giovedì 5 novembre 2015

Tikkun

Ecco, ci sono ricascato. Nel proporre sul blog una novità, intendo. Anche se ormai sono trascorsi due mesi abbondanti dall’anteprima di Locarno, si può dire che siano ancora in pochi ad avere visionato “Tikkun”, lungometraggio del regista israeliano Avishai Sivan.
Locarno mi ha regalato il mio primo film israeliano, e questo mi pone di fronte alla doppia difficoltà di affrontare un regista che non conosco e di addentrarmi in una cultura a me semisconosciuta come quella ebraica. Normalmente, un film come questo lo si può approcciare in due modi, identificandone i temi portanti (e gli archetipi) e cercando una sua collocazione all'interno della filmografia del regista. In questo caso, il primo metodo è insufficiente e il secondo non mi è possibile, anche perché ho letto che “Tikkun” sarebbe il secondo capitolo di un’ideale trilogia ambientata nel mondo dell’ortodossia ebraica inaugurata nel 2010 con “The Wanderer” (presentato proprio quell’anno alla Quinzaine des réalisateurs).
Inoltre questo è uno di quei film (sarà un caso) il cui reale significato sembra voler continuare a sfuggirmi. Ogni premessa a cui giungo a ogni snodo della trama mi porta a una conclusione, ma anche alla conclusione opposta. Certamente è un mio limite, ma immagino di non essere l’unico a vedere nelle tematiche affrontate una certa ambiguità di fondo che, di certo, giova al film. Descrivere quello di Avishai Sivan come un film religioso sarebbe fuorviante, ma nemmeno del tutto errato. E non intendo con questo che voglia trasmettere chissà quale morale religiosa, ma (banalmente) che sfrutti tanti e tali simboli religiosi (la cavalletta/locusta, il coccodrillo, il cavallo, la nebbia…) da provocare una sorta di corto circuito nello spettatore (o perlomeno per me è stato così). È chiaro che non poteva essere altrimenti, dato che “Tikkun” è ambientato nel mondo dell’ortodossia ebraica: il film narra la storia di Haim-Aaron ma anche quella di suo padre e, di conseguenza, quella di un’intera comunità le cui radici sono ben salde nella religione, una religione legata a una tradizione biblica millenaria.
Nel quartiere di Mea Shearim, un microcosmo soffocante e tetro, Haim-Aaron è studente di una scuola Yeshiva. Il giovane viene considerato molto dotato ma, sotto la superficie, le cose sono ben diverse da come appaiono.
Bastano infatti pochi minuti per rendersi conto che egli sta facendo progressi nell’intelletto ma non nella coscienza e nemmeno nel cuore, ove regna invece la più grande confusione. La sua, per farla breve, è una dedizione più di forma che di sostanza. Che cosa sono i suoi digiuni prolungati se non una maniera gratuita di mortificare quello che viene considerato il tempio di Dio? Lo si capisce bene in uno dei dialoghi chiave del film, quello in cui Haim-Aaron confessa al fratello minore di odiare il suo corpo. Se il corpo è il mezzo attraverso il quale servire Dio ed esprimergli amore, che significato ha sentirsi nemici del proprio corpo? 
La Legge impone di essere consapevoli del proprio ruolo, perché chi non è ciò che dovrebbe essere incorrerà nella maledizione divina. C’è dunque un evidente rapporto di causa ed effetto fra la ribellione di Haim-Aaron (esplosa nel modo più ovvio per un giovane: attraverso una banalissima eccitazione sessuale) e il suo collasso. Haim-Aaron passa poi dal coma alla morte. O no? 
Ognuno potrà farsi una sua opinione, ma che il ragazzo nel film muoia davvero e poi risorga o che non muoia affatto in fondo è solo un dettaglio. La morte è la metafora di qualcosa (la tentazione, il dubbio, la perdita della fede) che trasforma un ragazzo prodigio in nemico della comunità e pecora nera della famiglia. 

Nel mondo di Haim-Aaron non esistono mezze misure, e non è certo un caso che il film sia interamente girato in bianco e nero. Dunque Haim-Aaron resta (o ritorna) fra i vivi. Come il prosieguo del film sembrerebbe suggerire, questa seconda occasione potrebbe essere il frutto del peccato di suo padre, che sfida le leggi divine per strapparlo alla morte, oppure un segno della grazia divina – dalla cacciata dall’Eden in poi, lo spietato Dio della Bibbia ha sempre reiterato all’umanità la vita in cambio di un possibile pentimento che riaffermi la sua potenza e la sua misericordia. Il Tikkun, il “ritornante” di alcune correnti ortodosse che risorge dalla morte per portare a compimento qualcosa che ha lasciato in sospeso, è una sorta di deviazione dalla concezione ebraica “classica” per la quale l'immortalità è qualcosa che riguarda il popolo nella sua interezza, e non il singolo; ma il Tikkun Olam è anche, nella concezione cabalistica, la restaurazione allo stesso tempo simbolica e concreta del mondo realizzabile dall'uomo per mano divina, ovvero una speranza di redenzione, il che potrebbe effettivamente far propendere per un parallelismo con la storia d’Israele (soprattutto in virtù di quei minuti finali in cui Haim-Aaron vaga nella nebbia come il biblico popolo d’Israele vagò nel deserto).
Ma c’è una terza possibilità, ovvero che, semplicemente, Haim-Aaron (o il suo corpo) con l’ostinazione di chi ha vissuto troppo poco si rifiuti di morire. Come se credesse di poter conciliare la fede con la conoscenza del nuovo mondo, che include anche l’universo femminile; non rifiuta Dio ma lo cerca altrove, dimenticando che il libero arbitrio comporta la perdita dell’innocenza e che questa, una volta persa, lo è per sempre. E difatti la sua apparente calma “post-resurrezione” nasconde il disinteresse per le scritture (che verranno sistematicamente cancellate dal suo libro delle preghiere), l’apatia e la svogliatezza, mentre la sua anima sogna, anela la carne (le sue dita, che affonderanno in un pezzo di carne conservato in frigorifero per poi, pentite, gettarlo via, in seguito esploreranno, ossessive, il corpo morto della ragazza che involontariamente gli si offrirà). 

Haim-Aaron è un fantasma al confine fra due mondi, e come un fantasma, vaga indeciso su quale direzione prendere (come quando dice alla madre che non mangerà più carne, quando cerca senza riuscirvi un contatto con una prostituta o come quando infine cerca di opporsi all’espulsione da scuola) finché non è il fato a determinare il suo destino. Ma esiste il fato, o è solo un altro modo d’indicare la volontà divina? All’inizio del film vediamo il padre di Haim-Aaron macellare dei manzi secondo il rituale kosher e il senso di quelle immagini (che a mio avviso non è solo quello di sottolineare la dimensione terrena della vicenda mostrando la carne e il sangue) sarà chiaro solo alla fine, sarà infatti la sua decisione di liberarli a scatenare una serie di eventi a catena che giustificherà quella sensazione di ineluttabilità che alleggia su tutto il film. 
Per tutta la sua durata si avverte infatti incombere un destino che sembra tornare ciclicamente a riproporsi, proprio come in senso religioso la sentenza di morte che grava sull’umanità è definitiva e se si riesce a sfuggirle in una circostanza è probabile che finiamo per incapparvi in un’altra. Come i manzi, anche Haim-Aaron incontrerà infine il suo destino, e a sua volta il padre si troverà nuovamente davanti a una scelta molto dolorosa. È straziante questa tragica figura umana divisa fra dovere e amore paterno, il cui senso di colpa per aver (forse) compiuto un atto blasfemo si materializza in visioni di sapore biblico e in terribili incubi nei quali sogna di sacrificare Haim-Aaron come un patriarca d’altri tempi (ma la figura del fratellino, che s’intuisce destinato a prendere il posto di Haim-Aaron in seno alla famiglia e alla comunità, non è meno triste). Straziante è anche il destino di Haim-Aaron. O forse no. Non dimentichiamo che nella visione ebraica la morte è sempre preferibile alla schiavitù. Di qualunque tipo si tratti.

25 commenti:

  1. Sicuramente interessante. La cinematografia israeliana non è certo la più conosciuta per ovvie ragioni, però, per dire, io ho visto il film di animazione "Valzer con Bashir" che ha saputo raccontare la guerra civile libanese e il senso di smarrimento dei soldati (almeno di alcuni) con una maestria degna dei migliori film sulla guerra del Vietnam.
    Insomma, un film a testa io e te ed entrambi ci sono piaciuti... Beh, direi che il cinema israeliano qualche freccia al suo arco ce l'ha.

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    1. Tikkun, mi ero dimenticato di scriverlo, ha vinto a Locarno il "Premio speciale della giuria". Forse potrebbe essere la prima freccia di quell'arco che è riuscita a raggiungere il bersaglio...

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  2. Mi aggiungo alla congrega così siamo in tre a ballare l'hully gully ^^
    Ho visto anch'io da non molto un film israeliano, ma del 2007: Ha-sodot, che sembra significhi "Il segreto". Anche qui tematica religiosa, con una ragazza che sceglie di studiare in una scuola rabbinica. Non potrei giurarci ma forse è il primo film che vedo della cinematografia di quel paese. Bello e da vedere, anche se in parte rovinato da un finale davvero poco significativo.

    Ho letto quest'oggi Hell's Bells. Molto piaciuto *__*

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    1. Non mi aspetto certo di mettere insieme decine di persone per questo hully gully. ^_^
      Il cinema israeliano è un cinema estremamente di nicchia, probabilmente proprio per le tematiche, spesso poco o per niente accessibili a chi non fa parte di quella cultura.
      Lieto che ti sia piaciuto Hell's Bells :)

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  3. Mi interessa moltissimo il tuo post e cercherò di procurarmi il film. Partendo da vecchi studi, ho qualche conoscenza della cultura ebraica e tuttora cerco di ampliare il mio bagaglio. Proprio in questi giorni sto leggendo un romanzo (terribile e bellissimo insieme, prima o poi ne dirò...) di Israel Singer sulla comunità polacca nel periodo delle due guerre mondiali. La scuola rabbinica, la Yeshiva, è una costante e qui le aspettative di un padre saranno deluse per motivi assai differenti tra loro.
    Son curiosissima di vederlo *__*

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    1. Un po' invidio quella conoscenza della cultura ebraica. Guardando questo film avevo costantemente l'impressione di qualcosa di inesplicabile che mi sfuggiva dalle dita.
      Per scrivere questo post ho fatto alcune ricerche per capire meglio il concetto di "Tikkun", ma anche in quel caso tutto sembra essere velato da una nebbiolina difficile da superare....

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    2. Non pensare però che abbia chissà quale competenza sul tema! La mia conoscenza è molto limitata e ad alcuni ambiti precisi ;)
      Ho cercato anche io il tikkun ha-olam: pare ci sia da "studiare" parecchio :D

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    3. Il mio dubbio è che internet sia il luogo sbagliato per cercare delle risposte alle domande che mi pongo...

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    4. Dirò una cosa poco "popolare": sì... nella misura in cui occorre partire da testi seri. Questo non significa che pure in rete non si possano trovare ottimi spunti e siti/blog di approfondimento. Ma stiamo parlando di questioni delicate e di continuo studio/interpretazione. Ancora meglio sarebbe poterne parlare con chi ne sa.

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    5. Sono certo che quella possa essere la strada migliore...

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  4. Devo dire che non sono un grande esperto, pur essendo un collezionista di film (ahimè, oltre che di fumetti) ho visto solo Lebanon di Maoz, il giardino di Limoni di Riklis Terra promessa di Gitai. Devo dire che li ho affrontati sempre con una pregiudiziale negativa in riferimento al conflitto con i palestinesi, è più forte di me, lo ammetto e faccio mea culpa, ma resta un cinema interessante, prevale poi la curiosità artistica rispetto alle opinioni politiche.

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    1. Le opinioni politiche andrebbero, per quanto possibile, sempre messe da parte. Fortunatamente noi possiamo ancora permettercelo e usufruire di un prodotto di grande qualità dal punto di vista culturale..

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    2. Esattamente così Tom, anzi forse è proprio l'arte che penso possa salvare il mondo. Quello che è bello, buono, mette radici, da frutti.

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    3. ...forse è proprio per quello che c'è chi l'arte la distrugge.

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    4. Aaah bè, in quanto a questo... l'inquisizione metteva all'indice i filosofi greci, i nazisti bruciavano i libri, gli americani ai tempi del McCarthysmo rovinavano la carriera di artisti in odore di comunismo, Stalin spediva in siberia gli scrittori dissidenti, l'ISIS distrugge i monumenti archeologici... ne abbiamo per tutti i gusti da destra a sinistra.

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  5. L'ho visto non molto tempo fa e devo dire che ero piuttosto prevenuta. Infatti non
    sopporto il fanatismo religioso. Mi sono sempre chiesta come esseri intelligenti come gli ebrei possano passare la propria vita a studiare e ristudiare ogni pagina della torah ( non tutti naturalmente). Il film mi è parso molto difficile e pretenzioso in quanto irrisolvibili i conflitti tra problemi religiosi e morali se non ricorrendo appunto all'escamotage di una seconda vita.
    Cristiana

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    1. Io ho trovato questo film certamente difficile ma mi è parso che volesse trasmettere un messaggio fortemente critico nei confronti di certe ortodossie... anche se essendo totalmente estraneo a quell'ambiente non escludo che le mie sensazioni possano essere state falsate.

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  6. Malgrado nei ultimi tempi io sguazzi nel cinema di serie Z, sono stato un grande appassionato di cinema internazionale (non anglofono) e ritengo di esserlo ancora, sotto la scorza di Zinefilo. Un paio di anni fa ho visto e apprezzato il serial israeliano "Prisoners of War", che gli americani hanno rifatto (bene) con "Homeland", e devo dire che sono lontani i tempi in cui le cinematografie non americane sembravano "strane".
    Questo film che citi è sicuramente "d'autore" (cerca di veicolare un messaggio attraverso la costruzione di immagini particolari) e quindi mi intriga di più, chissà che non mi prenda la botta da matti e cerchi tutta la trilogia ;-)
    ah, tempo fa mi colpì molto "Kirot" (uscito in Italia come "Vendetta assassina"), in pratica la versione israeliana della "Nikita" di Besson, con protagonista la bella russa Olga Kurylenko. Capisci che in quel contesto politico esplosivo, la storia acquisisca valenze molto forti. Davvero un piccolo ottimo film.

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    1. Mi fa piacere scoprire che sotto la scorza di zinefilo si nasconda una persona attenta ad un cinema meno visibile. Hai citato dei titoli che a questo punto mi incuriosiscono non poco. Ottimo!

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    2. Il tuo post ha evocato la defunta distribuzione italiana: la Eagle Pictures ha portato in DVD italiano "Big Bad Wolves" (2013), durissimo e spietato noir israeliano.
      Scritto e diretto dal duo Aharon Keshales e Navot Papushado, è una storia terribile. Un maestro di scuola viene accusato (senza prove) di essere un pedofilo e un poliziotto gli sta addosso perché vuole che confessi: visto che la legge non funziona, arriva il padre della bambina stuprata e uccisa e insieme al poliziotto rapiscono il sospetto pedofilo. Il padre vuole torturarlo per sapere dove abbia nascosto la testa della figlia...
      E' una storia spietata e terribile, ma paradossalmente piena di umorismo nero assolutamente inaspettato: ci sono scene in cui si sghignazza di gusto, sebbene la storia non lo faccia proprio pensare. Te lo consiglio: è un prodotto di ottima fattura, se non sapessi che è mediorientale non l'avresti mai capito, e una storia nerissima come non se ne vedeva da anni.

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    3. Ora che mi ci fai pensare questo titolo lo avevo già sentito nominare, anche se non avevo capito fosse israeliano. Grazie per la segnalazione...

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  7. Molto interessante ciò che scrivi su questo film. È possibile recuperarlo in qualche modo oppure non è ancora in circolazione?

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    1. Tikkun è uno dei tanti film da festival che di solito svaniscono nel nulla pochi giorni dopo la fine della rassegna. Sinceramente non credo verrà mai distribuito in Italia. Probabilmente una delle poche speranze è che passi in streaming su Mubi...

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    2. È un vero peccato che le cose vadano in questo modo, soprattutto considerando quanto letame affolla le sale ogni settimana. Speriamo per mubi allora, il film sembra degno di attenzione, almeno a giudicare da come ne scrivi.
      Ciao e grazie della risposta.

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    3. Di nulla. Grazie a te per essere passato qui sul blog.

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