venerdì 14 febbraio 2025

Libro Vs. Film: Rosaura alle dieci

Mi accingo alla lettura di questo Sellerio, colto di passaggio sullo scaffale di una libreria lo scorso autunno, mentre attendo l'apertura del gate dal quale partirò a breve. Il volo che mi attende sarà uno di quelli lunghi e un libro dal titolo accattivante sarà, almeno così penso, il miglior compagno di viaggio possibile. Certo, avrei potuto mettere in valigia uno qualunque dei titoli già in mio possesso, magari uno di genere fantastico, di quelli che sono solito divorare uno dopo l'altro in rapida sequenza, ma stavolta ho optato per una casa editrice "generalista", giusto per non perdere l'abitudine. 
Sì, lo so che questo incipit lo avete già letto (infatti è uguale a quello che un paio di settimane fa ha aperto la recensione di "Attraverso la notte" di William Sloane), ma questo di cui sto parlando è il viaggio di ritorno. Stessa modalità di lettura, quindi, e stesse ore da riempire davanti a me, interrotto solo da qualche hostess incaricata di versare qualche caffè o vendere profumi che non interessano a nessuno.
In realtà non sono venuto in possesso di questo titolo in maniera casuale come nel caso di "Attraverso la notte", ma come frutto di una precisa ricerca, facilitata dal fatto che l'editore ha recentemente immesso sul mercato una nuova edizione di un romanzo storico del suo catalogo che era ormai da anni classificato come esaurito. Sto parlando, se non lo si fosse capito, di "Rosaura alle dieci", romanzo d'esordio di Marco Denevi, un'opera che ha portato all'autore argentino un successo immediato e ha gettato le basi per la sua carriera letteraria.
Ma veniamo alla molla che mi ha spinto all'acquisto. Sono venuto per caso a conoscenza, vagando sui social, dell'esistenza di un vecchio e dimenticato film per la tivù ("Rosaura alle dieci", appunto) di Gianluigi Calderone passato temo una sola volta, nel 1981, sulle reti nazionali, e interpretato dalla mitologica Daria Nicolodi (Rosaura), affiancata da Beppe Chierici e Renato Scarpa, e che è ormai dato per introvabile e irrecuperabile, perlomeno fino a quando qualcuno, frugando nei polverosi archivi RAI, non ci sorprenderà con un recupero. L'unico frammento che oggi ci è concesso si trova sul tubo, ed è un frammento dove si può ammirare la protagonista esibirsi in un tango. Riporto il breve video in fondo a questo articolo, nella speranza che almeno quello rimanga sempre là dove si trova ora. Credo sia superfluo dire che un vecchio film in bianco e nero con la Nicolodi (che, senza sminuire nessuno, vedo un po' come la Jamie Lee Curtis italiana) mi farebbe estremamente gola. Nel frattempo mi faccio bastare il romanzo che, ora che l'ho letto posso dirlo, è un giallo estremamente piacevole e ricco di colpi di scena, oltre a essere stato scritto con una tecnica forse non originalissima ma decisamente notabile.

Ma di quale forma non originalissima parliamo? Beh, ma di quella resa famosa da almeno un paio di opere di narrativa che sono ormai dei classici del genere, ovvero "La morte della Pizia" (Das Sterben der Pythia), pubblicato nel 1976 da Friedrich Dürrenmatt, e il racconto del 1922 “Nel bosco” (Yabu no naka) di Ryūnosuke Akutagawa, ispirato al “Konjaku Monogatari”, che a sua volta ispirò Akira Kurosawa per il soggetto di “Rashomon”, vincitore del Leone d'Oro al festival del cinema di Venezia nel 1951. A queste opere possiamo anche aggiungere "Quante volte... quella notte" (1971), uno dei film meno noti di Mario Bava. La struttura di tutte queste opere è arcinota: diverse persone coinvolte in un delitto forniscono la loro personale testimonianza di quanto avvenuto, e nessuna di esse collima con le altre. 
Si noti che nelle loro opere tutti questi autori si sono limitati a presentarci i diversi punti di vista dei personaggi senza indicare alcuna conclusione né chiave di lettura: per tutti loro, infatti, la morale era che una verità assoluta non esiste, poiché tutto ciò che è accaduto o che abbiamo appreso è stato filtrato dalla personalità e dalla coscienza dell'individuo.
In "Rosaura alle dieci" vi è invece un'evoluzione: ogni singolo punto di vista rivela al lettore dei particolari che il narratore precedente non aveva evidenziato perché in grado di vedere solo una parte della verità.

Non è forse nemmeno un caso che la testimonianza del primo personaggio (su cinque narratori in totale) occupi da solo più della metà del libro. E forse non è nemmeno un caso che Marco Denevi abbia deciso di scoprire in anticipo quasi tutte le sue carte già nel terzo capitolo (dal titolo rivelatore di "Conversazione con l'assassino"). Egli evidentemente non intendeva perseguire la logica narrativa dei suoi illustri colleghi (anche perché Dürrenmatt, per esempio, gli è di parecchio successivo), ma più banalmente voleva proporre un romanzo giallo originale, dove l'investigatore rimane una presenza passiva che si limita ad ascoltare le testimonianze dei testimoni e del sospettato. La narrazione si dipana attraverso le loro prospettive contrastanti, lasciando al lettore il compito di ricomporre il puzzle. Confrontando questi diversi resoconti, alcuni fuorvianti, altri distorti, chi legge ricostruisce gli eventi e scopre la verità, rivelata solo nelle ultime parole dell'ultimo testimone. Con i suoi elementi di tragicommedia e una struttura narrativa magistrale, "Rosaura alle 10" è un'opera rivoluzionaria che sfida le convenzioni e immerge i lettori in un emozionante esercizio intellettuale. Una lettura obbligata per gli amanti del mistero, del dramma psicologico e della narrazione non convenzionale.
Aggiungo che leggendo "Rosaura alle dieci" mi sono sorpreso a pensare di trovarmi di fronte a un romanzo in bianco e nero. Ma ciò non a causa delle trasposizioni cinematografiche, chiaramente datate, che installano nella mente proprio quel tipo di immagini, ma piuttosto perché in ogni successivo capitolo prevale il totale distacco da ciò che si è appreso nel capitolo precedente. Detto in un altro modo è come un susseguirsi di luci e ombre, come l'alternarsi del giorno e della notte, e il lettore non fa altro che andare avanti e tornare indietro, mettendo continuamente in discussione, una volta capita l'antifona, tutto ciò che aveva acquisito fino a quel momento. "Chi più guarda meno vede!" dice a un certo punto uno dei personaggi. Ed è assolutamente vero.


Ma di cosa tratta l'opera di Denevi? Mi piacerebbe rivelare tutto in questo articolo, ma "Rosaura" è il tipo di romanzo che il lettore dovrebbe gustare da solo poco a poco, una riga dopo l'altra, quindi rivelerò solo pochi, minimi dettagli. 
In una pensione gestita dalla signora Milagros Ramoneda, una vedova ficcanaso, il sipario si alza con l'arrivo di un pittore dai modi gentili di nome Camilo Canegato. Timido ma generoso, Camilo riesce ben presto a farsi benvolere dalla padrona di casa e dalle sue tre figlie, e va abbastanza d'accordo con i pensionanti più chiassosi e anch'essi ficcanaso. Si tratta, lo avrete forse capito, di una di quelle strutture ricettive dove la gente si ferma a lungo, addirittura per anni, se non per tutta la vita, e dove la padrona di casa diventa nel tempo un po' la mamma di tutti. 
Il pittore diventa il centro del pettegolezzo generale nel momento in cui inizia a ricevere lettere d'amore profumate da una donna di nome Rosaura. La signora Milagros, che non riesce a resistere alla curiosità, apre una delle lettere e, scandalizzata dal contenuto, chiede a Camilo una spiegazione. Lui rivela di essere stato contattato da un uomo ricchissimo che gli ha commissionato un ritratto della sua giovane figlia, Rosaura. In corso d'opera pittore e modella si innamorano, ma la loro unione è ostacolata dal padre autoritario di Rosaura. Camilo è rassegnato alla fine della loro relazione, ma la signora Milagros e le sue figlie insistono affinché lui combatta per la sua mano. Ma Camilo non sembra dello stesso parere. 
Tutto cambia quando Rosaura, una sera alle dieci, bussa alla porta della pensione. E da quel preciso istante il romanzo scarta lateralmente dal suo placido percorso, una forte accelerazione in un processo che fino a quell'istante era stato solo graduale.

Mi piacerebbe proseguire nella narrazione ma, come detto, è giusto che chi si accinge alla lettura di "Rosaura alle dieci" possa godere del piacere della scoperta e mettersi in tasca tutti i nuovi elementi di cui Marco Denevi non è affatto avaro. E di quei nuovi elementi se ne trovano praticamente in tutte le pagine, al punto che, tecnicamente, al termine di ogni capitolo il romanzo potrebbe chiudersi e il lettore ne sarebbe allo stesso modo soddisfatto. Sta proprio al lettore proseguire nella lettura e mandare a monte il castello di carte oppure interrompersi e farsi andar bene la soluzione raggiunta fino a quel momento che, e questo è il punto geniale, funziona lo stesso perfettamente.

E poi c'è il film. Non quello con la Nicolodi che, come detto, è irrecuperabile, ma quello le cui immagini ho inserito a corredo di questo articolo. Esse provengono da un adattamento argentino del 1958, precisamente da "Rosaura a las diez" (1958) diretto da Mario Soffici e, nel momento in cui scrivo, disponibile sul tubo seguendo questo link
Nato a Firenze nel 1900, Mario Soffici arrivò in Argentina all'età di nove anni. Si diplomò perito elettronico, ma a 28 anni era già un affermato attore di teatro classico, e in una tournée a Barcellona conobbe il regista José Ferreyra, uno dei grandi padri del cinema argentino. Soffici fu maniacale nel suo lavoro: studiò il cinema dal punto di vista tecnico, cercando di scoprire le leggi della cinetica attraverso lo studio dei negativi. Ciò che gli interessava, in particolare, era il nesso tra l'immagine proiettata e la capacità di vedere dell'occhio.

Interpretato da Juan Verdaguer, all'epoca un comico di grande successo (qui eccezionalmente in una parte drammatica), "Rosaura a las diez" è un ottimo giallo in bianco e nero che ben rispetta il continuo esercizio di depistaggio impostato da Denevi nel suo romanzo. Chi non ha letto il libro dovrà però prestare molta attenzione a ciò che accade sullo schermo, perché gli indizi sono sia intelligenti che sottili e si rischia di perdere dei passaggi fondamentali alla comprensione della vicenda. Il mio consiglio è certamente quello di iniziare dal romanzo e solo successivamente passare al film; anche perché questa versione di "Rosaura a las diez" è recitata in spagnolo e sottotitolata in inglese, e anche chi conosce sufficientemente entrambe le lingue potrebbe far fatica a decidere a cosa prestare maggiore attenzione.
Nel cast troviamo anche María Luisa Robledo che, nella parte della locandiera, offre per distacco la migliore performance (ha anche le battute migliori), sebbene a tratti la sua interpretazione risulti particolarmente sopra le righe. Susana Campos (Rosaura), donna tra l'altro di una bellezza incantevole, offre anch'essa una prova superba. Il regista Mario Soffici recita anch'esso in alcune scene (è il milionario che assume Camilo) e non sfigura affatto.
Se la prima metà del film scorre piatta e tranquilla, quasi come una rappresentazione teatrale, è la seconda parte del film, visivamente, a essere la migliore. Le atmosfere cambiano al punto che si potrebbe pensare che sia addirittura un altro film. La fotografia diventa surreale, i contrasti del bianco e del nero si fanno più netti seguendo lo stile dei classici film tedeschi degli anni '30. In un paio di scene in particolare i personaggi di Camilo e Rosaura vengono trasfigurati a tal punto che lo spettatore farà fatica a controllare la pelle d'oca. 
Si noti che il film finisce nello stesso modo in cui inizia: la scena è esattamente la stessa, ma lo spettatore, sapendo già cosa succederà da quel momento in avanti, la approccia in modo diametralmente opposto. Solo questo particolare, assolutamente geniale, vale da solo la visione. Senza dubbio "Rosaura a las diez" è tra i migliori film a cui mi sia capitato di assistere da un po' di tempo a questa parte e mi chiedo se un eventuale (quanto improbabile) remake, anche con i mezzi odierni, potrebbe esserne all'altezza. 

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