lunedì 11 dicembre 2023

Il mistero della stanza 1046 (Pt.3)

Sopra: la scheda di registrazione di Owen al
President. - Sotto: alcuni curiosi oggetti
ritrovati nella stanza 1046
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Questa è la storia dell'omicidio di Roland T. Owen, avvenuto nella stanza 1046 del President Hotel di Kansas City, Missouri, in una fredda mattina di gennaio del 1935. Roland T. Owen viene ritrovato gravemente ferito, ricoperto di sangue ma lucido. Quando il dottor Flanders del Kansas City General Hospital arriva, lo trova legato mani e piedi, con degli strani segni attorno al collo (*), chiaro indizio di un tentativo di strangolamento andato a vuoto, numerose ferite da arma da taglio al petto e una vasta ferita alla testa. Il dottor Flanders, accingendosi a liberare i polsi di Owen, gli chiede “Chi ti ha fatto questo?”. “Nessuno”, risponde Owen. Alla domanda, poi, sui motivi di tutto quel casino, Owen risponde di essersi ferito accidentalmente, cadendo in bagno e sbattendo la testa contro la vasca. L’uomo perde quindi conoscenza e viene trasferito in ospedale, dove muore poco dopo la mezzanotte del 5 gennaio. Perché Roland T. Owen, nei suoi ultimi istanti di lucidità, decide di negare l’evidenza, attribuendo tutto quel casino a uno sciocco incidente domestico? Chi, o cosa, cercava di proteggere? Di chi, o di cosa, aveva paura? 
Partono immediatamente le indagini. Senza indugio gli agenti di polizia passano la camera al setaccio alla ricerca di indizi. Viene ritrovata l'etichetta di una cravatta (**), una forcina per capelli (***), una spilla da balia, una sigaretta non fumata e una bottiglietta di acido solforico diluito. Vengono inoltre rinvenuti due bicchieri di vetro, di cui uno in frantumi nel lavandino, mentre l’altro, in camera, sul quale vengono rilevate quattro impronte insanguinate (****), le cui dimensioni sembrano appartenere a una donna, o comunque a una persona minuta. 
Ma la cosa che più spiazza gli agenti non è ciò che trovano, bensì ciò che non trovano. Non c’è alcun capo di abbigliamento in tutta la stanza (la vittima, lo ricordo, era stata trovata completamente nuda). Non c’è il soprabito, non ci sono le scarpe, niente pantaloni, niente camicia, niente di niente. Inoltre, sono completamente assenti tutte le dotazioni standard di una camera d’albergo: niente asciugamani, niente saponette, niente boccettine di shampoo, niente di niente (*****). Dell’arma (o armi) del delitto neanche a parlarne. Chi ha rimosso tutti quegli oggetti? Perché? Cosa avrebbero potuto rivelare se fossero stati trovati? E quando erano stati rimossi? Prima o dopo l’aggressione? Sono tutti quesiti senza risposta. 
Nel frattempo, dall’ospedale giungono i risultati dell’esame autoptico: la causa della morte, ma a questo ho già accennato, è da attribuire alle tre gravi ferite alla testa e al perforamento di uno dei polmoni con un’arma da taglio. In base all’analisi delle tracce ematiche, viene stimato che le prime ferite risalgono a un orario compreso tra 5 e le 6 di mattina di quel venerdì. Quest’ultimo è un particolare piuttosto interessante, perché suggerisce che Randolph Propst, alle 7 di mattina, aveva comunicato, attraverso la porta chiusa, con qualcuno che con tutta probabilità non era Owen! 
Non resta a questo punto che cercare di ricostruire gli avvenimenti occorsi tra il tardo pomeriggio del giovedì e la mattina del delitto e, nello specifico, i movimenti del personale e degli altri ospiti della struttura, con particolare attenzione al decimo piano. Riportiamo qui di seguito i risultati della ricerca. 
Attorno alle ore 18 di giovedì 3 gennaio, una donna di nome Jean Owen (nessuna parentela con la vittima), proveniente dalla periferia sudest di Kansas City, dopo aver fatto shopping in centro per alcune ore, accusa un malessere e decide di non rientrare a casa quella notte. Si presenta alla reception del President e chiede una stanza. Le viene assegnata la 1048, esattamente adiacente a quella in cui alloggia Roland T. Owen. Alle 21:20 la donna riceve in camera il fidanzato e si intrattiene con lui per circa due ore. Più tardi, quella stessa notte, la Owen viene svegliata da rumori provenienti forse proprio dalla 1046: voci maschili e femminili stanno litigando tra loro, o quantomeno discutendo ad alta voce utilizzando un vocabolario, a suo dire, particolarmente volgare. Il frastuono sarebbe durato, a suo dire, tutta la notte. 
Ora, poiché pare ci fosse una festa in un'altra stanza, la 1055, i rumori sarebbero anche potuti arrivare da lì, ma questo fatto non fu mai confermato. 

Una camera del President Hotel negli anni del caso Owen. Alcune fonti sostengono che quella
raffigurata sia la 1048 e che quella sullo sfondo, oltre la porta comunicante, sia la fatidica 1046.
Tale versione purtroppo fa a pugni con la planimetria riportata nella prima parte di questa serie di post.
Jean Owen
non è l'unica persona a notare un'insolita attività notturna al decimo piano del President: il ragazzo dell'ascensore, Charles Blocher, che aveva iniziato il suo turno a mezzanotte, ha riferito in seguito un gran movimento di gente nel corso della notte. Blocher ricorda, in particolare, una donna che già in altre occasioni aveva visto in albergo far visita a uomini soli. La donna, chiaramente una prostituta, viene descritta come alta circa 170 cm e piuttosto magra, capelli scuri e abbigliamento curato (un "cappotto di foca nera o una sua imitazione"). 
La misteriosa dama fa il suo ingresso al President poco dopo la mezzanotte e chiede al ragazzo dell’ascensore di accompagnarla al decimo piano. Sta cercando la camera 1026. Blocher l’accompagna e torna nell’atrio. Dopo solo pochi minuti, Blocher riceve una chiamata dal decimo. Quando l’ascensore giunge al piano, la stessa misteriosa donna gli si rivolge preoccupata, perché l’uomo che le ha dato appuntamento alla 1046 (!) non risponde al suo bussare. Blocher si scusa per non poterla aiutare e probabilmente (ma non è certo) le fa notare l’incongruenza del numero di camera. Dopodiché ritorna nuovamente nell’atrio, mentre la donna si intrattiene al decimo per un ulteriore tentativo. 
Solo dopo un’ora abbondante l’ascensore viene chiamato di nuovo al decimo. La donna scende con Blocher e si allontana dall’albergo. Trascorre ancora circa un’ora (sono da poco passate le due del mattino) e la stessa donna si ripresenta in compagnia di un uomo, chiedendo di essere accompagnata con lui al nono piano. Blocher esegue senza farsi troppe domande, talmente evidente è ormai la professione della visitatrice. Verso le 4 del mattino la donna lascia l'albergo senza una parola, seguita circa un quarto d'ora dopo dall'uomo. Quest’ultimo si rivolge brevemente a Blocher, giustificando quella sua uscita notturna con il fatto che non riusciva a dormire e aveva bisogno di prendere una boccata d’aria. La coppia non è mai stata identificata. 
Pur non essendo affatto certo che avessero a che fare con il delitto, la loro presenza ai piani alti del President per un arco di tempo così ampio (nonché quel piccolo pasticcio sul numero di camera) lascia la porta spalancata a numerosi sospetti. 

Quando la mattina del 5 gennaio la notizia del delitto al President Hotel uscirà su tutti i giornali, saranno ovviamente numerosissimi i mitomani che chiameranno il dipartimento affermando di essere a conoscenza di particolari utili a far luce sul caso. Alcuni asseriscono con certezza di aver visto la vittima in compagnia di due donne in un bar sull’adiacente dodicesima strada, altri sostengono di averci addirittura parlato. 
La testimonianza più originale, e forse proprio per questo motivo quella che merita più attenzione, è però quella di un tizio di nome Robert Lane. Quest’ultimo afferma che la sera del 3 gennaio, attorno alle 23, sta transitando in auto a pochi isolati dal President quando un individuo vestito, nonostante il freddo intenso, solo di boxer e canottiera lo ferma, scambiandolo per un tassista. Lane, viste le sue condizioni, decide di aiutarlo e lo fa salire in auto per accompagnarlo al parcheggio dei taxi più vicino, sulla dodicesima. Nel corso del breve tragitto Lane, attraverso lo specchietto retrovisore, nota una profonda ferita sul braccio dell’uomo, ferita che corrisponderebbe a una identica che sarà poi rilevata sul cadavere di Owen. “Sembra che tu non te la stia passando bene”, dice Lane. “Domani qualcuno morirà per questo”, risponde lo sconosciuto, prima di rifugiarsi nel silenzio. 
Esistono numerose altre fonti secondo le quali l’episodio appena descritto risalirebbe alla sera precedente, quella del 2 gennaio, e non alle ore immediatamente precedenti l’omicidio. A supporto di queste versioni alternative ci sarebbero le testimonianze del personale dell’albergo, che giurerebbero che il loro ospite, la fatidica notte, non avrebbe mai lasciato la sua stanza. 

Kansas City, Missouri, 1930 ca.
Questo è più o meno tutto quello che il dipartimento di polizia riuscì a raccogliere nelle ore successive al delitto. Non molto, come certamente concorderete. Non sappiamo ancora nulla di Owen, almeno per il momento, né tantomeno sappiamo qualcosa di quel misterioso Don, l’unico contatto certo che Owen ebbe a Kansas City nei giorni immediatamente precedenti la sua morte. Le uniche cose di cui abbiamo preso nota finora sono una serie di movimenti, nemmeno troppo bizzarri se ci pensate bene, avvenuti nottetempo nei corridoi del President. Non abbiamo nemmeno alcun riscontro su quell’ipotetica festa che si sarebbe tenuta la notte del delitto all’interno della camera 1055 e, ahimè, mentre io stesso cercavo informazioni non sono stato in grado nemmeno di trovare alcuna planimetria dell'hotel che mi permettesse di capire quanto distante fosse la 1055 dalla 1046, giusto per verificare se Jean Owen, ospite della 1048, potesse essersi sbagliata. Tutto ciò che sappiamo è che aveva un affaccio sul cortile interno, e quindi possiamo immaginare, gettando uno sguardo a Google Maps, che si trovasse da qualche parte lungo il perimetro orientale dell’edificio. 
A proposito di Google Maps, sono piuttosto sconfortato dal non essere riuscito a ricostruire il tragitto che Robert Lane fece quella sera con a bordo il nostro uomo. Secondo la mai abbastanza precisa wikipedia, Lane avrebbe raccolto l’uomo sulla 13th St. vicino a Lydia Av. e lo avrebbe lasciato al parcheggio di taxi all’incrocio tra la 12th St. e Troost Av. 
Il punto di partenza è però inesistente: Lydia Avenue si trova circa 15 chilometri a sud della dodicesima e oggi di sicuro le due strade non si intersecano da nessuna parte (magari era vero in passato, ma ho fatto due rapide ricerche e non ho trovato tracce di variazioni nell'odonomastica); viceversa, esiste davvero un incrocio tra la tredicesima e la Troost Avenue, ma il punto in cui si intersecano è piuttosto periferico (oltre lo svincolo della Route 70) e non mi pare affatto che sia un punto in cui un tassista ambirebbe sostare. Tuttavia sul favoloso sito "The Pendergast Years" una foto d'epoca che ritrae lo stesso incrocio cambia nettamente le carte in tavola e lo presenta molto più interessante di quanto non sia oggi.

Se le circostanze che circondano l'omicidio in sé possono, a un poliziotto esperto, sembrare abbastanza ordinarie, quello che accade in seguito certamente non lo è. Ma torniamo al punto in cui ci eravamo interrotti: una delle prime cose che un buon investigatore fa in casi come questo, una volta interrogati tutti i testimoni, è quella di scavare nel passato della vittima. Nella fattispecie, il detective Otto Higgins, del dipartimento di polizia di Kansas City, ha un unico punto di partenza: l’indirizzo di Los Angeles indicato da Owen al momento del check-in. 
E qui le indagini già subiscono un brusco stop, perché non si tarda a realizzare che un uomo di nome Roland T. Owen non esiste, e non è mai esistito, né nella città degli angeli né in tutta la California. 

(*) Altre fonti riferiscono che i segni attorno al collo sarebbero stati causati da una corda da bucato, la stessa con cui Owen fu legato mani e piedi; ulteriori fonti darebbero invece per certo che i segni attorno sarebbero stati provocati dal cavo del telefono.
(**) Una cravatta certamente non appartenente alla vittima. L'etichetta indica che la cravatta era stata realizzata da un'azienda del New Jersey.
(***) Cherchez la femme!
(****) Le impronte furono trovate su un paralume; altre ancora riferiscono che furono trovate sulla cornetta del telefono.
(*****) Gli asciugamani, noi già sappiamo, che erano a lavare, ma secondo altre fonti gli asciugamani sarebbero stati usati per ripulire il sangue dalla stanza (e poi buttati a lavare) dopo che gli agenti se ne erano andati.

Una pagina del periodico "The World's News", 6 marzo 1943


2 commenti:

  1. Insomma, un uomo-fantasma. A quei tempi era forse più facile di oggi, adesso appena entri in un albergo ti chiedono subito documenti validi. Mi chiedo se davvero, quando li comunicano alla polizia, vengono subito verificati dal commissariato.

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    1. Questo è varo ma più o meno solo in Italia. Negli alberghi all'estero non mi ricordo mi sia mai capitato che mi siano stati chiesti documenti, nemmeno di recente. Di solito mi pongono un modulino che io compilo con i miei dati ma nulla mi vieterebbe in teoria di scrivere balle...

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