venerdì 21 febbraio 2025

Le Bunker de la Dernière Rafale

Quando capita che ti ritrovi la sera a casa nel bel mezzo della settimana, si sono già fatte le dieci e mezza e il giorno dopo devi alzarti presto per andare a lavorare, le alternative sono tre: ti metti a cazzeggiare col telefono intossicandoti anima e corpo in un'attività che non porta da nessuna parte, ti rifugi al cesso e ti metti davanti allo specchio alla ricerca di invisibili punti neri oppure, scelta preferita, ti metti a frugare nei tuoi "archivi" alla ricerca di un cortometraggio che ti accompagni verso un'ora più consona per andarsi a coricare. Ci sarebbe anche l'alternativa di mettersi a leggere o a scrivere qualcosa per il blog, che è ciò che sto facendo in questo momento, ma la sera di cui vi sto parlando è un'altra e risale a un periodo ormai imprecisato dello scorso anno. 
Ciò che venne fuori da quella ricerca serale fu un cortometraggio di appena 26 minuti il cui titolo e la cui locandina avevano, in un tempo di molto precedente, già attirato la mia attenzione per una certa dose di "singolarità" che mi aveva trasmesso così, a pelle. Il genere di riferimento è il "grottesco", un genere che ritengo essere sostenibile, ma questo è di certo un mio limite, esclusivamente se il minutaggio complessivo dell'opera non supera quello che una scatoletta di tonno richiedere per essere mangiata di fretta sul lavandino. In realtà, più che grottesco l'avrei definito "cyberpunk" perché, come spero vi sarà chiaro proseguendo nella lettura di questo articolo, certi dettagli non possono che far andare la memoria al cinema di Shin'ya Tsukamoto
Detto questo, "Le Bunker de la Dernière Rafale", corto francese conosciuto anche con il titolo internazionale di "The Bunker Of The Last Gunshots", rispettava esattamente tutte le mie necessità di quella serata, e fu così che, non senza un pizzico di timore, mi accingevo alla visione. Mal che vada, pensavo, salterà fuori del materiale utile per un post, nel bene e nel male. 
D'altra parte, il nome dei due registi mi incuriosiva. Marc Cairo, per esempio, avrebbe in seguito girato "Dante 01, benvenuti all'inferno" (2008), mentre Jean-Pierre Jeunet avrebbe diretto "Il favoloso mondo di Amélie" (2002) e "Alien, la clonazione" (1997), quarto film del franchise più xenomorfo della storia del cinema. Cosa sarebbe potuto andare storto? 
Beh, molte cose sarebbero potute andare storte, soprattutto se si pensa che i due all'epoca di "Le bunker" erano poco più che ventenni e certamente (anche se non amo fare i conti in tasca al mio prossimo) non avevano depositate sul conto corrente cifre invidiabili. Senza contare che anche l'aggettivo "grottesco" applicato al cinema andrebbe tradotto come "ehi, questo è un film senza capo né coda che abbiamo messo insieme con pochi mezzi cercando di fare qualcosa che sembrasse artistico ma che in realtà è solo una boiata". Io stesso, d'altra parte, se mi mettessero in mano una macchina da presa e mi chiedessero di girare qualcosa di originale, farei esattamente così. E se il pubblico non comprendesse l'inesistente messaggio del mio film sarebbe facile dagli la colpa per via di un suo non meglio identificato limite culturale. Ma veniamo al sodo.

In un mondo post-apocalittico un gruppo di soldati trascorre le sue giornate in un bunker di cemento. Per quanto ne sappiamo (e per quanto in apparenza ne sanno loro stessi), quei soldati potrebbero essere gli ultimi uomini sul pianeta. Non è ben chiaro in quale futuro possano essere ambientate le vicende descritte, ma, osservando le loro divise un po' retrò, simili a quelle usate nella II Guerra Mondiale, c'è la possibilità che ci venga presentato non un futuro, bensì un passato (o un presente) alternativo. Curioso il fatto che gli uomini hanno tutti la testa rasata e che la maggior parte di loro (e mi sono chiesto perché non tutti) indossano perennemente delle maschere antigas.
Un giorno uno dei soldati trova una macchina misteriosa con un contatore impostato su 99999. Un incidente fa partire il dispositivo e, minaccioso, inizia un delirante conto alla rovescia verso lo zero. Ciò porta alla paranoia all'interno della base e gli uomini iniziano rapidamente a uccidersi a vicenda nei modi più variegati (il responsabile dell'innesco del dispositivo, per esempio, viene punito drasticamente con una lobotomia).
Non c'è bisogno di sapere altro, e d'altra parte i due registi non fanno nulla per trasmettere allo spettatore una indicazione anche minima di ciò a cui sta assistendo. Il cortometraggio è completamente privo di dialoghi e l'atmosfera è quella cupa e opprimente di un luogo chiuso dove la buona illuminazione non è tra le caratteristiche salienti. La tavolozza dei colori è inoltre limitata principalmente al monocromatico verde, e ciò rende la visione ancora più soffocante, senza contare l'implacabile concerto di rumori metallici di ignota provenienza usati senza alcun riguardo per le orecchie del pubblico per tutta la durata dell'opera.

E qui sono costretto a chiudere con uno SPOILER, perché tanto lo so che questo film non lo vedrete mai, o se mai lo vedrete certamente non lo farete proprio adesso sull'onda delle emozioni che vi ha trasmesso questa mia "recensione". Quei pochi che invece vorranno farlo sono avvisati e si affretteranno a uscire da questa pagina prima che sia troppo tardi.
Cosa succede al termine del conto alla rovescia? Avete indovinato. Non succede nulla. E da qui può partire la scalata all'interpretazione di ciò che "The Bunker" potrebbe significare. Estrapolando la situazione al di fuori delle quattro mura nella quale è intrappolata, vediamo come in sintesi il cortometraggio metta in scena l'improvviso scatenarsi di una follia collettiva di fronte al terrore per qualcosa che è oggettivamente incontrollabile ma che, di contro, non necessariamente è reale. Viene facile un parallelismo con "La guerra dei mondi" (War of the Worlds), il celebre sceneggiato radiofonico trasmesso il 30 ottobre 1938 negli Stati Uniti dalla CBS e interpretato da Orson Welles che causò ondate di panico incredibili in quei radioascoltatori che non si accorsero che si trattava di una finzione. L'opera dei due registi francesi, almeno questa è la mia impressione, sembrerebbe porre l'accento sulle tecniche di manomissione dell'informazione, sull'influenza che i mezzi di comunicazione possono avere su una popolazione totalmente priva di ogni capacità di difesa, in quanto incapace, nel suo complesso, di una qualsivoglia elaborazione critica. È tuttavia possibile e anzi piuttosto probabile che alcuni individui riescano a riconoscere la manipolazione, ma la forza della collettività sia troppo forte, così superiore da non consentirgli di sottrarsi al disastro (ed è ancora più probabile che siano proprio quelli a venire schiacciati per primi in quanto portatori di opinioni non condivise). 
Ma forse nella mia ostinata ricerca di un significato sto sopravvalutando "The Bunker"; forse l'intento dei due registi era solo quello di trascinare lo spettatore in un bizzarro, insensato manicomio senza offrirgli una vera chiave di lettura, perché può anche darsi che non ci sia nulla da leggere. Se così fosse qualunque teoria sarebbe buona, tanto la mia quanto la vostra, anche se diversa o diametralmente opposta.


1 commento:

  1. Vedo su IMDb che il corto è del 1981 e scopro che Marc Caro eJean-Pierre Jeunet lavorano di nuovo insieme, nel 1991, per "la commedia nera surrealista post-apocalittica" Delicatessen... prossimo nella lista delle opere da vedere?

    Piuttosto, mi sbaglio, o avevi scritto che il cyberpunk non ti piace granché?

    RispondiElimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...