venerdì 7 aprile 2017

Il fantasma di Mae Nak

Secondo la tradizione orale tailandese, una persona che muore di morte innaturale, specialmente se improvvisa, come nel caso di un omicidio o di un annegamento, si trasforma in un Phi Tai Hong (letteralmente “spirito di persona morta di morte violenta”). Tali spiriti sono particolarmente temuti in quanto pieni di risentimento e di desiderio di rivalsa nei confronti dei vivi. Lo spirito di una persona assassinata cercherà di ottenere giustizia, scatenando la propria vendetta non solo nei confronti dei propri assassini, ma anche nei confronti delle persone che casualmente possono venire a trovarsi nel loro raggio d’azione. È appunto per questo che i Phi Tai Hong sono tra i fantasmi più temuti: essi non riescono (o non possono, o non vogliono) a discriminare il bersaglio del loro risentimento e, pur di giungere al risultato voluto, non esitano a compiere una strage di innocenti. 
Una forma ancora più estrema di Phi Tai Hong è quella nota come Phi Tai Hong Tong Klom, che è il fantasma di una donna morta insieme al suo bambino nel grembo. La forza vendicativa di tale spirito si può considerare in pratica come la somma del rancore di due spiriti, quello della madre e quello del nascituro. Ecco forse individuato il motivo per il quale Mae Nak è una storia che, allo stesso tempo, ha affascinato e terrorizzato intere generazioni di tailandesi. Anche perché, e di questo ve ne potrà dare conferma chiunque se mai visiterete la Tailandia e avrete l’ardore di chiedere, Mae Nak non è una semplice figura del folclore locale: si ritiene infatti che quella di Mae Nak sia una storia dannatamente vera, avvenuta sul finire del 1860, durante il regno di Sua Maestà Re Mongkut (1851-1868), conosciuto anche come Rama IV del Siam, uno dei sovrani più amati dai tailandesi per via dei suoi grandi risultati nel sociale, per i progressi economici e scientifici avvenuti negli anni del suo dominio, e per il lungo periodo di relativa pace di cui aveva goduto il paese, anche per via dell’estrema tolleranza che Mongkut aveva dimostrato nei confronti delle numerose confessioni religiose che chiedevano attenzione.
A quel tempo una bella ragazza di nome Nak e il suo novello marito Tid Mak vivevano nei pressi di un villaggio sul fiume Phra Kanong, un territorio oggi completamente fagocitato dall’estensione dell’area metropolitana di Bangkok. Proprio quando Nak scoprì di essere in attesa di un figlio Mak, come gli altri uomini del villaggio, venne chiamato alle armi per sostenere il regno di Mongkut dalla minaccia dei colonizzatori francesi. Con le lacrime agli occhi, Mak promise alla moglie che sarebbe ritornato entro pochi mesi per assistere alla nascita del bambino, ma il destino volle altrimenti. Mentre Nak si dedicava da sola al lavoro nei campi, sempre più duro man mano che la gravidanza volgeva al termine, Mak combatteva e un giorno venne ferito in modo grave, tanto da fare temere per la sua vita. Privo di conoscenza, fu curato per mesi interi in un monastero. Quando si riprese e si rese conto che ormai suo figlio doveva essere già nato, si apprestò a lasciare il monastero, poiché era ormai abbastanza in forze per riprendere il cammino verso casa. Il monaco più anziano cercò di trattenerlo accennandogli a un oscuro presagio, in base al quale se fosse tornato a casa il suo futuro sarebbe stato incerto, e sarebbe stato meglio per lui prendere i voti e diventare un membro della loro comunità. Sebbene il monaco fosse un veggente e un saggio, Mak non gli prestò attenzione. Ma quell’uomo aveva ragione: ormai tutto era cambiato, anche se Mak ci avrebbe messo un po’ di tempo per scoprirlo. 

Nang Nak (1999)
Durante la sua assenza, sua moglie Nak aveva trascorso le sue serate sulla veranda di casa, scrutando l’orizzonte e interrogando sull’evolversi della guerra quei pochi pescatori o abitanti del villaggio, o di altri villaggi limitrofi, che percorrevano in barca quel tratto di canale su cui la loro modesta casa di legno si affacciava. Ogni sera, finché la luce non calava del tutto, Nak cercava di scorgere all’orizzonte il viso del suo amato sposo che tornava da lei. E fu proprio intenta in quel medesimo, affannoso, scrutare che Mak la ritrovò, una sera, poco prima del tramonto, con un fagottino fra le braccia. Mak toccò il cielo con il dito, convinto che la completa felicità fosse a portata di mano, ma si sbagliava: quelli che vedeva belli e in salute davanti a sé avevano ormai lasciato da tempo il mondo dei vivi, e la casa che gli appariva uguale a come l’aveva lasciata era invece ormai devastata da mesi di incuria. 

Nak infatti in sua assenza era morta di parto. Morta senza riuscire a dare alla luce il suo bambino, nonostante l’aiuto e le cure delle donne del villaggio. Addolorate e impaurite, queste avevano sigillato le bocche della madre e del nascituro con dei lunghi aghi acuminati, per far sì che i loro spiriti non potessero tornare per reclamare il sangue dei vivi – un rituale d’obbligo in casi come questo – e ne avevano poi seppellito i poveri corpi nella foresta. Per qualche motivo, il rituale non aveva funzionato, e lo spirito di Nak aveva preso a terrorizzare gli abitanti del villaggio, assassinando senza pietà coloro che, a dispetto di ogni evidenza, reputava responsabili della sua morte. Al ritorno di Mak nulla di tutto questo cambiò: Nak compariva all’improvviso, incendiava, uccideva, ma con Mak si comportava come la più amorevole delle mogli. Il giovane viveva prigioniero di un incantesimo; chiunque tentasse di svelargli la verità veniva eliminato, ma alla lunga un dubbio gli si insinuò nella mente ed egli prese a controllarla di nascosto, finché un giorno… 

Un giorno, mentre Mae Nak stava preparando la cena e il marito faceva il bagno nel fiume, un limone cadde di mano a Nak. La casa era una di quelle tipiche abitazioni tailandesi di quel periodo, costruita su palafitte, di due metri rialzata rispetto al suolo. Il limone cadde quindi due metri più in basso e Mae Nak, per riprenderlo, estese il suo braccio in modo innaturale. D’improvviso Mak vide la realtà per quella che era e, devastato dal dolore ma anche terrorizzato a morte, si rifugiò in un tempio lì vicino. 
Con Mak al di fuori della sua portata, poiché i templi buddisti sono luoghi interdetti agli spiriti, furono ancora una volta gli abitanti del villaggio a fare le spese di quanto accaduto. Nak li incolpava della fuga del marito, e davanti alla sua furia cieca e devastatrice essi capirono che, se non volevano essere sterminati tutti, dovevano chiedere aiuto. Ci vollero però ben due rituali prima che si potesse esorcizzare del tutto Nak, pacificando (anche se non completamente) il suo spirito. 
Il primo venne effettuato da un famoso esorcista a cui gli abitanti del villaggio si erano rivolti. Egli si recò sulla tomba di Nak e di suo figlio e ne imprigionò lo spirito in un’anfora, che venne poi gettata nel fiume. Sfortunatamente, dopo poco tempo questa fu ripescata da due ignari pescatori, che la aprirono e permisero quindi allo spirito di imperversare come prima. Allora un monaco buddista che viveva in quella stessa regione, mosso a compassione, decise di intervenire e fece riesumare i due corpi, forse nella speranza di attirare a sé lo spirito di Nak. 

Ghost of Mae Nak (2005)
Non sbagliava: Nak sembrò per un attimo trasfigurarsi, trasformandosi dallo spirito irato e vendicativo che era a uno spirito quieto e malinconico, in preda al rimpianto e al dolore per una vita stroncata nel fiore degli anni, e soprattutto per un marito e un figlio molto amati e ormai perduti. Il monaco e Nak parlarono a lungo, sottovoce, e benché nessuno seppe mai cosa egli le disse esattamente, c’è chi dice che a rasserenare Nak fu la prospettiva di una futura reincarnazione, una nuova vita che l’avrebbe vista ricongiungersi con Mak (e a me personalmente non dispiace affatto pensare che, invece che minacce ed esorcismi, a redimere Nak possa essere stato, semplicemente, l’amore). Il monaco comunque, per precauzione, rimosse l’osso dalla fronte di Nak, nel punto in cui si riteneva che gli spiriti avessero dimora, e se lo legò alla cintura, per poi lasciarlo in custodia alla sua morte a un discepolo che fosse degno di riceverlo, e così via, finché (si dice) questo non finì nelle mani della famiglia reale, che ancora oggi lo possiede. Una leggenda triste ma anche molto suggestiva, non è vero? 

La cosa interessante è che Mae Nak per i tailandesi ha quasi assurto al ruolo di divinità – una divinità a cui sono dedicati un luogo di culto e dei precisi rituali. A Mae Nak si chiede protezione quando ci si sposa, in prossimità di una gravidanza o di un qualsiasi altro evento importante della vita, e perfino i numeri vincenti della lotteria, e in cambio le si portano doni e offerte: incenso e fiori, nastri e fermagli per capelli, vestiti e tessuti, macchinine e altri giocattoli per suo figlio, e tutto quanto la fantasia può concepire. Questi doni, però, hanno anche un’altra ragion d’essere, perché sono una maniera rispettosa e allo stesso tempo astuta per blandire uno spirito che, evidentemente, si percepisce come non del tutto pacificato e, quindi, potenzialmente pericoloso.

10 commenti:

  1. Ci sono delle similitudini con gli spiriti giapponesi di donne uccise in modo violento e con le rusalka della tradizione slava.
    Immagino che il film abbia scene decisamente impressionanti.

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    1. Tutt'altro. Il film Nang Nak sottolinea prevalentemente l'aspetto romantico, lasciando pochissimo spazio a tutto il resto. Nemmeno Ghost of Mae Nak si può definire un horror in senso stretto, a parte alcuni sguardi di Nak che trasmettono più di un brivido.

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  2. Si, sarebbe davvero bello se Nak fosse stata convinta dall'amore a lasciar perdere la sua vendetta. Ma probabilmente questa storia è ben lungi dall'essere conclusa. Chi lo sa cosa succederà quando non ci saranno più persone disposte a continuare a mantenere il lascito del vecchio monaco....

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    1. In pratica è quello che tutti i tailandesi si chiedono ancora adesso. Ne parleremo ampiamente nel post di domani.

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  3. Piacere di conoscerti👋 ma è interessantissimo questo post, non conoscevo questa leggenda.😊
    gattaracinefila 😽

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    1. Piacere mio! ^_^
      Non so perché, ma ero comunque convinto che già da qualche parte le nostre strade si fossero incrociate...

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  4. Ah ecco, molti aspetti "horror" che non avevo percepito del film leggendo il precedente post mi sono chiari adesso: la donna-fantasma comunque semina morte e terrore nel villaggio.
    Complimenti per la tua ricostruzione sempre così puntuale ed esaustiva. :)

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    1. Ci sono infatti due aspetti di Mae Nak: il primo è il fantasma innamorato, che non riesce a staccarsi dalle passioni terrene e a tratti sembra quasi essere inconsapevole del suo stato, il secondo è lo spettro vendicativo che semina terrore in coloro che ritiene essere causa delle sue sofferenze.
      Quest'ultimo aspetto tuttavia non è quasi mai mostrato e noi spettatori ne veniamo a conoscenza solo per via dei racconti degli abitanti del villaggio, che fuggono terrorizzati al solo udire il suo nome.

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  5. Mai fare delle promesse che non potrai mantenere! Il fantasma di Mae Nak e del suo bambino mai nato, per quanto terrificante e apportatrice di morte sia, è sempre meno spaventosa di Sadako; e c'è comunque anche un finale consolante con l'idea della reincarnazione e del ricongiungimento nella prossima vita. A ogni modo è incredibile quanti punti di contatto ci siano tra fantasmi di ogni latitudine e longitudine.

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    1. Il finale è consolatorio, è vero. Quello che non sappiamo è se poi quel ricongiungimento c'è stato davvero. Ci auguriamo di sì, anche se ho cercato di far trasparire in chiusura di articolo, vi è la netta possibilità che Mae Nak non abbia mai trovato veramente la pace.

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