lunedì 17 aprile 2023

Un trittico in giallo

“O! My Jaunetic Muse! Bring me the words to describe Your majesty!” (Yellow Death, DS Davidson) 

Dopo solo poche settimane dall’articolo in due parti dedicato a uno dei racconti più inquietanti del ciclo canonico chambersiano, ovvero “Nella corte del drago” (vedere qui e qui), ritorniamo a bomba sulla sibillina frase “È una cosa spaventosa cadere nelle mani del Dio vivente!" in esso riportata, che avevamo riconosciuto come una citazione del Nuovo Testamento, e più precisamente della “Lettera agli Ebrei” (versetto 10:31).
Ho dato subito per scontato che una frase di tale impatto sarebbe stata sicuramente rintracciabile anche negli scritti di altri autori, e così, senza perder troppo tempo, mi sono gettato alla ricerca di nuovo materiale. Non è stato facile, ma alla fine qualcosa è saltato fuori ed eccomi qui a relazionarvi.
Nell’ormai lontano 2007 fu presentata una pubblicazione indipendente, ormai abbondantemente esaurita e pertanto non più ordinabile, dal titolo “The King in Yellow: an anthology”, a cura di DJ Tyrer (che abbiamo già conosciuto qui). L’opera, dall’aspetto piuttosto casalingo e composta da una cinquantina di pagine in formato A4 tenute insieme da un semplice dorsino di plastica, includeva brevi racconti, poesie e illustrazioni ispirate ai miti di Hastur. Impreziosita da un racconto di Robert W. Chambers (“Il paradiso del profeta”, ndr) e da una poesia senza titolo di Lin Carter, l’antologia includeva opere provenienti da un vasto sottobosco di noti e meno noti scrittori del fantastico, tra cui un certo DS Davidson, l’autore sul quale ci concentriamo oggi.

DS Davidson, poeta, scrittore ed editore, è un attivo sostenitore e collaboratore di lunga data della casa editrice britannica Atlantean Publishing (fondata dal già citato DJ Tyrer una ventina di anni fa), oltre che curatore della fanzine satirica “Garbaj” che purtroppo ha cessato le pubblicazioni nel 2017 con il 70° numero. Attualmente Davidson cura il periodico digitale "Tigershark ezine", fondato nel 2013 assieme all’amico e collega David Leverton e giunto oggi alla sua 32° uscita. 
Davidson collaborò a “The King in Yellow: an anthology” con un discreto numero di poesie e racconti (sui quali magari ci dilungheremo, se sarà il caso, in futuro) tra cui un trittico di brevissimi racconti legati tra di loro da un filo molto stretto. Il trittico aveva come titolo “The Yellow Vignette” ed era composto da tre brevi segmenti, intitolati nell’ordine “Yellow Death”, “Yellow Peril” e “Yellow Art” (a puro titolo di curiosità, il segmento “Yellow Death” fu erroneamente intitolato “Yellow Art” nella prima antologia, anche se non nell'elenco dei contenuti). 

Oggi, come accennavo poco fa, è praticamente impossibile recuperare l’antologia originale, ma potete comunque godervi la lettura dei tre segmenti acquistando quella che in un certo senso si può considerare una seconda edizione riveduta e corretta. L’antologia “A Terrible Thing” del 2016, ancora una volta uscita per Atlantean Publishing, include infatti circa la metà dei testi originali, evidentemente i migliori, e ne aggiunge una manciata di nuovi. 
Tra quelli originali è ovviamente presente “The Yellow Vignette” (anche se ribattezzato in “The Yellow Triptych”), al cui interno ritroviamo gli stessi segmenti, proposti però in un diverso ordine (“Yellow Art”, “Yellow Death” e “Yellow Peril”). Quest’ultimo particolare è piuttosto curioso, perché ci fa pensare che l’errore nella prima antologia non fosse del tutto tale, ma che derivasse da una sorta di indecisione dell’autore, risolta poco prima di andare in stampa, con le conseguenze che sappiamo. Questa seconda sequenza, rispetto alla prima, mescola cronologicamente gli avvenimenti e ne rende decisamente più accattivante la lettura, in quanto consente al lettore di comprendere certi collegamenti solo alla fine. 
Se non avete intenzione di acquistare l’antologia “A Terrible Thing”, potete comunque leggere gratuitamente il solo segmento “Yellow Death” (cronologicamente il primo della serie) e farvi già una prima idea: lo trovate all’interno del numero 97 della fanzine “Awen” (sempre di Atlantean Publishing) scaricabile qui in formato PDF. 

La mia attenzione su “The Yellow Triptych” non deriva esclusivamente dal fatto che in uno dei suoi segmenti viene citata la fatidica frase “It’s a terrible thing…” (vedremo tra poco in quale contesto), quanto dalla presenza di una curiosa variante dello pseudobiblia maledetto chambersiano, in questo caso materializzatosi con il titolo di “Jaunetic Muse” e descritto come una raccolta postuma di poesie di tale Orson Wantage, protagonista di uno dei segmenti del trittico davidsoniano.
Non viene riportato alcun verso del “Jaunetic Muse”, ma è plausibile che un suo frammento sia stato rivelato da DS Davidson nella sua poesia “Strange Worlds”, pubblicata su "Bards" n°41, da Atlantean Publishing, nel 2005 e ripubblicata su "Yellow Leaves" n°9 l’anno successivo. 
Il termine “Jaunetic”, che sul dizionario francese non è presente, potrebbe essere una variazione colloquiale di “Jaunet” (giallognolo), ma questo è un particolare che a noi interessa relativamente. A noi interessa molto di più il richiamo al famigerato “King in Yellow”, o meglio alla sua traduzione francese (Le Roi en Jaune), le cui copie vennero per la maggior parte distrutte nella Senna, secondo quando inizialmente riferitoci da Robert W. Chambers e confermatoci un secolo più tardi da Ann K. Schwader, la quale ci aveva anche messi a parte del particolare che la traduzione francese fosse la più antica in assoluto. 
L'autore del "Jaunetic", Orson Wantage, un freddoloso poeta oppiomane le cui iniziali forse casualmente coincidono con quelle di Oscar Wilde, che cinque anni prima di Chambers testimoniò l’esistenza del perfido volume ne “Il Ritratto di Dorian Gray", è il protagonista del segmento intitolato “Yellow Death”, che descrive gli attimi precedenti la sua morte. Lo troviamo già pieno di morfina, pallido, gli occhi cerchiati di nero e una malsana lucentezza giallognola sulla pelle. In una Parigi fin de siècle, ormai abbandonato dalla sua musa e ridotto a un pozzo privo di idee, Wantage si era rivolto alla sua copia del “Roi en Jaune” per cercare ispirazione.
Non era sicuro del perché, ma la controversa commedia sembrava scatenare le sue capacità di artista e cancellare i suoi persistenti dubbi sul fatto che egli non fosse altro che un poeta in cerca di briciole di riconoscimento. Sin da quando un amico gliene aveva regalato una copia, aveva scoperto che il “Roi en Jaune” lo aiutava: le sue poesie avevano cominciato a riflettere sempre di più i mondi surreali e alieni accennati nei suoi oscuri soliloqui.
"Così tante lune", mormorò tra sé mentre guardava fuori dalla finestra scene che nessun altro poteva vedere. Cercò di esprimere a parole la visione che aveva davanti agli occhi, ma non ci riuscì. E così fece ciò che non avrebbe mai dovuto fare: frustrato, mise da parte carta e penna e disgustato lanciò il “Roi en Jaune” fuori dalla finestra, mentre una maschera pallida lo stava fissando impassibile dallo specchio sul muro. 

È su un treno in viaggio tra Francia e Regno Unito che, nel segmento cronologicamente successivo, “Yellow Peril”, facciamo la conoscenza di Charles Berridge, collezionista di opere d’arte. Lo troviamo seduto in business class con una copia del “Jaunetic Muse” acquistata a Parigi. Ne deduciamo quindi che i versi di Wantage siano stati dati alle stampe postumi, anche se non ci viene detto né in che modo né per merito di chi. Su quest’ultimo punto possiamo solo azzardare sospetti sugli unici due personaggi comparsi brevemente sulla scena di “Yellow Death”, ovvero la padrona di casa, M.me Gilbert, che lo ritrovò cadavere, e su un vicino di casa, un certo Louis, il cui nome ci riporta alla mente l’omonimo personaggio de “Il riparatore di reputazioni”. Nel corso del viaggio, curioso di saperne di più su quel testo misterioso, Berridge accende il suo laptop e inizia a cercare informazioni in rete. Scopre solo pochi dati sull’autore (nato in Illinois ma vissuto tra New York, Londra e Parigi), e una scarna bibliografia che però, stranamente, non include il titolo in suo possesso, prova evidente che “Jaunetic Muse” è molto più di un libro raro. Improvvisamente, il laptop cade preda di un virus e appare una schermata completamente gialla con le parole "È una cosa terribile cadere nelle mani del Dio vivente". Seduto accanto a lui c'è un misterioso passeggero che sembra sapere molto di più di quello che dice. 

Nel terzo e ultimo segmento in ordine cronologico la scena si sposta nello studio di un pittore, tale Tom Berridge, che scopriremo essere cugino di Charles. Tom Berridge ci viene presentato come un artista che in precedenza aveva avuto un buon successo di critica e di pubblico ma che negli ultimi tempi, guarda caso dopo essere venuto in possesso un libro che il cugino gli aveva portato da Parigi, era sparito dalla circolazione. Lo troviamo già completamente privo di senno, caduto in uno stato di follia che gli ha fatto dimenticare ogni regola e ogni principio. La tela sulla quale stava lavorando è completamente ricoperta da numerose pennellate di un giallo nauseabondo e osceno, così come completamente gialli sono ormai i suoi indumenti e praticamente ogni cosa nella stanza, incluse le pagine, ormai illeggibili, del famigerato “Jaunetic Muse”, che egli aveva utilizzato come fonte d’ispirazione. Dalla sua bocca sentiamo uscire solo poche parole, pronunciate prima di crollare a terra senza vita: "È una cosa terribile cadere nelle mani del Dio vivente". 

Questo è più o meno tutto quello che c’era da dire. Appare ora chiaro che “Jaunetic Muse” non è un libro esattamente sovrapponibile al “King in Yellow”, sebbene abbia anch’esso la capacità di far impazzire chiunque decida incautamente di leggerlo. Si tratta anzi di una sua evoluzione, se vogliamo, ancora più micidiale. È stato scritto da qualcuno che al “King in Yellow” si è ispirato, ma i suoi effetti sono più simili a quelli del Segno Giallo, quello strano glifo che Robert W. Chambers ci aveva presentato nel suo omonimo racconto. Se vi ricordate, una delle ipotesi sull’elemento chiamato “segno giallo” lo identificava come una specie di porta che metterebbe in comunicazione questo mondo con un mondo alternativo di terrore e di follia, e che renderebbe chiunque ne venga in contatto, anche per caso, suscettibile di una qualche forma di controllo mentale da parte di un’entità non meglio identificata. Tale entità potrebbe identificarsi con lo strano personaggio sul treno o con quell’immagine pallida che era apparsa a Orson Wantage dallo specchio sul muro: probabilmente equivalente al “Watchman” di chambersiana memoria, ovvero il “guardiano della soglia”, colui che si alimenta delle paure di chi lo affronta, ma che è necessario superare per poter accedere ai regni oscuri dell’oltretomba o ai livelli più alti della comprensione esoterica.



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