“La vera sconfitta in tutto è di dimenticare e specialmente ciò che ci ha fatto crepare, e crepare senza capire sino a qual punto gli uomini siano cani. Quando usciremo da questo crogiuolo, non occorrerà fare i furbi, ma nemmeno dimenticare; occorrerà raccontare tutto senza cambiare una parola, tutto quello che c’è di piu schifoso negli uomini; e poi morire e scendere nella tomba. Come lavoro, basta, per una vita intera..” (Louis-
Ferdinand Céline)
Sono anni che questa recensione si stava scrivendo nella mia testa: forse l’ho iniziata ancora
prima che questo blog aprisse i battenti, un milione di anni fa, quando vidi per la prima volta questa
meravigliosa copertina della prima edizione Corbaccio datata 1992 nella vetrina di una libreria, al
tempo della sua uscita. Senza saper nulla di nulla, né dell’autore né della trama, mi feci catturare
dal titolo e iniziai a fantasticarci sopra. Uno o forse due tra i miei amici dell’epoca pare lo avessero
già letto (o almeno così divenao), ma non volli indagare più di tanto e iniziai il mio percorso di
scoperta di Louis-Ferdinand Céline in completa autonomia, spinto non solo ovviamente da un titolo
e una copertina, ma dal fatto che quello era l'uomo che fece dire a Charles Bukowski, mentre
leggeva appunto il Voyage, "Céline mi ha fatto vergognare di quanto sia scarso io come scrittore
rispetto a lui". (1)
