza: rappresentazione insistente di accoppiamenti e di perversioni sessuali; clima esasperato di erotismo e scene raccapriccianti, come la deflorazione di una giovanetta con un fallo artificiale; l’accoppiamento del protagonista con una vecchia e l’evirazione finale.» 
Niente anche stavolta. E ormai siamo al 1978. 

La situazione si ingarbuglia quando su “Europa” il 26 aprile 1978 viene lanciato il film Abesada: l’abisso dei sensi: «Derivato da un fatto di cronaca avvenuto a Tokyo nel 1936, il soggetto di Abesada non giunge nuovo per coloro che a qualche festival (o in proiezioni private) ebbero il privilegio di vedere il celebre film di Nagisha Oshima intitolato L’impero dei sensi, segnalato, sì, dalla critica cinematografica italiana ma da quasi due anni irrimediabilmente “fermo in censura” per i tagli che questa impone e la casa distributrice si rifiuta, non a torto, di eseguire. Anche Abesada qualche sforbiciata l’ha dovuta sopportare, ma se il “visto-censura”, appunto, dice il giusto essi non sono rilevanti, una ventina di metri in tutto, corrispondenti a pochi istanti di proiezione. Perché questa severità censoria nei riguardi di Oshima e una certa indulgenza per l’odierno, se il tema è il medesimo?» 
Il film della Nikkatsu è portato in Italia dalla romana VIS Distribuzione Cinematografica nel gennaio 1978, quasi sicuramente per sfruttare l’eco mediatica del film di Ôshima bloccato dalla censura, ma stavolta la commissione di revisione cinematografica – presieduta dallo stesso Sangalli – concede il visto previo due tagli al film: la scena in cui l’uomo ucciso ed evirato è inquadrato a tutto schermo e quella in cui la donna «si massaggia il petto con il membro dell’uomo». 
Il lancio del film, il 27 aprile successivo, è ovviamente roboante: «Dall’inferno dei sensi un amore drammatico che sconvolse il Giappone. Un fatto vero che supera qualsiasi fantasia erotica». Ma questo è niente: le locandine italiane parlano di plagio, parlano di un tal avvocato Shore Attali che davanti al Tribunale di Parigi ha intentato una causa: il film di Noboru Tanaka è uscito più di un anno prima del suo celebre clone di Ôshima! «Tra i “sensi” di Oshima e quelli di Tanaka pare stia per scatenarsi un’autentica guerra di cartebollate» commenta “La Stampa” nel recensire Abesada.

Con perfetto tempismo il 20 maggio del 1978 al Festival di Cannes viene presentato L’impero della passione, ovvio titolo “acchiappone” per il successivo film del regista Ôshima: stando alle cronache, gli spettatori di Cannes prendono d’assalto la sala, incuriositi dall’autore che ha creato tanto scandalo. 
Passa il tempo, il terzo Governo Andreotti lascia il posto al quarto Governo Andreotti e il democristiano Carlo Sangalli lascia il posto all’altrettanto democristiano Marcello Sgarlata, nel ruolo di Sottosegretario di Stato al Turismo e allo Spettacolo. Arriviamo al novembre 1978 e stavolta i tempi sono maturi per un’apertura: «Visionato il film, sentito il rappresentante della società interessata, la Commissione a maggioranza decide di sospendere il giudizio, suggerendo l’effettuazione dei seguenti tagli...» 
La specifica delle scene da epurare la trovate in appendice a questo articolo, ciò che qui conta è che, «accertata l’avvenuta esecuzione dei “tagli” in conformità dei suggerimenti formulati», il 1° dicembre 1978 finalmente il film ottiene il visto censura: «La Commissione, a maggioranza, considerando che nel film in esame tali scene, sia per l’ambientazione esotica, sia per lo stile freddamente oggettivo, sia per l’assenza di ogni vizioso compiacimento, non sono atte a turbare la sensibilità dello spettatore adulto, esprime parere favorevole alla concessione del nulla osta di rappresentazione in pubblico del film, con divieto di visione ai minori degli anni 18.» 
Lo stesso dicembre del 1978 esce l’Almanacco Bompiani (al sostanzioso prezzo di 10.000 lire), volume curato da Natalia Aspesi e da Lietta Tornabuoni interamente dedicato al “culto del corpo”, con le più disparate testimonianze: dalle canzoni di Lucio Dalla ai disegni di Topor alle immagini de L’empire des sens.
È ora che gli italiani sappiano...

14 commenti:

  1. "Basta, è inutile andare avanti, il grande giornalismo italiano non fa domande e non cerca risposte: si limita alla propaganda". Frase, ahinoi, attualissima.
    Davvero altri tempi. Ricordo addirittura un fatto di cronaca avvenuto dalle miei parti, di una casa di distribuzione multata perché il procuratore della repubblica scoperto che avevano distribuito un certo film in versione integrale, senza i tagli decisi dalla censura.

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    1. Per passione mi occupo spesso di truffe librarie, e la costante è sempre quella: non esiste un solo giornalista che faccia una domanda. Non dico una domanda scomoda, che sarebbe chiedere troppo, ma una semplice domanda che spetterebbe al suo mestiere, cioè di intermediazione fra il lettore e la notizia. Arriva uno e dice ha trovato un libro di magia dimenticato: gli vuoi chiedere dove l'ha trovato? No, nessuno glielo chiede.
      Per i miei post sul Zinefilo cerco sempre notizie sulla distribuzione dei film ed è disarmante scoprire come nessuno sappia niente: è tutto a scompartimenti stagni e ogni giornalista ripete quello che ha detto il giornalista precedente, nessuno controlla, nessuno chiede. E' ignoranza allo stato puro che peggiora volta per volta.
      Nel mio saggio su Shakespeare mi sono divertito ad avanzare un'ipotesi balzana (ma neanche tanto): visto che del Grande Bardo non si sa NIENTE (e quando dico NIENTE intendo NIENTE) prima del 1700, quando cioè un suo biografo d'un tratto cominciò a sparare le notizie più disparate (senza alcuna fonte), mi chiedo se sia possibile che in seguito giornalisti, critici e biografi si siano rifatti al fantasioso autore del '700 senza andare a cercare conferme. (Visto che conferme non ne esistono neanche vagamente).
      In Italia fa scienza sanza lo ritener l'aver inteso, con buona pace di Dante :-P
      Tornando al film, non escludo che sia esistita qualche proiezione priva del visto censura - visto che come mi confermi non era impossibile ignorare i "divieti" - ma nel caso non ha certo lasciato traccia.

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    2. A proposito del Bardo di Avon, più di uno scrittore e più di un ricercatore ha avanzato l'ipotesi, affascinante certo ma difficilmente verificabile, che Shakespeare sia stata in realtà un'identità fittizia attraverso la quale un' altra famosa personalità che però faceva ben altro (si è detto di tutto, si sono fatti tantissimi nomi)si divertiva a far uscire le sue creazioni.

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    3. Sono deliziose le varie ipotesi sulla vera identità di Shakespeare, e tutte accomunate dalla totale assenza di prove: e se prove ci sono, sono fasulle. Visto che il buon William è riuscito nell'incredibile impresa di non lasciare la minima traccia del suo passaggio, ognuno può dire quel che vuole: anche perché - torniamo al discorso - nessuno fa domande. Recentemente hanno aggiunto un dramma shakespeariano, dal passato molto dubbio, ma nessuno ha fatto domande: c'è un'opera in più nel canone, perché tizio ha detto che è "vera". E chi è tizio? Nessuno l'ha domandato...

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  2. Grazie sempre per l'ospitalità e spero stia montando la suspense per il destino italiano di questo film :-P

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    1. Quasi quasi rimpiango di essermi letto l'articolo tutto d'un fiato, dall'inizio alla fine... :) - La prossima volta facciamo che mi mandi i word dei tuoi guest post a puntate.

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  3. 1 dicembre 1978... pare che finalmente io stia per entrare in scena nell'articolo, visto che questo film ricordo benissimo di averlo visto negli anni '70 ^__^

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  4. Ciao ,se nessuno fa domande le faccio io..;)
    Ci son dei punti che non mi son chiari.
    Parto da una premessa.
    Ogni volta che sento parlare de L’impero dei sensi mi viene in mente L’ultimo tango a Parigi di Bertolucci.
    Penso che i due film abbiano in comune il mito.
    Anche se personalmente ho sempre sentito parlare negli anni di più del film con Marlon Brando che dell’altro.
    Alla luce del Dvd che ho visto di Bertolucci e dell’articolo che appassionatamente sto leggendo a proposito dell’Impero dei sensi giungo alla conclusione che se il film giapponese è stato “boicottato” dalla censura di allora forse c’èrano delle tensioni politiche tra il nostro paese e il paese del sol levante..che non centravano niente con il film ma però pesavano sul nulla osta alla proiezione nei cinema?
    Però aspetto la terza parte per sapere le risposte.

    È curioso come nel 76 a Cannes si parlava del film di Ôshima e in Italia la censura aveva deciso per il rogo della pellicola di Bertolucci.
    Ma nel 72 il film era comunque uscito in Italia e per un anno era stato distribuito nelle sale con enorme successo di pubblico ( secondo Wikipedia ) poi è stato sequestrato...ma un anno di vita nel cinema italiano l’ha avuto.
    La domanda viene spontanea...cambieranno le commissioni di censura , non cambieranno i politici , non cambia il pubblico e nemmeno in 4 anni possono cambiare usi e costumi degli italiani...e allora perché accanirsi così pesantemente con sto film?
    Perché non dargli la stessa possibilità che hanno dato a Ultimo tango?’
    Una visione integrale seppur per breve tempo...
    E poi non capisco una cosa .
    C’è stato un tira e molla tra censura e distribuzione per far uscire il film tagliato o meno.
    Parlo da ignorante, il mio è un ragionamento da garzone di bottega ma visto l’enorme impatto mediatico che son riusciti a creare con l’attesa di questo film.
    Il distributore lo poteva far uscire “tagliato”, hai spiegato bene i vari escamotage che potevano trovare per non diminuirne la credibilità...agli italiani sarebbe sicuramente andato bene lo stesso...perché avrebbero avuto la scusa di andarsi a vedere un film “porno “ alla luce del sole senza sentirsi giudicati.
    Poi si sarebbero presi la fregatura lo stesso ma comunque il film avrebbe portato incassi e soldi nelle tasche di qualcuno no?
    Censura o meno.
    Ciao




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    1. Ciao, Max ;-)
      Guarda, non ho studiato la distribuzione del film di Bertolucci quindi non so farti paralleli: magari se TOM è disposto ad ospitarmi potrei tornare a raccontare anche i problemi di quel titolo ;-)
      Non credo si possa parlare di problemi "politici", uno dei punti nodali è che la censura italiana imponeva dei tagli che i proprietari del film non volevano fare, al contrario di tutti gli altri film che vengono tagliati ancora oggi. E non era tanto questione di sesso - come visto, usciva di tutto e di più, cose che oggi sarebbero vietatissime e tagliatissime - bensì il forte impatto di alcune scene molto forti.
      Una protagonista che eviri in primo piano il protagonista e poi si passi il membro sul petto non ha a che fare con il sesso né con l'horror: è la somma moltiplicata dei due e i censori non volevano far passare la scena senza tagli che la ammorbidissero.
      Non so se hai visto il divertente film Netflix "Il pacco", che dimostra l'incredibile varietà di gag che si possano inventare intorno ad un pene reciso, nel viaggio per portarlo al legittimo proprietario in attesa di trapianto. Potrebbe sembrare che viviamo in tempi spregiudicati per cui la scena di un giovane personaggio che succhia un pene reciso per asportarne il veleno di un serpente sia lecita, ma per quanto di forte impatto è una scena comica: la paura dei censori è l'emulaziome. A nessuno verrebbe in mente di succhiare un pene troncato, ma una donna che eviri il suo amante per giocare poi col membro... be', se Lorena Bobbit ci ha insegnato qualcosa è che qualcuna ci pensa :-P
      Per il mio blog in pratica leggo "referti" censori quasi ogni giorno, ed è quasi sempre dichiarata la sensazione dei censori che una tal scena horror possa generare emulazione negli spettatori. Possiamo discute a lungo se ciò sia vero o plausibile, ma a quanto pare era un elemento importante nelle analisi censorie.
      Non simpatizzo con alcuna censura, soprattutto quella più odiosa fatta dai proprietari stessi dei film (che tagliano scene per permettere più visioni in sala o più spot in TV), ma posso capire l'esitazione di un censore che si trovi davanti un film unico e dalla potentissima forza. Così come comprendo l'impuntarsi nel non ammettere tagli al proprio lavoro. Non avrei voluto stare da nessuna delle due parti del braccio di ferro che durò almeno due anni...
      Infine c'è un termine molto ricorrente nelle censure: "compiacimento", che in fondo rientra nel discorso dell'emulazione. Se nel film mostro quanto sia bello fare un"azione terribile, spingo eventuali spettatori sensibili ad un'emulazione. Si badi, non credo minimamente che questo sia vero, ma è indubbio che ci pensavano i censori.

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  5. Ciao.
    Riguardo al discorso censura in Italia ho letto tempo fa un intervista ad Alberto Farina quando faceva parte della commissione censura ( non so se sia ancora “in carica”) sia per i film da distribuire al cinema che quelli da passare in TV.
    Ricordo che diceva che tra le varie rappresentazioni che ne facevano parte , glii unici dei quali riteneva importante la opinione ,che non considerava suoi antagonisti fossero i pedagogici e chi comunque fosse esperto delle emozioni dell’infanzia.
    Partendo dal presupposto che a priori non avrebbe censurato niente.

    Ma come hai già detto per parlare di censura qua in Italia non basterebbe forse un intero blog a tema ;)

    Credo di capire ( senza aspettare ) la terza parte del capitolo dell’articolo che il problema con la censura dell’ Impero dei sensi sia sostanzialmente la scena dell’evirazione e la paura dei censori di possibile emulazione.

    Mha? Bisogna contestualizzare tutto al periodo storico...oggi la cosa fa un po’ ridere, pensando a quello che “passa” in Tv o al cinema.
    Adesso non ricordo l’anno di uscita di tanti film “mondo movie” o Cannibal movie , ma anche certi noir polizieschi o che ne so quei film che probabilmente Obsidian catalogherebbe come explotion movie non si risparmiavano di certo in scene di violenza molto più disturbanti di quella che si condanna nel film di Oshima e chissà se hanno avuto gli stessi guai con la censura?

    Quello che non capisco è il comportamento della distribuzione di non accettare i tagli al film pur di farlo uscire lo stesso.

    Ma solo per un tornaconto economico...visto che s’era creata l’attesa verso il film e in un certo senso si andava sul sicuro,il successo commerciale del film ( anche se tagliato) avrebbe ripagato la delusione legata agli screzi censori.

    Guarderò “il pacco” su Netflix c’è...me lo son segnato.
    Riguardo a peni evirati a me sinceramente non viene in mente di succhiarli nemmeno se son attaccati al legittimo proprietario 😀😀😀🤣🤣!
    Quindi emulerei ben poco.
    Ricordo una divertente partita a football con al posto della palla un pene evirato , tra i partecipanti c’èra anche il suo proprietario che cercava nel modo più assurdo di riprenderselo per andarselo poi a farselo attaccare in ospedale.
    Era in Street Trash del 1987.
    Ciao


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    1. Citavo appunto quella commedia Netflix per dire che non è un pene mozzato in sé a fare scalpore ma come viene ritratto: finché è commedia nera pure pure, in altri casi genera problemi.
      Comunque la censura è più attiva che mai e oggi ti sogni di vedere cose che vedevamo ancora negli anni Ottanta: in Italia siamo in pieno Medioevo bacchettone dove non si può far vedere nulla per paura che i bambini si traumatizzino, con il risultato che gli adulti non hanno più niente da vedere.
      Segnati ogni nudo esplicito e ben inquadrato che ti capita di vedere in TV (a parte Cielo di notte) o in un film in home video, e poi vienimi a dire quanti ne hai visti :-P

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  6. Non sono sicuro che fosse stata la scena dell'evirazione quella che turbò di più i censori. Per essere chiaro io me la ricordo poco, chiaro segno che (parlo per me) non fu di grande impatto.
    Molto più impattante invece fu l'esposizione degli organi sessuali maschili, che raggiunse il suo climax nella scena della fell4tio e che si concluse con quel rivolino di sp3rma colante dalla bocca di lei.
    Per quanto idealmente sullo stesso piano, la famosa scena del burro di "Ultimo tango" era completamente lasciata all'immaginazione dello spettatore.

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    1. Come dicevo non mi sono mai occupato (né curato) dell'ultimo tango quindi non so fare raffronti.
      L'esposizione di genitali maschili eretti è un chiaro indicatore di pornografia quindi potrebbe essere una discriminante, ma in un periodo - l'abbiamo visto - dove la gente prende d'assalto i cinema a luci rosse e anzi si piange il crollo di quel genere non doveva essere un problema come lo intendiamo noi, soprattutto nei bacchettonissimi anni Duemila.
      Discorso diverso per una compiaciuta esposizione di violenza sessuale, che secondo i censori non può essere mostrata con quei particolari. Sarebbe bastato togliere i particolari e lasciare intatto il resto e non ci sarebbero stati problemi, come non ce ne sono stati in film che hanno mostrato di peggio ma, appunto, in realtà non l'hanno mostrato: l'hanno fatto capire.
      Lo slasher nasce negli stessi anni ed ha subito un mare di problemi con la censura, prima nell'uscita americana e poi in quella italiana, e non parliamo di sesso ma di coltellate e parti di corpo tagliate via. Subito i produttori si stufano e da soli tolgono ogni particolare, lasciando personaggi cialtroni come Michael Myers e Jason a camminare senza meta e senza trama, impossibilitati a fare altro se non agitare coltellacci in aria...

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