martedì 9 dicembre 2014

Veduta di Carcosa

Si era preso un giorno per riordinare idee e appunti, cercando in Rete altre informazioni sul neopaganesimo e anche su Hastur “l’indicibile”, la misteriosa divinità citata nei libri dei Federici. Non aveva trovato che oscuri riferimenti a una fantomatica creatura che viveva in un posto chiamato “Lago di Hali”, che non era segnato su nessuna cartina geografica. Secondo gli autori di quei siti deliranti, Hastur era uno dei Grandi Antichi, creature stellari giunte sulla terra da un misterioso “universo esterno”. I nomi degli altri Antichi erano ancora più deliranti: Cthulhu, Nyarlathotep, Glaaki, Koth. A detta di un blogger olandese, molte antiche civiltà avevano adottato i culti di quelle creature, spesso mascherandole dietro alle religioni tradizionali, come per esempio il pantheon egiziano, greco e romano. Indubbiamente Brando era stato colpito da tutta quella mole di informazioni bislacche. In alcune illustrazioni poteva, infatti, distinguere dei paesaggi metafisici, con le caratteristiche della geometria non euclidea che anche il Maestro De Chirico aveva dipinto frequentemente.
Quando diversi mesi fa abbiamo iniziato questa serie di post, una delle prime questioni che ci siamo posti accarezzava la possibilità che i paesaggi descritti nel “Re il Giallo” potessero essere (o essere stati) in qualche modo reali. Ad una mente lucida potrà sembrare ridicolo il solo pensare di poter trasportare nel nostro mondo le descrizioni contenute in un libro; tantomeno, come è il nostro caso, poter ricavare qualcosa di concreto da un libro che apparentemente non esiste, uno pseudo libro, ma lo scopo di questa rubrica è proprio quello di analizzare tutte le ipotesi, prima di scartare quelle più assurde.
Della geografia del “Re in giallo” originale, il libro maledetto descritto da innumerevoli scrittori in tutte le epoche, sono giunti a noi solo pochi insignificanti particolari. Avevamo chiuso il post precedente ribadendo l’ipotesi, tutt’altro che azzardata, che i luoghi del Re in giallo potessero appartenere ad una dimensione alternativa alla nostra. Siamo venuti a conoscenza da Robert W. Chambers dell’esistenza del lago di Hali, sulle cui acque si specchierebbe un’antica città conosciuta come Carcosa. Sappiamo dalle parole dello stesso scrittore che il paesaggio circostante sarebbe illuminato di giorno da due soli gemelli e che la notte questi ultimi lascerebbero il posto a stelle nere e a strane lune rotanti nel cielo. Sappiamo che ad un certo punto della sua storia Carcosa cadde (o cadrà) in disgrazia, ma non sappiamo se questo accadde (o accadrà) in un tempo passato o nel futuro. Ricordate le parole che Ambrose Bierce fece dire ad un suo personaggio dinanzi alla lapide che riportava il suo stesso nome? Egli disse “Ed improvvisamente, allora, capii che quelle erano le rovine dell’antica e famosa città di Carcosa.” Un uomo dinanzi alla sua tomba è evidentemente un paradosso temporale, non vi pare? Era quindi il passato o il futuro, quello a cui assistette la caduta di Carcosa? Dobbiamo guardare verso una diversa dimensione spaziale o temporale? O entrambe? E cosa c’entra in tutto ciò Giorgio De Chirico, l’indiscusso padre della pittura metafisica? Per scoprirlo non ci resta che spostarci a Ferrara, la città emiliana dove la scuola metafisica di De Chirico nacque e crebbe. 

Metafisica, ovvero l’esperienza che trascende l’uso dei cinque sensi a noi noti. Metafisica, ovvero un universo che non si adegua alle leggi fisiche che conosciamo. Metafisica, uno stato alterato di coscienza che consegue la perdita di coscienza come noi la conosciamo. Metafisica, ovvero il pensiero irrazionale che espande l’orizzonte del razionale e lo prevarica. Giorgio De Chirico aveva in mente tutto questo quando, per primo, cercò di rappresentare l’irrappresentabile, di mostrare la materia soggetta a forze misconosciute, quando per primo spalancò per noi una finestra su un universo nuovo, sconosciuto, al di là del tempo e dello spazio. Un luogo reale o irreale? Il geniale Pictor Optimus era forse giunto a vedere oltre ciò che noi normalmente vediamo? Con che cosa davvero ebbe a che fare Giorgio De Chirico? Cosa lo ispirò a tal punto? "Abbiamo compiuto il rito saturnino con Giorgio. Come pensavo, lui è un grande catalizzatore, a cui è concesso il dono oracolare, che esercita con la pittura […] De Chirico ha ritratto mirabilmente ciò che il rito ha mostrato, come altri non hanno mai fatto prima. Il ragazzo ha talento, ma è rimasto spaventato da noi e da ciò che ha visto. Se ne è fuggito la mattina seguente, in fretta e furia, lasciando qui ciò che ha disegnato in questi pochi giorni. Sorprendentemente i suoi stessi dipinti hanno una forte aura medianica, simile a quella dei nostri oracoli rituali. Li conserveremo nel tempio segreto, a memoria di ciò che solo raramente possiamo ammirare".

Giorgio De Chirico aveva quindi visto Carcosa? Sarebbero di Carcosa quelle architetture che abbiamo visto migliaia di volte rappresentate nei suoi dipinti, quelle prospettive costruite secondo innumerevoli punti di fuga incongruenti tra loro? Sarebbero abitanti di Carcosa quelle strane figure dalle ombre così lunghe, troppo lunghe rispetto agli orari del giorno rappresentato? Sarebbero abitanti di Carcosa quelle figure senza volto e quegli "architetti" con le gambe troppo corte rispetto al corpo? È in quelle atmosfere innaturali, in quei contrasti di luce e oscurità, che risiede quindi Carcosa? E da cosa è causata quella sensazione di sospensione e di straniamento che ci coglie quando guardiamo quelle immagini?
La risposta a tutte queste domande cerca di darcele un giovane scrittore italiano ben noto nell’angolo di blogosfera a noi più prossimo. Il personaggio in questione scrisse anni addietro un breve racconto dal titolo “Veduta di Carcosa”, un racconto di cui anche i suoi lettori più affezionati forse ignorano l’esistenza, un racconto di cui lui stesso non parla più da secoli, quasi come se, per qualche misteriosa ragione, avesse deciso di consegnarlo all’oblio.
Eppure da “Veduta di Carcosa” emerge un’idea affascinante, quella di un De Chirico esoterico alle prese con il culto di antiche divinità ormai dimenticate. Il pittore italiano sarebbe stato, secondo il suddetto scrittore, iniziato ai cosiddetti “culti saturnini”, attraverso i quali sarebbe stato testimone di orrori indicibili. I suoi dipinti, quelli che oggi classifichiamo come pittura metafisica, altro non sarebbero che la testimonianza terrena di quelle sue incredibili esperienze. 

Tra i piccoli gruppi di paganesimo moderno, se ne presume uno, molto misterioso, stanziato nel ferrarese. Diverso dagli altri culti politeisti, si tratterebbe di una setta enoteista incentrata su Saturno, divinità romana dell’agricoltura. Il suo corrispettivo greco, Crono, divorò i suoi figli, prima di essere sconfitto da uno di essi, Zeus. Da alcuni documenti appartenuti a questa setta, è possibile intuire che dietro a Saturno si celi in realtà la venerazione di un’antica divinità pre-ellenica, Hastur l’Indicibile. Il rito saturnino non è da confondersi coi più noti saturnali, le antiche festività romane in onore del Dio dell’agricoltura. Il rituale semisconosciuto di cui lei mi domanda è di un periodo più tardo. Pare che si riferisca a un’evocazione oracolare atta ad aprire una finestra sulla dimensione dove, secondo i celebranti, gli Antichi Dei sarebbero esiliati dall’affermazione del cristianesimo come nuova religione dell’Impero. (cit. Veduta di Carcosa)

Ma chi era davvero Giorgio De Chirico? Secondo la sua compagna Isabella Far (cit. Monografia del 1968 dedicata al compagno) De Chirico “conosceva le difficoltà che, per un pittore dell’epoca nostra, rappresenta la ricerca dei segreti degli antichi maestri, i segreti della scienza pittorica. (…) Per giorni interi, alzandosi a volte perfino di notte, come un alchimista nel suo laboratorio, cercava la materia meravigliosa. Il grande problema, il grande mistero erano gli ingredienti e il loro dosaggio preciso…”. Alla luce di queste parole si potrebbe azzardare una reinterpretazione delle opere di De Chirico tentando la strada del simbolismo alchemico. A conferma di ciò, vi rimanderei alla consultazione della rivista online Engramma, dove viene suggerito che “l'opera pittorica dechirichiana potrebbe essere interpretata come rivelazione di un itinerario iniziatico, poiché un gran numero di sue tele presentano continuamente, già dai primi anni di Monaco e Parigi, celate con sapienza, allusioni e analogie con la sterminata iconografia dell'Ars Regia.” 
C’è tutto un mondo da esplorare, ma il rischio è quello di uscire eccessivamente dal seminato. Lungi da me, oltretutto, inerpicarmi sul terreno sdrucciolevole dell’alchimia e della libera muratoria per cui, se me lo permettete, tornerei alle “visioni” che De Chirico (o meglio, la sua versione letteraria) ebbe nel corso dei sopra citati riti saturnini, riti che gli permisero di ritrarre mirabilmente ciò che gli fu mostrato ma che, in seguito, lo terrorizzarono al punto dal farlo fuggire.

Ma cosa vide De Chirico? E come riuscì a vedere ciò che vide? Questo ce lo spiega lo stesso artista, il quale, in un’autentica del 2 marzo 1976, scrive: “Alcune immagini metafisiche appaiono tra il sonno e la veglia, quando non si è proprio addormentati. L’immagine nell’aspetto fisico procura sempre una gioia mista a sorpresa. Ma salvo l’aspetto metafisico che hanno certe città come Torino, gli aspetti metafisici più ricorrenti appaiono sempre in una stanza nella quale sul fondo compare una finestra. Questi oggetti metafisici hanno sempre aspetti geometrici ben definiti: triangoli, rettangoli, trapezi, qualche volta si intravede anche la sagoma di un tempio”(cfr. De Chirico, Memorie della mia vita, Bompiani, Milano 1998). 
L’attimo che separa il sonno dalla veglia è quindi la chiave? La via di accesso per Carcosa si trova forse a metà strada tra il conscio e l’inconscio? Da qualche parte nel luogo, o nel momento, di passaggio tra l’esperienza onirica (la realtà rimossa) e l’esperienza cognitiva (la realtà lucida)?
La lettura di “Veduta di Carcosa” fornisce delle risposte, anche se ovviamente non tutte. Cercheremo di saperne di più ponendo alcune domande direttamente all’Autore nei prossimi giorni. Come dite? Di chi stiamo parlando? Davvero non l’ho ancora detto? È uno scrittore che probabilmente tutti voi conoscete bene, il cui blog Plutonia Experiment si trova quasi certamente anche nel vostro blogroll. Ladies and Gentlemen, tra pochi giorni qui sul blog avremo come ospite Mr. Alessandro Girola

25 commenti:

  1. Il blog di Alessandro Girola si trova effettivamente nel mio blogroll.
    Di De Chirico poi conoscevo il suo rifiuto dell'uso dei colori industriali (che secondo lui invalidavano l'opera) e la sua mania della preparazione artigianale dei colori, ma non immaginavo che desse a questa pratica un significato perfino alchemico.

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    1. Sapevo anch'io della sua preferenza per i colori artigianali. Lo racconta lui stesso nel famoso video dove lo vediamo intento a dipingere "Il sole sul cavalletto", ripreso in diretta dalle telecamere della RAI.

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  2. Ho studiato De Chirico proprio quest'anno, per un esame universitario. Questa sua "variante alchemica" mi incuriosisce, e senz'altro è un personaggio che ben si presta a racconti particolari, dove fisica e metafisica si mescolano.

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    1. La questione alchemica è una delle tante teorie costruite sulla figura di De Chirico, attraverso gli innumerevoli indizi che lui stesso ha sparso nelle sue opere. Non è difficile riconoscere in certi simboli, quali scacchiere, squadre e colonne, evidenti rimandi all'immaginario massonico.

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  3. C'entra poco col tuo posto, comunque secondo Philippe Daverio la vera fonte di ispirazione di De Chirico non sarebbe l'Italia, almeno agli inizi della sua attività, ma Monaco di Baviera, dove trascorse molti anni della giovinezza. Secondo il critico italo-francese i portici e le arcate sono quelle in un famoso edificio neoclassico della capitale bavarese, così come si vede dalla vetrata del secondo piano di un locale che De Chirico frequentava durante la sua permanenza a Monaco.

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    1. Da qualche parte invece mi pare di aver letto che i suoi portici richiamino Torino, un'altra città molto amata da De Chirico. Bisognerebbe verificare le date dei quadri con le date dei suoi soggiorni ma probabilmente alla fine avrà ragione Daverio.

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  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    1. Allora, onestamente affermo che non ho mai 'studiato' De Chirico nel senso classico del termine... nonostante gli studi intrapresi io con gli artisti vado a pelle, quello che mi comunicano me lo lascio dire dalle opere stesse e poco se non nulla dalle critiche artistiche o dai testi di studio, infatti sono una frana nel ricordare date, biografie e roba varia.
      Però leggendo il tuo articolo e guardando contemporaneamente le opere mi sono venute in mente dell idee.
      La ricerca dell'alchimia e della materia miracolosa per un pittore io credo stia tutta nel colore e nei pigmenti, non è una ricerca di magia o alchimia nel senso 'occulto' del termine, ma nel senso più pratico del disfare totalmente il proprio ego votandolo a ciò che si sta maneggiando, è qualcosa di simile alla magia, alla religione ma è assolutamente concreta, carnale anzi è la sublimazione del carnale.
      La metafisica che De Chirico osserva nelle città, nelle stanze con finestre è per me la pura attenta scrupolosa osservazione di un occhio, una mente che viene attratta da qualcosa e se ne lascia trasportare senza chiedere, senza muovere un passo al di fuori di essa: senza ego.

      Gli artisti sono conosciuti come grandi egocentrici, ma in realtà è proprio il loro ego che si annulla quando creano, secondo me e questo genera la fusione con il reale dell'immaginario.

      Carcosa? Rito saturnino? Non saprei, sinceramente credo di più che, messa in condizioni specifiche, una mente gravida e fervida una volta coinvolta attui il processo immaginifico cogliendo e captando tutto ciò da cui è stimolata per poi trasmutarlo in propria materia. Questa per me è l'alchimia di cui si potrebbe parlare!

      Ma ti ripeto: sono totalmente ignorante in fatto di vicissitudini biografiche, quindi posso aver detto delle fandonie totali, però mi avvicino sempre di più alla lettura di Ebdomero, un libro scritto da De Chirico, chissà se lì dentro ci siano le risposte alle tue domande!

      (PS: Ho dovuto cancellare e rivedere il commento perché di fandonie ne avevo scritte... ma lessicali :°D)

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    2. Probabilmente hai ragione tu. Ho ascoltato alcune interviste di De Chirico, tra cui il famoso filmato RAI anni Settanta citato in un commento qui sopra, e mi è sembrato fosse una persona molto semplice e umile, molto lontana da ciò che cercando di farci intendere le cosiddette "teorie cospirazioniste", sulle quali, come avrai notato, nel dubbio, ho volutamente sorvolato.
      Resta il fatto che alcuni particolari dei suoi dipinti sono davvero singolari e, anche ammettendo che non vi si sia nulla dietro, è plausibile pensare che De Chirico li abbia inseriti apposta per far discutere coloro che sguazzano nella ricerca forzata del significato delle cose...

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    3. Questo è assolutamente possibile! Il processo creativo porta ad idee spontanee che spesse volte vengono suggerite dalla stessa 'materia che si sta lavorando' miste ovviamente a ciò che si vive e di cui si sente parlare, quindi è facile che un'operazione di questa avvenga! :D

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    4. Ti dirò, tutto è possibile. Oltretutto non necessariamente una cosa esclude l’altra. Apollineo e Dionisiaco possono benissimo essere due facce della stessa medaglia e, se da una parte il mio pensiero razionale mi fa cercare la chiave in un luogo reale, e quindi fisico, dall’altra parte l’idea di un De Chirico “alchemico” e visionario, ispirato da sogni rivelatori, e quindi metafisico, mi intriga parecchio.
      Anch’io ho in progetto di leggere “Ebdomero” per cercare (se possibile) le risposte alle mie tante domande, ma anche qualche conferma. Per esempio, ho letto da qualche parte che De Chirico si lasciava spesso ispirare dalle percezioni sensoriali indotte dall’emicrania nella creazione i suoi lavori. Ecco, non so se questo sia vero (non conosco così bene la sua biografia e questo non è il genere di informazioni che si trova con un rapido click in rete), ma se lo fosse sarebbe un altro spunto di riflessione, perché sono state effettuate diverse ricerche volte a dimostrare delle analogie tra le alterazioni neurologiche degli sciamani in stato di trance e quelle delle persone colpite da emicrania. Ci sono scuole di pensiero secondo le quali l’attivazione di certi neurotrasmettori può essere sempre considerato una sorta di stato alterato di coscienza, e insomma questo argomento mi ha sempre affascinato moltissimo. Avevo anche pensato di scriverci su qualcosa, ma mi sono frenato perché il progetto è davvero mastodontico e soprattutto l’argomento è talmente vasto che non sono sicuro di riuscire ad affrontarlo bene. Ma chissà che non cambi idea e non ci torni su, prima o poi…

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    5. Potresti assolutamente farlo, perché comunque si può imparare da tutto e come dici gli aspetti possono coesistere ed essere fusi l'un l'altro senza quindi necessariamente escludersi a vicenda!

      Io sono molto affascinata dalla realtà perché per me è già essa magia; i fenomeni naturali più semplici come quelli di cui scrive Marco nei suoi post di Ore d'orrore (mi riferisco alla vita come scambio termodinamico delle cellule!) sono la pura sublimazione di tutto l'immaginabile, esistono miracoli che non hanno bisogno di santi, per questo ho voluto esporti con sincerità il mio punto di vista sulla questione, perché io trovo già magico che una persona possa con la mente ed i sensi giungere a misteri visivi e percettivi.
      Anche la storia dell'emicrania - se vera - o quella sciamanica non fanno altro che fondarsi sulla stimolazione del sistema nervoso o sul controllo/osservazione razionale del proprio stato. Insomma io lo trovo fantastico già così per come è!

      Questo non mi rende però meno affascinata dalle figure degli dei antichi e da quel pensiero magico, come dagli sciamani o dagli antichi culti, la storia e la mitologia hanno un profumo che niente altro al mondo ha ed anche questa è una magia dell'uomo.
      Noi esseri così brutti ma così belli.

      Scusa mi sono lasciata trasportare dall'animo della discussione che comunque mi piace moltissimo!

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    6. E' sempre piacevole scambiare punti di vista con te. Possiamo continuare nel post successivo, se ti va. ^_^

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  5. E' sempre bello tornare a Carcosa e sopratutto è bello tornarci in compagnia di De Chirico!
    ;)

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    1. ...e tra pochi giorni saremo nuovamente qui a parlarne, in compagnia di Alex Girola e con la supervisione di Giorgio De Chirico.

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  6. Conosco pochissimo De Chirico e non sono sicuro di digerire la pittura, per cui ho fatto del mio meglio per seguirti. Conosco il Girola, ma non il racconto in questione. Chissà, questo inverno potrei finalmente dare una lettura ai racconti di Chambers! (Che, fra l'altro, sono di recente ri-ri-pubblicazione grazie a True Detective.)

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    1. Ah sì. ho visto (e già comprato) la nuovissima edizione in italiana del "Re in Giallo" edita da Vallardi. Finora le mie uniche fonti bibliografiche sugli Yellow Mythos erano solo in inglese ed ero curioso di leggere qualcosa di tradotto.
      A posteriori posso dirti che, per quanto il Vallardi sia ben curato e tradotto con grande maestria, l'originale in inglese ha un qualcosa di indefinibile che lo rende estremamente più efficace...

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  7. Conosco poco anche io di De Chirico e ignoravo totalmente il racconto che hai citato. Certo che dietro ad un dipinto può esserci davvero un mondo da conoscere... bel post, interessante.

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    1. Il racconto lo conoscono in pochi, visto che lo stesso autore nel suo blog non ne parla più da secoli. "Veduta di Carcosa" fa parte di un'antologia di brevi racconti (di autori vari) ispirata al mondo di Lovecraft. Si può reperire gratis in rete in formato elettronico. Nel post di domani troverai anche il link per il download, così se vorrai potrai levarti del tutto la curiosità...

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  8. Secondo me con questo post hai superato te stesso... Yellow Mithos e De Chirico? Che dire: grandissimo!

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    1. Il merito questa volta va tutto ad Alessandro Girola. Il sottoscritto si è solo limitato a prendere un concetto già elaborato e a cercare di reinterpretarlo a uso e consumo di questa serie di post...

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  9. Anche se non vi è certezza dei rapporti di De Chirico con alchimia, riti, massoneria, indubbiamente la sua produzione suggerisce quel passaggio che tu hai definito "via di accesso per Carcosa".
    Daverio sostiene che tutto quel che appare nei dipinti di De Chirico appartiene alla "sua" realtà: molta parte l'avrebbe avuta l'infanzia greca, altra la cultura tedesca (Monaco di Baviera avrebbe un ruolo centrale, come già detto da Ariano Geta)...
    E aspetto il prossimo post con il link al racconto ^^
    Il post è bellissimo: interessante, curioso e in me alimenta volontà di approfondire ^^

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    1. Ancora più curioso forse il fatto che la voglia di approfondire sta venendo anche a me, ogni volta che aggiungo un tassello a questo mosaico. Non ho ancora chiaro lo scenario né tanto meno dove tutto questo scrivere mi porterà. Mi manca ancora tanto materiale da leggere e a volte mi chiedo se sto seguendo una pista corretta. Spero solo di non dovermi ritrovare un giorno in fondo ad una strada senza uscita.

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  10. Sto' leggendo tutto di un fiato questi post. Mi sono imbattuta da poco nel Re in giallo e in Lovecraft quindi puoi immaginarti come mi faccia piacere leggere tutto questo. Poi sono ferrarese e quindi tutto quello che è esoterico sulla mia città mi interessa da morire!! Grazie!!

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    1. Grazie a te per essere passata di qua, Badicea. Sono contento di esser riuscito a farti appassionare da questa serie di post sul Re in Giallo! Ne arriveranno altri molto presto, vedrai....

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