Stendi le tenebre e viene la notte: in essa si aggirano tutte le bestie della foresta; ruggiscono i giovani leoni in cerca di preda e chiedono a Dio il loro cibo. Sorge il sole: si ritirano e si accovacciano nelle loro tane. (Salmo 104: 20-22)
Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli. Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Di quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato meritevole chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell'alleanza, dal quale è stato santificato, e avrà disprezzato lo Spirito della grazia? Conosciamo infatti colui che ha detto: A me la vendetta! Io darò la retribuzione! E ancora: Il Signore giudicherà il suo popolo. È terribile cadere nelle mani del Dio vivente! (Ebrei 10: 26-31)
Dopo la breve parentesi dedicata al racconto "Il ritorno di Hastur" di August Derleth, che ci aveva lasciati decisamente perplessi, rivolgiamo nuovamente la nostra attenzione su quelle che indiscutibilmente riconosciamo essere le origini della mitologia in giallo. Definito da molti come l'anello meno solido tra i cinque racconti del canone chambersiano (*), "Nella corte del drago" offre in realtà molti più spunti di quanto a prima vista si possa pensare, e ciò in virtù, come vedremo tra breve, dei curiosi accostamenti con le fedi abramitiche, circostanza questa che ci ricollega al racconto “Haïta the Shepherd” di Ambrose Bierce, sviscerato su questo blog qualche anno fa. Il protagonista di questa storia è un uomo che, dopo aver trascorso tre intere notti immerso nella lettura del "Re in Giallo" ed esserne stato devastato nello spirito, cerca con disperazione di ritornare alla Fede dei suoi Padri attraverso il conforto di una Messa nella chiesa di San Barnabé a Parigi. Ma nel corso della funzione qualcosa appare fuori posto: le parole sono sbagliate, la teologia sembra eretica e la musica dell'organo è dissonante e discordante.
Siamo nuovamente di fronte a quella che, nel migliore dei casi, è un'allucinazione causata dalla lettura del libro proibito. Non ne siamo di certo stupiti, visti i precedenti che abbiamo ampiamente illustrato tra le pagine virtuali di questo blog.
Quando il sacerdote inizia la sua litania sul Salmo 104 (vedi citazione in apertura di articolo), i suoi occhi si posano sull'organista, un uomo snello il cui viso "era bianco tanto quanto il suo cappotto era nero", che lascia la sua postazione, attraversa la galleria e scompare in una porticina che conduce all'esterno.
Una volta che lo strano personaggio esce dalla sua vista il narratore sembra rasserenarsi, ma è in quel preciso momento che l'omelia del prete comincia a suonare stranamente blasfema. Ancora più strano, volgendo nuovamente lo sguardo all'organo, gli appare il fatto che lo stesso organista si alzi e ancora una volta cammini lungo la navata laterale, come se non fosse mai uscito la prima volta. Questa volta gli sguardi dei due uomini si incrociano e l'organista sembra rivolgersi a lui con un sentimento di profondo odio.
All'inizio il narratore è stordito dal terrore, ma si scrolla rapidamente di dosso questa sensazione e decide di lasciare la chiesa per tornare a casa nel suo appartamento nella corte di Rue du Dragon, nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés. Sulla strada di casa incrocia più volte lo strano organista, che pare quasi seguirlo. Cresce in lui la paranoia, che troverà il suo culmine proprio a un passo da casa, quando verrà messo alle strette dal misterioso individuo contro i cancelli chiusi della Corte del Drago.
"Indietreggiai nella corte e me lo trovai di fronte. Volevo fuggire dall'entrata di Rue du Dragon, ma i suoi occhi mi dicevano che non sarei mai scappato. [...] La volta buia e gli enormi portoni chiusi da catenacci di gelido ferro lo favorivano. La minaccia che mi aveva perseguitato fino ad allora si stava materializzando; si addensava e mi piombava addosso da abissi insondabili [...]. Abbandonata ogni speranza, mi appoggiai contro le porte sbarrate e lo affrontai“.
Improvvisamente, il narratore si scuote e si rende conto di essersi addormentato durante la messa nella chiesa di San Barnabé. Tutto è tornato alla normalità: la musica è tornata serena e sacerdotale, e il servizio è di nuovo confortante. Un sogno. Guardando verso il presbiterio, vede di nuovo l'organista e si chiede se sia stato davvero un incubo.
Ma nonostante il momentaneo sollievo, in quel preciso istante egli comprende che la sua anima è stata offerta al Re in Giallo.
“Provai a trascinarmi verso la porta; sopra di me l'organo mi travolse con una cascata di suoni. Una luce abbagliante riempì la chiesa, nascondendo l'altare al mio sguardo. Le altre persone svanirono, le arcate e il soffitto a volta scomparvero. Alzai i miei occhi [...] e contemplai le nere stelle sospese nei cieli mentre i venti umidi del lago di Hali mi ghiacciavano il volto. E in quell'istante, lontano, [...] vidi la luna trasudare schiuma e dietro la luna innalzarsi le torri di Carcosa. La morte e la spaventosa dimora delle anime perdute, dove molto tempo prima ero stato sospinto dalla mia debolezza, lo avevano reso irriconoscibile agli occhi di tutti, ma non ai miei. E adesso udivo la Sua voce alzarsi, dilatarsi, tuonare in quella luce accecante [...] Udii il Re in Giallo sussurrare alla mia anima: «È una cosa spaventosa cadere nelle mani del Dio vivente!»".
“Alla corte del drago” è l’ennesima rappresentazione della follia indotta dalla lettura del testo malefico, inaugurata da Chambers ne “Il riparatore di reputazioni” e riproposta in seguito da innumerevoli autori che ne hanno seguito pedissequamente il modello. In particolare, “Alla corte del drago” ricalca, e certamente non per caso, lo schema di "Un avvenimento sul ponte di Owl Creek" di Ambrose Bierce (**), che mette in luce interessanti questioni sui confini (evidentemente sottilissimi) tra fantasia e realtà.
Nella fattispecie siamo di fronte a un viaggio da quella che è (o sembra essere) un'allucinazione a uno stato "altro" in cui il protagonista rimane, suo malgrado, definitivamente intrappolato. In mezzo c’è la visione di una realtà, anch’essa forse apparente, che dura solo un istante.
Al termine del viaggio c’è Carcosa che, almeno per Chambers, rappresenta l’oblio assoluto della ragione, un luogo (o forse sarebbe meglio dire una dimensione) dalla geometria non euclidea, dove le stelle sono nere e gli edifici si ergono alle spalle del disco lunare. E dove la follia regna incontrastata.
C'è un ultimo particolare significativo in questa storia che non poteva che attirare la nostra attenzione: ci riferiamo all’ultima frase, che in pratica contiene le uniche parole che abbiamo mai sentito pronunciare direttamente dal Re in Giallo: "È una cosa spaventosa cadere nelle mani del Dio vivente!". Si tratta in realtà della citazione di un versetto della Bibbia (Ebrei 10:31) che, per vostra convenienza, ho riportato integralmente in apertura di articolo. Come dobbiamo interpretarlo? Torneremo sulla questione nei prossimi giorni.
(*) I cinque racconti sono, in ordine di apparizione, "Il riparatore di reputazioni", "La maschera", "Nella corte del drago", "Il segno giallo" e "La Demoiselle d'Ys"
(**) Descritta come una delle storie più famose e spesso antologizzate della letteratura americana, "An Occurrence at Owl Creek Bridge" (1890) fu originariamente pubblicata dal San Francisco Examiner il 13 luglio 1890 e fu raccolta per la prima volta nel libro di Bierce "Tales of Soldiers and Civilians" (1891). La storia, ambientata durante la guerra civile americana narra di un cittadino che viene condannato a morte tramite impiccagione, sul ponte di Owl Creek. Nell'attimo fatale, la corda si spezza e l'uomo finisce nel fiume, dove riesce a liberarsi dalle funi: inseguito dai soldati che gli sparano da ogni dove, miracolosamente riesce a raggiungere la sua abitazione: ma si tratta soltanto di un'amara illusione. Egli non è mai fuggito; ha immaginato l'intera storia durante il breve istante che intercorre tra la caduta dal ponte al momento in cui il cappio gli spezza il collo. Il racconto è stato adattato per la televisione ed è apparso nella serie televisiva "Ai confini della realtà".
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