C'hanno fregato le borchie? Eh, lo fanno, lo fanno... lo fanno! (cit.)
Pasquale Ametrano, l’emigrante che torna dalla Germania per votare e percorre l’Italia da Nord a Sud verso Matera, sua città d’origine, è un personaggio che destabilizza. Egli è completamente diverso da Furio e Mimmo: questi ultimi non ci danno tregua, strappandoci risate di pancia a ogni piè sospinto. Ogni stacco di regia sulle vicende di Pasquale ci costringe invece a spegnere il sorriso e a pregare che finisca alla svelta quella che, nell’economia del film, è una parentesi catartica (nell’accezione psicoanalitica del termine, ovvero il momento di scarico dell’adrenalina accumulata fino a quel momento).
Durante il viaggio Pasquale viene derubato a ogni sosta, tanto da arrivare a Matera in condizioni disperate. Viene deriso, viene maltrattato, viene emarginato. È la dura legge di chi lascia la propria terra: straniero agli occhi di chi lo ospita e straniero agli occhi di chi lo ha visto andar via. Ennio Morricone è stato bravissimo a sottolineare la tragedia dell’emigrato, inventandosi un tema musicale dal sottile retrogusto western, un tema da “terra di frontiera” che non è solo quella dei primi coloni americani che si spingevano lentamente e dolorosamente a occidente, ma anche la terra franca in cui sono stati costretti a vivere i nostri genitori e i nostri nonni e che solo dopo generazioni, e decenni di impossibili tentativi di integrazione in un tessuto sociale completamente alieno, sono riusciti a sentire propria.
Il giorno che mi hanno proposto di scrivere un pezzo su Ennio Morricone (*), il compositore come sapete recentemente scomparso, mi ha preso un po’ il panico. Conosco solo superficialmente la sua carriera e, come credo sia vero per molti, il tutto si riduce a quelle due o tre basi musicali di certi film western che hanno fatto la storia, ma dei quali non ho mai fatto una malattia.
Di buona lena mi sono quindi messo a frugare su Wikipedia alla ricerca di un argomento da poter sviluppare senza dare eccessivo risalto alla mia ignoranza. Ecco quindi che, tra i mille film ai quali Morricone ha prestato il suo genio, ne ho trovato uno che conosco a menadito ma, nonostante ciò, totalmente inaspettato.
Molti di voi saranno forse sorpresi dal veder pubblicato un post cinefilo che si discosta nettamente da quelli che vengono presentati qui. Niente horror, niente erotismo, niente roba estrema, niente film sconosciuti provenienti da paesi altrettanto sconosciuti che, mi si commenta talvolta, nessuno ha mai visto tranne me.
Sono certo di non sbagliare se dico che “Bianco, rosso e Verdone” è uno di quei film che invece tutti hanno visto e amato, uno di quei film che, porca miseria, non ho ancora trovato qualcuno che non conoscesse almeno di fama, o di cui non conoscesse anche solo una battuta, come la leggendaria telefonata di Furio, personaggio logorroico oltre ogni limite, al servizio percorribilità strade dell’ACI, o il siparietto offerto da “er principe” Mario Brega nella scena dell’iniezione alla Sora Lella (Sta mano po esse fero e po esse piuma: oggi è stata piuma) di fronte a un basito Mimmo, goffo e ingenuo nipote di quest’ultima.
Sono però altrettanto certo che nessuno di voi ricordi una sola battuta di Pasquale Ametrano, il geniale personaggio dell’emigrante, protagonista dell’episodio più spesso e ingiustamente dimenticato o, se non altro, poco considerato nella vasta collezione di maschere di cui è ricco il portafoglio dell’attore romano.
Se non ve ne ricordate nemmeno una non è però colpa vostra, visto che Pasquale Ametrano non proferisce parola alcuna fino a pochi istanti dalla fine quando, in una scena epica, recupera tutto il non detto in pochi secondi.
Pasquale Ametrano, l’emigrante che torna dalla Germania per votare e percorre l’Italia da Nord a Sud verso Matera, sua città d’origine, è un personaggio che destabilizza. Egli è completamente diverso da Furio e Mimmo: questi ultimi non ci danno tregua, strappandoci risate di pancia a ogni piè sospinto. Ogni stacco di regia sulle vicende di Pasquale ci costringe invece a spegnere il sorriso e a pregare che finisca alla svelta quella che, nell’economia del film, è una parentesi catartica (nell’accezione psicoanalitica del termine, ovvero il momento di scarico dell’adrenalina accumulata fino a quel momento).
Visto per la prima volta da ragazzino, l’episodio di Pasquale Ametrano mi appariva come noia allo stato puro; crescendo, e dopo molteplici visioni, ho iniziato ad apprezzarne la qualità che, volente o nolente, ci spinge a confrontarci brutalmente con la realtà di tutti i giorni, quella stessa realtà da cui tra l’altro provengono più o meno tutti i personaggi dell’attore e regista romano.
Nella fattispecie, la realtà di Pasquale Ametrano è quella dell’emigrazione; gli esodi di massa dal continente africano, dei quali siamo testimoni in questi ultimi anni, non erano ancora immaginabili nel 1981, anno in cui “Bianco, rosso e Verdone” fu girato: l’emigrazione di allora era quella del meridionale che lasciava il suo paese natìo per cercare lavoro in una delle grandi industrie del nord, Milano e Torino in primis.
Un emigrante che era figlio e nipote di quegli emigranti che all’inizio del secolo avevano affrontato un viaggio ancor più drammatico verso il nuovo mondo. Quanti di noi, ascoltando le voci degli anziani, hanno saputo di quel tal parente, di cui spesso non ci si ricorda il nome, che si è trasferito in America? Credo tutti, e come tutti anch’io, per un attimo, avevo accarezzato l’idea dello “zio d’America” che, al capolinea della propria vita, si sarebbe ricordato delle sue radici nel testamento. Irreale come ipotesi, buona solo per certi film romantici. La realtà è che lo “zio d’America”, giustamente, si è dimenticato di noi come noi ci siamo dimenticati di lui. È forse in questo aspetto che va ricercato il significato del prolungato silenzio di Pasquale Ametrano: chi è stato dimenticato non esiste, e chi non esiste non parla. E se un giorno uno zio d’America o un suo discendente dovesse bussare alla nostra porta di casa quasi certamente non lo faremmo entrare, o sbaglio?
Durante il viaggio Pasquale viene derubato a ogni sosta, tanto da arrivare a Matera in condizioni disperate. Viene deriso, viene maltrattato, viene emarginato. È la dura legge di chi lascia la propria terra: straniero agli occhi di chi lo ospita e straniero agli occhi di chi lo ha visto andar via. Ennio Morricone è stato bravissimo a sottolineare la tragedia dell’emigrato, inventandosi un tema musicale dal sottile retrogusto western, un tema da “terra di frontiera” che non è solo quella dei primi coloni americani che si spingevano lentamente e dolorosamente a occidente, ma anche la terra franca in cui sono stati costretti a vivere i nostri genitori e i nostri nonni e che solo dopo generazioni, e decenni di impossibili tentativi di integrazione in un tessuto sociale completamente alieno, sono riusciti a sentire propria.
Non è mia intenzione portare questo discorso sullo scenario odierno, nel senso che tutti siamo in grado di guardare i telegiornali ed esprimere le nostre opinioni senza che io stia qui a perderci tempo. Questo blog, tra l’altro, preferisce evitare qualsiasi incoraggiamento a politicizzare, da una parte o dall’altra, i temi legati a questo o a quel fenomeno. Anche perché la figura dell’emigrante, e quindi dell’emarginato, ben letto da Carlo Verdone, si può spingere su numerosi altri livelli. Emarginato è chiunque non si adegua, per necessità o volontà propria, ai canoni della vita civile. Senza scomodare i casi più ovvi, come quello dei senza tetto, emarginato è anche colui che in una vita apparentemente normale non riesce a comunicare. Capita a scuola, così come capita in ufficio.
Spesso certi silenzi “alla Ametrano” sono sintomo di un malessere interiore che non traspare e che trasmette un messaggio che, dall’esterno, è facilissimo travisare. Il tema dell’emigrante di Morricone trasmette anche questo, un brutale senso di infelicità che è al tempo stesso un grido di protesta, e che si concretizza nello sfogo finale citato in precedenza. Uno sfogo manifestamente inutile, come inutile è il grido di dolore di un insetto schiacciato dalle nostre suole. Non so se Ennio Morricone avesse in mente tutto questo il giorno in cui Verdone gli chiese di accompagnare il viaggio di Pasquale Ametrano dalla Germania alla Basilicata, ma mi piace pensare che nulla sia stato lasciato al caso. Lo scorso 6 luglio il compositore romano a suo modo è emigrato anche lui, forse nell’unico luogo in quest’universo che, come suggeriva il grande Totò, pone fine a tutte le disparità.
(*) Qualche tempo fa era stata pianificata una data in cui alcuni blogger avrebbero speso all'unisono il loro tempo e il loro spazio in ricordo di Ennio Morricone, il compositore romano recentemente scomparso. Disguidi organizzativi hanno poi mandato in malora l'evento, che non si è più realizzato. Il mio contributo, fatto più unico che raro, l'avevo però preparato con largo anticipo... ed eccolo qua.
Questa non l'avrei mai immaginata (anche se sapevo che Morricone, ottimo professionista, non ha mai avuto atteggiamenti snob e non ha mai negato la propria collaborazione sulla base del livello di intellettualismo del film; d'altronde, gli stessi spaghetti-western non è che fossero considerati alta cinematografia i primi tempi in cui uscivano).
RispondiEliminaOvviamente il film l'ho visto e ricordo benissimo Ametrano. Proprio solo non è, almeno nella scena iniziale in cui la moglie tedesca gli dice che lo ama ogni giorno di più. Però, per quanto la Germania gli abbia dato lavoro e famiglia, lui non sarà comunque mai un tedesco. E lo si vede bene in una scena geniale secondo me, quella in cui in un gruppo di turisti germanici uno inizia a raccontare una storiella (che nessuno di noi capisce, tranne quei pochi che hanno studiato il tedesco) e Ametrano ride insieme a loro avendo capito ciò che dicevano, ma i germanici si girano versano di lui seri seri come a volergli dire: che caspita vuoi tu, italiano?
Ecco, sì, come dicevi nel post è la situazione triste dell'emigrato: sarà sempre uno straniero nel paese dove si è stabilito, ma sarà un po' "straniero" anche quando tornerà nel suo paese di origine.
La scena a cui ti riferisci, quella dell'incontro con i turisti tedeschi, è assolutamente la chiave di volta della vicenda di Ametrano. Senza di essa l'episodio sarebbe probabilmente precipitato nella dozzinalità e noi non saremmo qui a parlarne. La vita dell'emigrante, ci spiega Verdone, è nella sostanza una vita di solitudine. Vero è che il protagonista è riuscito a trovare in Germania una compagna di vita, ma è anche vero che nel dipingerla come l'ha dipinta, con tutti i luoghi comuni del "crucco", ce la rende completamente aliena.
EliminaMi è piaciuto questo tuo articolo su questo personaggio che è forse uno dei miei preferiti (tra l'altro io e mia madre chiamiamo i pantaloni a quadretti "pantaloni alla Pasquale") perché è in effetti intriso di tristezza e ti chiedi chissà cosa nasconde dietro quei silenzi. Ed è vero, gli emigrati o coloro che nascono in un paese da genitori stranieri sono doppiamente emarginati
RispondiEliminaI pantaloni a quadrettoni, come la maglietta bianca sollevata sul davanti, sono gran bell'esempio di quanto Verdone sia sempre stato attento nel caratterizzare i suoi personaggi. Il vero capolavoro è però l'Alfasud rossa con i sedili di pelliccia (che poi tra l'altro l'Alfasud stessa è l'auto "emigrante" per autonomasia, visto che veniva fabbricata negli stabilimenti di Napoli)...
EliminaTre considerazioni: la prima la conoscerai di sicuro perché ne hanno parlato anche nell'ultimo numero di Nocturno Cinema, a quanto pare lo stesso Morricone si era stancato di parlare (e di rispondere alle domande in merito) solo delle colonne sonore dei western leoniani, in quanto avrebbe preferito poter parlare anche delle colonne sonore di film come quello di Verdone che lui amava tutte indistintamente. Seconda considerazione...se ci fai caso, un legame con Leone c'è comunque in questo e in molti altri film del comico romano ed è proprio la presenza di Mario Brega, che di quel mondo, dei western leoniani aveva fatto parte. Come sai Brega era un ex macellaio prestato al Cinema e secondo me è uno dei tanti, troppi caratteristi del nostro cinema non apprezzato quanto si dovrebbe. Terzo dettaglio, Verdone prima dell'uscita del film ne ffettuò una visione privata con alcuni amici e colleghi, a quanto pare alla fine di questa proiezione casalinga il grande Alberto Sordi lo riempì di complimenti per tutti e tre i personaggi interpretati in particolare proprio per l'emigrante.
RispondiEliminaMario Brega, Elena Fabrizi, Angelo Bernabucci, e al momento me ne scordo cento altri sono stati tra i migliori nostri caratteristi. Non sono sicuro che il cinema non li abbia apprezzati abbastanza... diciamo che li ha apprezzati per quello che erano e per il ruolo che ricoprivano. Magari mi sbaglio, ma credo che non avrebbero mai potuto presentarsi diversamente proprio perché, a differenza di un Verdone, non abbastanza versatili dal poter svestire quelle maschere che li rendevano unici.
EliminaGrande tormentone della mia adolescenza. Il "fischio" di Morricone è nelle mie raccolte di colonne sonore da tempo immemore, adorandolo sin da giovane e considerandolo profondamente triste, perché lo lego all'amara conclusione del personaggio "bonaccione".
RispondiEliminaE ora uno sguardo nel Passato Etrusco!
Una volta a liceo mi ritrovai (ancora devo capire come) scrutatore nelle elezioni delle liste studentesche della mia scuola: ero l'unico disinteressato alla politica tra i 1.200 studenti dell'Augusto - liceo a forma di M in omaggio a "Lui" ma nei primi Novanta composto quasi unicamente da "zecche", con relativi scontri e botte fuori i cancelli - eppure ero finito nel centro pulsante del potere democratico, a controllare che le elezioni studentesche si svolgessero senza brogli. (Sai che controllo??? A due metri dal cancello della scuola c'era il "Bar dei Fasci", al primo sospetto di rissa ero pronto a consegnare l'urna intera! :-D )
Uno dei rappresentati di lista era il mio compagno di banco nonché amico del cuore con cui condividevo la violenta passione per Verdone. Si presentò a voltare un altro amico, lui invece impegnato... ma con la maglietta tirata su. Al che io e il mio amico facciamo il gesto con le mani di abbassarla e lui si abbassa sulle gambe, invece di abbassare la maglietta. Quella scenetta muta, non preparata ma nata spontaneamente, era il segno che la satira è sempre al di sopra di ogni ideologia e politica.
Tutti gli slogan delle liste studentesche istigavano a combattere il potere: inscenare la gag di Pasquale Ametrano durante delle serissime e tese elezioni lo considerai puro fight the power ^_^
Deve essere stato un momento esilarante, quello vissuto da te quel giorno alle urne. Avrei davvero voluto esserci! Mi chiedo quanti in quella stanza abbiano compreso la citazione.... Aveva per caso anche i pantaloni a quadrettoni tipo tovaglia trattoria? L'Alfasud di riferimento parcheggiata fuori con le borchie ben fissate a prova di ladro?
EliminaIl tema di Morricone che accompagna le eroiche gesta di Ametrano è davvero epico! Non avevi mai realizzato fosse suo ma ora che ho fatto due più due mi chiedo come mai non mi fosse chiaro. E' talmente lampante! Come dici tu è molto amaro ma non altrettanto di quanto non lo sia stato il tema di Fantozzi, che per anni ho utilizzato anche come suoneria del cellulare...
Probabilmente uno dei migliori film di Verdone. Il tema di Morricone ricorda anche quello del "Cittadino al di sopra di ogni sospetto".
RispondiEliminaSenza dubbio uno dei classicissimi di Verdone, assieme a "Un sacco bello" e "Borotalco". Personalmente ho sempre preferito "Troppo forte" per un motivo che non mi spiego... forse incantato dai racconti di produzione de "La palude del caimano". Impossibile dimenticare però "Maledetto il giorno" e "Al lupo al lupo".. che anno glorioso fu quel 1992!
EliminaIl tema di "Cittadino al di sopra di ogni sospetto", quello si, fu un grande tormentone. Adesso che mi ci hai fatto pensare me lo fischietterò sena tregua fino a domani...
Greatt reading
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