lunedì 18 dicembre 2023

Il mistero della stanza 1046 (Pt.4)

Negli stessi giorni, qualcuno si
prende la briga di inviare dei fiori...
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Se le circostanze che circondano l'omicidio possono, così come le ho descritte finora, sembrare piuttosto ordinarie (non abbastanza bizzarre, voglio dire, per legittimare un articolo così lungo), quello che accade in seguito certamente giustifica lo sforzo, sia mio di scrivere, sia vostro di leggere. Siamo intanto arrivati a un punto morto. La polizia si rende conto che l’uomo della camera 1046 si è registrato al President sotto falso nome e ogni speranza di risalire rapidamente alla sua famiglia va subito in frantumi. 
Viene quindi interrogato il personale del Muehlebach Hotel, la struttura presso la quale il misterioso individuo aveva più volte accennato di aver alloggiato in precedenza. Non risulta nessun Roland T. Owen ma, quando venne fornita una descrizione dell’uomo, il personale la collega a un ospite registrato con il nome di Eugene K. Scott. Niente da fare: come avrete di sicuro immaginato, si tratta di un altro nome falso. Pista chiusa e tanti saluti. 
Per quasi due mesi il suo corpo viene conservato presso la Melody McGilley Funeral Home. Poiché nessuno era venuto a reclamarlo, era previsto che fosse sepolto nella fossa comune, dove trovavano posto i resti mortali di quelli così poveri da non potersi nemmeno permettere una sepoltura. 
Qualche giorno prima della tumulazione, tuttavia, l'impresa di pompe funebri riceve una telefonata da una persona che, senza identificarsi, dice: "Non seppellite Roland in una fossa comune. Voglio che lo seppelliate al Memorial Park, così sarà vicino a mia sorella. Invierò io quanto serve per coprire le spese del funerale". Il 23 marzo il denaro arriva, impacchettato in anonimi fogli di giornale. 
Negli stessi giorni, qualcuno si prende la briga di inviare dei fiori, accompagnati da un biglietto che recita: “Love Forever, Louise”. 
Numerosi detective del web, le cui teorie spesso strampalate rimbalzano in rete grazie alla cassa di risonanza offerta da blogger e podcaster, sostengono che l’anonimo interlocutore avrebbe precisato che “Roland aveva una relazione con una donna mentre era impegnato con un’altra”, aggiungendo, prima di riattaccare, una frase ad effetto: “i traditori ottengono sempre ciò che meritano”. Sinceramente, vedo la cosa improbabile per almeno un paio di buoni motivi: 1) dubito che una persona normale, che decide di fare una telefonata del genere, con il rischio di venire identificata, possa essere davvero scesa così nei dettagli con un impiegato delle pompe funebri; 2) faccio fatica a immaginare l’infedeltà come molla per un’aggressione così feroce, anche perché “Owen/Scott”, non dimentichiamocelo, è stato trovato praticamente incaprettato, il che se non sbaglio è una consuetudine mafiosa. 
A conferma dell’inconsistenza della pista sentimentale, la polizia archivia il caso e inizia a dedicarsi ad altro. Fine della storia, per il momento. 

A maggio The American Weekly pubblica un articolo sull'omicidio intitolato "Il mistero della stanza n. 1046",
Nei mesi successivi l’interesse dei media sembra però non avere alcuna intenzione di scemare, e a metà maggio la rivista The American Weekly pubblica un articolo sensazionalistico sull'omicidio intitolato "Il mistero della stanza n. 1046", con tanto di fotografie della vittima scattate, presumibilmente, sul tavolo del coroner. Sarà proprio quest’articolo che, l’anno successivo, porterà gli inquirenti a dare finalmente un nome al misterioso estinto. 
È l’autunno del 1936 e in una città del profondo sud una donna di nome Ruby Ogletree si imbatte proprio in quel vecchio numero del The American Weekly, e riconosce suo figlio nella foto dell’uomo del President. La donna si mette quindi in contatto con il dipartimento di polizia di Kansas City e il 2 novembre 1936, esattamente venti mesi dopo il giorno in cui il defunto si era presentato alla reception del President, i quotidiani di tutto il paese annunciano ai propri lettori che il nome dell’uomo della camera 1046 era Artemus Ogletree, 17 anni, originario di Birmingham, Alabama. 

Una pagina del periodico "Daily News",
3 novembre 1936
Il giovane Artemus aveva lasciato la casa materna all’inizio del 1934 con l’intento di girare il paese in autostop in cerca di fortuna assieme ad un amico, tale Joe Simpson. Come ormai sappiamo, purtroppo, la ricerca di quella fortuna si interruppe per lui tragicamente, un anno più tardi, a un migliaio di chilometri da casa. 
Durante i suoi primi mesi di viaggio, Artemus inviava regolarmente lettere a sua madre, aggiornandola su dove si trovasse e sulle sue condizioni. Ma con il passare dei mesi, le lettere diminuiscono fino a cessare del tutto. Un giorno poi, all’inizio del 1935, in data quindi successiva alla tragica notte del President, Ruby riceve una nuova lettera da Chicago. Il mittente afferma di essere il figlio e di essere in procinto a trasferirsi a New York ma, a differenza delle precedenti, quest’ultima lettera è dattiloscritta e scritta in un linguaggio non coerente con quello tipico del figlio. Ciò, per ovvi motivi, incuriosisce non poco Ruby, la quale decide però di soprassedere. 
Nell’aprile 1935 arrivano altre due lettere, entrambe da New York, nelle quali il mittente annuncia un suo imminente trasferimento via nave in Francia. Il 12 agosto del 1935, Ruby riceve infine una telefonata da Memphis da parte di un uomo che dichiara di chiamarsi Godfrey Jordan e di essere un caro amico di Artemus. L’uomo sostiene che Artemus era stato coinvolto in una rissa in un bar e aveva perso un dito, motivo per cui aveva in seguito dovuto usare una macchina da scrivere; aggiunge inoltre che Artemus si era trasferito al Cairo, dove aveva sposato una donna egiziana di alto ceto sociale. Quell’ambigua telefonata, anziché tranquillizzare Ruby, la mette subito in allarme: la donna si getta in una disperata ricerca del figlio presso il dipartimento di stato, presso le autorità doganali di New York e presso il consolato americano al Cairo. Arriva anche al punto di scrivere all’FBI e al presidente Roosevelt, ma nessuno sarà mai in grado di confermare la versione del presunto Godfrey Jordan. Sarebbe stato necessario attendere fino a novembre, come abbiamo già detto, per giungere alla verità: Artemus Ogletree sarebbe stato identificato per via della grande cicatrice sul lato della testa, che sua madre riferì essere il risultato di un’ustione che Artemus ebbe all’età di undici mesi. 

Questa è la storia dell'omicidio di Artemus Ogletree, avvenuto nella stanza 1046 del President Hotel di Kansas City, Missouri, in una fredda mattina di gennaio del 1935. Quasi un secolo dopo ancora non si conosce il nome del suo assassino, non si conosce il movente e non si conoscono le circostanze che hanno portato alla sua morte. Gli ultimi rapporti di polizia risalgono ormai agli anni ’50 ed è decisamente inverosimile che nuovi elementi possano emergere e consentire una riapertura del caso. Quasi un secolo dopo non è stato possibile identificare i misteriosi personaggi che sono entrati e usciti di scena in quella fatidica notte, così come non è stato possibile identificare il fantomatico “Don”, il fantomatico “Jordan”, la fantomatica “Louise” e, non ultimo, quel fantomatico individuo che finanziò il servizio funebre. Non è nemmeno mai stato possibile trovare una collocazione precisa a numerosi altri dettagli, quali le misteriose impronte insanguinate, la boccetta di acido solforico, la forcina per capelli o l’etichetta di una cravatta. E che dire della sparizione degli abiti, degli oggetti del bagno e dell’arma del delitto? L’unica cosa che sappiamo ormai per certo è che parecchie erano le persone che sapevano e che cercavano in tutti i modi, anche intrattenendo corrispondenze post-mortem con la madre, di nascondere la verità. 

Tutti gli indizi mi porterebbero a teorizzare che l’omicidio sia stato compiuto da professionisti, gangster legati magari a una rete di incontri di boxe clandestini, se vogliamo considerare come indizio anche il grave ematoma all’orecchio notato su Ogletree già nei giorni precedenti. Si spiegherebbe in questo modo anche il comportamento ansioso e preoccupato di Ogletree e, soprattutto, si spiegherebbe quella sua ostinata omertà, osservata fino all’ultimo istante di vita, per proteggere la madre da una sicura ritorsione. 
In tutto questo, è sorprendente il fatto che i detective non abbiano ritenuto opportuno riporre fiducia in una piccola, ma potenzialmente indicativa, intuizione di Ruby Ogletree, la quale era ragionevolmente convinta che la voce dell’uomo che le aveva telefonato fosse curiosamente somigliante a quella di Joe Simpson, il ragazzo che era partito da Birmingham tre anni prima con suo figlio. Ruby raccontò anche che, quando ebbe finalmente l’opportunità di incontrarlo, lo guardò dritto negli occhi e gli disse che avrebbe riconosciuto ovunque la voce che gli parlava da Memphis. A quelle parole Joe non rispose, ma arrossì e abbassò lo sguardo.

Una pagina del periodico "The Atlanta Constitution", 12 maggio 1940

Fonti:
https://pendergastkc.org/
https://kansascitymag.com/news/longform/the-owen-case/
https://www.historicmysteries.com/roland-t-owen-murder-room-1046/
https://factschology.com/mmm-podcast-articles/artemus-ogletree-roland-t-owen
https://en.wikipedia.org/wiki/Murder_of_Artemus_Ogletree
https://trove.nla.gov.au/newspaper/article/167645421
https://trove.nla.gov.au/newspaper/article/133934437/14769999
https://kchistory.org/blog/mystery-room-1046-pt-1-roland-t-owen
https://kchistory.org/blog/mystery-room-1046-pt-2-love-forever-louise
https://trove.nla.gov.au/newspaper/article/133934437/14770365
https://www.newspapers.com/article/28166426/daily_news/
https://www.newspapers.com/article/the-atlanta-constitution-roland-t-owen/57708767/

2 commenti:

  1. É una triste verità, il 50% degli omicidi restano irrisolti, forse la percentuale sarebbe ancora più alta se, per assurdo, fosse possibile sapere quante persone che risultano scomparse siano in effetti state uccise e i loro cadaveri occultati. A volte si finisce nel posto sbagliato al momento sbagliato (tipo l'autostoppista che ignorava che l'uomo che lo stava facendo salire in auto era il futuro serial killer Jeff Dahmer), altre volte ci si caccia deliberatamente dentro situazioni difficili in ambienti di cui e nota la pericolosità, ma si pensa con troppo ottimismo "Ma sì, in qualche modo me ne tirerò fuori"...

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    1. Vero. Migliaia di casi irrisolti, migliaia di persone sparite nel nulla, ma anche migliaia di resti umani recuperati e mai identificati. Si direbbe che finire nel posto sbagliato al momento sbagliato sia più facile di quanto non si creda. Oppure che là fuori c'è davvero un sacco di brutta gente.

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