mercoledì 7 novembre 2012

Lupus in Canada

Rivisto a diversi anni dalla sua uscita, "Licantropia Evolution" (Ginger snaps) fa ancora un certo effetto. Questo piccolo film canadese del 2000 non è affatto un teen-movie, come di primo acchito si potrebbe pensare. Anch’io ho creduto questo trovando il DVD in un cestone a pochi euro, comprandolo senza troppe aspettative e approcciandolo con le stesse, minime, pretese. Bisogna dire che in tal senso il titolo non aiuta: in inglese suona bene, non si discute, ma sembra un po’ puerile e inoltre si confonde facilmente con Ginger Snaps: Unleashed, il titolo del secondo capitolo della storia datato 2003. Incredibile a dirsi, in italiano siamo riusciti a fare di peggio: Licantropia evolution non solo è anonimo, ma si confonde altrettanto facilmente con "Licantropia Apocalypse", il titolo scelto per il film successivo. Dato che una traduzione decente di Ginger snaps in italiano sarebbe stata impossibile, sarebbe forse stato il caso di lasciare i due titoli in lingua originale… Comunque se di teen-movie si tratta, lo è esclusivamente nella misura in cui i protagonisti sono tutti adolescenti e la trama associa in maniera molto originale la trasformazione in licantropo al passaggio alla pubertà della protagonista, la Ginger del titolo; siamo ben lontani dalle atmosfere ridanciane di Voglia di vincere , tanto per fare un esempio: qui la messa in scena è veramente inquietante e il sangue scorre a fiumi. Inoltre si introduce qualche elemento di novità non disprezzabile. Dimenticatevi tutti i luoghi comuni che conoscete: in questo film la licantropia non è una condizione temporanea, ma una trasformazione che diventa permanente con il sorgere della prima luna piena e che modifica la vittima non soltanto nel fisico, ma anche nell’indole. Dimenticatevi anche i proiettili d’argento: per uccidere un licantropo qui basta davvero molto poco. Inoltre lo sceneggiatore accenna ad una cura, anche se provvisoria, per la licantropia, ripresa pari pari dalle credenze popolari. Questa’idea nella filmografia licantropica ha già almeno un precedente: mi viene in mente "Il lupo mannaro di Londra" (Werewolf, 1935) in cui l’antidoto era però il fantomatico fiore Marifasa (Mariphasa lupina lumina) originario del Tibet, e probabilmente ci sono chissà quanti altri esempi che al momento non mi sovvengono. Ma come al solito ho divagato e torno quindi a Licantropia evolution

In un sobborgo canadese, due sorelle di 16 e 15 anni, Ginger (Katharine Isabelle) e Brigitte Fitzgerald (Emily Perkins), non proprio le classiche ragazze della porta accanto, sono totalmente insofferenti alla vita da adolescente e alla logica vacua e conformista dei propri coetanei. Nulla di nuovo, penserete voi. Non proprio, perché le due non si limitano a stare per conto loro, autoemarginandosi… Le due freak -  Fitzenstein o Fitzen sisters, come le chiamano a scuola - coltivano orgogliosamente la propria diversità, a cominciare dall’abbigliamento volutamente dark (Ginger) e trasandato (Brigitte) fino ad arrivare all’inusuale e macabra abitudine di inscenare, fotografare e riprendere i loro finti suicidi... Anche con i genitori, brave persone ma totalmente assenti, non va molto meglio. Il padre (John Bourgeois) è come non ci fosse e la madre (Mimi Rogers) è convinta che per educare le proprie figlie al meglio debba lasciargli ampia libertà e non intromettersi nelle loro questioni private. 

Una sera Ginger, subito dopo la comparsa delle sue prime mestruazioni, viene aggredita da un licantropo attirato dall’odore del sangue. Ferita, riesce però a fuggire con la sorella mentre il licantropo muore investito da un furgone; ma i graffi l’hanno ormai già infettata e lei comincia la sua lenta, inevitabile trasformazione in lupo mannaro. Nel giro di brevissimo tempo la ribelle e ritrosa Ginger diventa sempre più disinibita e sessualmente rapace, tanto da avere il suo primo rapporto proprio con uno dei ragazzi che fino a pochi giorni prima disprezzava. Il problema principale, naturalmente, è che i suoi istinti animaleschi sono sempre più pronunciati, esasperati da forza ed olfatto sovrumani che man mano le si affinano, e scatenano un’aggressività sempre più difficile da controllare. Potremmo dire che la trasformazione di Ginger sia una sorta di tributo all’età adulta… un tributo di sangue, nel senso letterale del termine, come se da una società moderna lei si trovasse di colpo catapultata in una realtà sensoriale dove vigono regole tribali… 

Mentre Ginger lotta per restare umana, Brigitte cerca disperatamente di trovare un antidoto per evitare la sua trasformazione. E lo trova: è l’estratto del fiore viola dell’Aconitum di lycoctonum, che ha tra le sue proprietà quelle di stimolare la crescita dei globuli bianchi (in italiano tradotto erroneamente come dente di leone: ma dente di leone, taràssaco o soffione è il nome comune del Taraxacum oficinale, una pianta dal fiore giallo piuttosto comune nei nostri prati, che mi risulta abbia principalmente proprietà diuretiche). In realtà il fiore a grappolo viola che Brigitte sgraffigna dal centrotavola della cucina sembrerebbe più quello dell’Aconito napello (Aconitum conitum napellus subsp. napellus), ma poco cambia… Entrambe le piante sono tossiche, in quanto buona parte delle sostanze che contengono sono nocive per l'uomo: quindi il fiore potrebbe curare Ginger, oppure ucciderla… ma Brigitte non ha altra scelta e decide di distillarne l'essenza con l'aiuto di Sam (Kris Lemche), un giovane spacciatore. 
Gli eventi precipitano quando il lato oscuro di Ginger prende il sopravvento: “Ho varcato il confine tra confusione e male” dice Ginger con il viso sporco di sangue fresco. “È una sensazione così bella, Brigitte. È come toccare se stessi, conoscere ogni tuo movimento, fino al punto scatenante. E dopo vedo i fuochi artificiali, le supernove… Io sono una forza della natura, sento che potrei fare tutto quello che voglio.” Quella sorta di simbiosi in cui le due sorelle si sono crogiolate fino a quel momento si è spezzata. “Non ti vedo quasi più come una sorella” dice Ginger, che nel tentativo di ristabilire il vecchio status quo tenta di trascinare Brigitte nel suo nuovo mondo: “Non farti pregare. Un graffietto, ci scambiamo un po’ di liquidi. Faremo di nuovo branco come prima. È la nostra essenza, B.
Una volta scoperto il gusto del sangue, Ginger non è più disposta a tornare indietro: “Credi che io voglia tornare indietro ed essere nessuno?!?” 

È evidente che il tema della licantropia assurge qui a metafora dell’adolescenza, ovvero del passaggio all’età adulta che passa tramite radicali trasformazioni fisiche e mentali che non sono mai indolori. Certo (e per fortuna!) non per tutti gli adolescenti crescere è traumatico come per Ginger, ma quello che le accade nel film, per similitudine, serve a rammentare a chi quella fase l’ha passata da un pezzo quanto possa essere difficile. In questa logica anche il finale, per nulla consolatorio, trova una sua spiegazione che non sia soltanto garantire la possibilità girare un seguito della storia: per quanto lo desideriamo, e per quanto cerchiamo di opporci ad esso, non possiamo fermare lo scorrere del tempo. Sarà lo stesso quando dovremo assistere al declino del nostro corpo nel corso degli anni, e quando infine dovremo lasciare questa terra.

Pensando a come si propaga la licantropia, ovvero con la logica del virus, mi è venuto spontaneo anche associare questo stato alla malattia mentale. Ma non parlo certo della malattia congenita della mente, piuttosto degli effetti di un’altra malattia che abbia ripercussioni sul cervello (la “brutta bestia” per eccellenza, il tumore, ma anche l’Alzeheimer, ecc.ecc.). Quando l’intelletto, il raziocinio di una persona vengono minati, l’immagine del malato che affronta serenamente la sofferenza e la malattia spesso è molto 
lontana dalla realtà. La malattia, specialmente quando è degenerativa e colpisce il cervello, cambia la personalità del malato: così spesso chi in vita è stato tranquillo si scatena (o viceversa). I malati soffrono e niente di più facile che questa sofferenza si tramuti in frustrazione o rabbia. Non vorrei essere frainteso, perciò ci tengo a dire che la mia non è certo una critica, ma soltanto una constatazione (un’amara constatazione, perché so quello di cui sto parlando).

All’inizio di questo post ho citato il sequel del 2003 Licantropia Apocalypse (Ginger Snaps: Unleashed). In questo film la storia è tutta incentrata su Brigitte, mentre Ginger compare solo in qualche cameo (è la coscienza della sorella, o forse sarebbe meglio dire il diavoletto che le sussurra nell’orecchio…). Rimasta sola, a sua volta infetta, Brigitte si cura con iniezioni di aconito – è qui che scopriamo che questo preparato rallenta la trasformazione, ma non permette di evitarla - mentre un licantropo le dà la caccia per accoppiarsi con lei. Quando Brigitte per sfuggirgli si ferisce, perde conoscenza e viene scambiata per una tossica. Rinchiusa a forza in un rehab, la ragazza si ritrova privata dell'antidoto e braccata dal licantropo che nel frattempo caccia, nascosto nell’ombra del bosco che circonda la clinica. Fin qui il film ha una trama abbastanza convenzionale: ragazza sana (perlomeno in merito a quello di cui viene sospettata…) rinchiusa per errore, infermiere approfittatore/porco, psicologa piena di buone intenzioni ma del tutto ignara della reale portata della minaccia che incombe, ecc.: se vi sembra di aver già visto tutto ciò, è perché effettivamente lo avete visto altre mille volte… anche se Licantropia Apocalypse regala forse qualche sussulto più della media. Dalla clinica però Brigitte riuscirà a fuggire con l’aiuto di una strana bambina soprannominata Ghost, ed è qui che si cambia registro... Ghost è in effetti il personaggio più interessante del film, una versione infantile e a ben vedere più inquietante dell’Elijah Price di Unbreakable - Il predestinato... e ho già detto tutto. Il film è ben fatto e trasporta la metafora su tutto un altro piano, più immediato rispetto al primo film, quello della tossicodipendenza…
Mentre scrivo queste righe non posseggo ancora una copia di “Licantropia” (Ginger Snaps Back: The Beginning) , la terza parte della trilogia girata sempre nel 2003. So che però si tratta di prequel e quindi non ho fretta di procurarmela. Nel frattempo, se non si fosse capito, per quanto mi riguarda è un bel pollice alzato per entrambi i film, direi che meritano senz’altro una visione. Considerateli per quello che sono, divertimento intelligente, e sicuramente li apprezzerete.

4 commenti:

  1. Grande trilogia quella di Ginger Snaps, sicuramente una cosa molto diversa dal solito.

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  2. Beh, considerando che il mio soprannome è proprio Ginger, direi che non posso assolutamente perdermeli questi film!! Grazie della dritta

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