mercoledì 9 novembre 2016

L'anulare

Ci sono dei libri che per qualche motivo riescono a calamitare la mia attenzione in maniera totale, tanto che faccio fatica a posarli finché non li ho finiti. Prendiamo ad esempio “L’anulare” di Yoko Ogawa: la cosa straordinaria è come un racconto di un centinaio di pagine che si regge su poche e in parte opposte tematiche (la libertà e il possesso, ad esempio) riesca a descrivere il cuore del Giappone e dei giapponesi meglio di tanti saggi.
Nel caso della Ogawa (e di questo libro in particolare) non me la sento proprio di parlare di tematiche universali, se non in misura molto ridotta, e credo che il perché vi sarà evidente se leggerete fino alla fine.
La storia, narrata in prima persona, è quella di una giovanissima ragazza che si trasferisce da un piccolo villaggio di campagna vicino al mare nella grande città. Qui finisce per accettare un lavoro di segreteria offertole da Deshimaru, un tecnico che è anche il proprietario e amministratore di un laboratorio. Dopo un po’ i due intrecciano una relazione, o meglio cominciano ad andare a letto assieme, e il loro rapporto diviene sempre più esclusivo e opprimente. Un classico? Non proprio, perché con queste poche parole ho più o meno illustrato gli unici aspetti convenzionali, normali, del libro. Il resto è totalmente inaspettato. Non che avvenga qualcosa di realmente pericoloso, almeno all’apparenza, eppure il peso di tutto ciò che è straziante, penoso, doloroso o semplicemente imbarazzante, che aleggia come una cappa sul laboratorio, finisce per contagiare la psiche dell’ignaro lettore, e se non fosse che lo stile è assolutamente sobrio e pacato potrei quasi dire che si tratta di un thriller mancato; ma forse non aspirava nemmeno a esserlo, e se lo fosse stato non avrebbe comunque potuto essere più intrigante.
La protagonista lavorava in una fabbrica di bibite. Un attimo di distrazione e l’anulare sinistro le si era incastrato fra la cisterna di raccolta della gazzosa e il giunto del nastro trasportatore, e un pezzetto di carne le si era staccato dalla punta del dito. Proprio in seguito a questo incidente quasi banale lei, che non aveva parenti né amici, aveva deciso di cambiare vita. Non sopportava più la gazzosa, che nel ricordo rivedeva sempre macchiata del suo sangue, e così aveva lasciato il paese per recarsi in città. Quasi subito era incappata nell’annuncio di Deshimaru, che l’aveva assunta dopo un breve colloquio. Ora, quasi un anno dopo, sembra sul punto di essere fagocitata dal nuovo ambiente.
L’edificio, che si trova in un quartiere residenziale molto silenzioso, era un pensionato femminile, ma nel tempo si è quasi del tutto svuotato (vi abitano ancora due anziane ospiti). Il suo capo è quasi sempre chiuso nel suo laboratorio, e benché il lavoro sia semplice e mai noioso le riserva parecchi momenti di solitudine. Con i clienti, com’è ovvio, sono possibili solo rapporti superficiali. Si tratta di persone che vengono a consegnare un oggetto qualsiasi per farlo trasformare in un “esemplare”.

Un esemplare di cui, come afferma Deshimaru, bisogna prendersi cura con amore. C’è la ragazzina che chiede di conservare dei funghi spuntati sulle ceneri della casa, distrutta da un incendio, che è stata anche la tomba dei suoi genitori; c’è il vecchietto che porta le ossa di un padda, il suo animale domestico morto di vecchiaia; c’è persino una donna che vuole far creare un esemplare di musica da uno spartito donatole dall’ex fidanzato; e così via. Queste persone pagano perché gli esemplari vengano conservati nel laboratorio, ma non torneranno mai a vederli: consegnano quegli oggetti per potersi separare definitivamente da essi.

Perché è proprio questo il senso di un esemplare: rinchiuderlo equivale a separarsene, così si compie il suo destino ultimo. Nessuno porta qui gli oggetti per ricordarli con nostalgia. 

Ciò che avviene a questi oggetti è dunque una forma molto particolare di sepoltura. Nulla che non accada ogni giorno, quando sotterriamo ciò che abbiamo perso per sottrarlo alla nostra vista e andare avanti. Per continuare a vivere dobbiamo sotterrare i nostri morti, ma in fondo facciamo la stessa cosa anche con i vivi quando li cancelliamo dalle nostre vite. Dimentichiamo. Anche i musei, in fondo, servono allo stesso scopo. Sono celebrazioni di cose passate, istantanee di un tempo che fu, cose morte sulle cui ceneri è nato il presente. Cose che è giusto siano preservate e ricordate, ma che hanno diritto solo a pochi, fugaci pensieri. Cose che non hanno posto nella nostra vita di tutti i giorni. L’altra faccia della medaglia è che nulla ci appartiene più di ciò che abbiamo sepolto. D’altra parte, nello Scintoismo amore e morte non vanno forse a braccetto? Si può dire che l’appagamento completo dell’amore si ottenga solo nella morte. Quanti racconti di amori finiti tragicamente (non solo in Oriente) si rifanno a questo principio?

E Deshimaru, misterioso tanto quando il suo laboratorio (quasi un’estensione del suo proprietario), è affetto dalla stessa ossessione per il possesso che sembra affliggere i suoi clienti. È sempre lui a decidere quando invitare la sua giovane assistente nella sala da bagno, il luogo dei loro convegni amorosi, dove lei finisce stretta nella sua morsa soffocante; anche in quei frangenti è lui a mantenere il controllo della situazione, mentre lei non esce mai dai suoi soliti panni docili e remissivi, e prova da subito la sensazione “di essere stata trasformata in un esemplare incorporato da lui”. Con il tempo comincia perfino a desiderare di diventare uno dei suoi esemplari, in modo da poter entrare nel sancta sanctorum, quel laboratorio il cui accesso le è strettamente proibito, con la porta così spessa e pesante, rassicurante. Il simbolo del crescente possesso di Deshimaru è un paio di scarpe che lui le ha regalato, e che lei non toglie neanche quando fanno l’amore. Un vecchio lustrascarpe la mette in guardia da quelle scarpe così comode, di ottima fattura, che finiranno per impossessarsi dei suoi piedi, ma lei decide di non ascoltarlo. Non voglio essere libera. Vorrei che mi chiudesse in laboratorio con queste scarpe ai piedi.

Ogawa connota un’intera società con quest’arrendevolezza femminile che viene dal passato, incarnata dalla tradizionale figura della geisha. Una cosa che, è inutile negarlo, ha il suo fascino, soprattutto dal punto di vista maschile. Eppure…
Non ho ancora deciso se un desiderio di appartenenza così totalizzante possa nascere dall’amore o se, in un esempio pratico della sindrome di Stoccolma, non sia più vero il contrario. Ma poi, è amore questo? Non so dirlo. Nessuno dei due pronuncia mai questa parola, e io so solo che è tutto così ricolmo di violenza inespressa, di feticismo materiale e morale, così tipicamente giapponese da far venire voglia di urlare.

Nel 2005 il romanzo di Yoko Ogawa è diventato anche un film, nel quale il volto della nostra protagonista assume i lineamenti di Olga Kurylenko, l'attrice ucraina divenuta celebre per aver indossato i panni della Bond Girl in Quantum of Solace.
Diane Bertrand, sottovalutato talento del cinema d'oltralpe, è nata nel 1955, ha studiato etnologia, sociologia ed economia, per poi dedicarsi completamente al cinema grazie all'incontro con Jean-Pierre Jeunet. "L'Annulaire" (The Ring Finger) è il suo secondo lungometraggio. 

13 commenti:

  1. Oddio, mi hai messo in crisi. Io il film "L'annulaire" ero convinto di averlo visto, ma non riesco a farlo combaciare con la trama del libro. Dovrò fare ricerche.

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    1. Ammetto che il film non l'ho visto. Potrebbe essere un adattamento molto libero, non lo posso escludere, ma dalle immagini che si trovano in rete direi che è piuttosto coerente con quello che ho letto.

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    2. No, tutto bene. Mi ero fermato troppo presto nella lettura della trama proprio perché non mi combaciava e credendo di aver preso una cantonata ero passato a legegre la parte successiva del post. In realtà avevo solo dimenticato il dettaglio della fabbrica di gassosa e dell'incidente. Mentre leggere il seguito della trama mi ha riportato alla mente molti dettagli del film, che ho quindi visto come pensavo. In effetti è anche molto fedele alla trama del libro come la riporti nel post ed è davvero un ottimo film.

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  2. Sembra interessante per un nipponofilo come il qui presente. Lo segno in wish-list.

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  3. Io sono ancora più confusa di Ivano perché, appena a metà del tuo bel post, ho avuto un déjà-vu... che abbia visto il film, a questo punto, visto che il libro non l'ho mai letto? o.O
    Sembra quasi una trama alla "coreana" :O Pare sufficientemente inquietante! Lo avrò!!! XD

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    1. Inquietante lo è davvero, anche se il non espresso supera di gran lunga quello che viene raccontato. O forse principalmente per questo.

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  4. Ottima presentazione a un ottimo libro. Ne ho scritto una anch'io su LN-LibriNuovi qualche tempo fa (http://librinuovi.net/1455/nel-museo-dei-dolori-perduti) ma il segreto dello stile e dei temi di Yoko Ogawa rimangono un piacevole segreto...

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    1. ”Nel racconto di Ogawa il corpo, fotografato in sezioni, frammenti, attimi diviene miraggio e perdizione, materia insondabile e inesplicabile per il pensiero.” Sono corso a leggere il tuo post ora, e condivido in pieno tutte le tue riflessioni, anche se il legame mente/corpo mi è saltato più all’occhio in altre sue opere (vedi La casa della luce, uno dei racconti mi è girato e rigirato in mente per giorni!), mentre in questo caso specifico quello che mi ha più colpito è la spersonalizzazione della protagonista (mi sembra, ma vado a memoria, che non ne venga indicato neppure il nome), oltre che quel sentimento di morte che anche tu hai sottolineato. Ottimo anche il tuo post, Max. Tu sì che sai ‘fotografare’ i libri senza una parola di troppo. :))

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  5. Incredibilmente affascinante la trama, e per un feticista del possesso degli oggetti come me è irresistibile. Cercherò sia il romanzo che il film, grazie per le sempre eccezionali chicche ;-)

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    1. Grazie, Lucius ^_^ Le trame di Ogawa sono sempre in qualche modo originali, ma ti assicuro che questo aspetto diviene secondario quando cominci a leggere, la cosa più avvincente è il suo modo di narrare. Sono certo che non ne rimarrai deluso.

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  6. Il libro mi attende sul comodino da un po'. Non vedo l'ora di leggerlo.
    Mentre non sapevo proprio del film, che mi incuriosisce.

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    1. Leggerlo è una questione di mezz'ora, talmente è breve. Il tempo che hai lasciato su questo post ti avrebbe consentito di arrivare più o meno a metà... :)

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