domenica 16 aprile 2017

Krasue: Demonic Beauty

Tamnan Krasue (Demonic Beauty, 2002)
Se avete avuto la pazienza di leggere il lungo excursus di pochi giorni fa attraverso i terrificanti Phi tailandesi, sarete magari curiosi di capire se (e come) il cinema del paese asiatico abbia dedicato loro dello spazio. È la stessa domanda che mi sono posto anch’io quando, ormai molto tempo addietro, mi sono avvicinato per la prima volta a questa cultura, così diversa dalle altre culture orientali a cui siamo abituati, spesso anche grazie al bombardamento mediatico degli ultimi decenni. Se da un lato infatti termini giapponesi come yūrei e yōkai sono entrati a bomba nelle nostre case sin dagli anni Sessanta con i grandi classici di registi come Kaneto Shindō (Onibaba, Kuroneko) e Tetsuro Yoshida (Yōkai Monsters), nulla era mai trapelato a proposito dei loro corrispettivi tailandesi, senza dubbio altrettanto degni di interesse. Il motivo di tutto questo silenzio è presumibilmente legato allo scarso livello di esportabilità del Phi tailandese, radicato molto più in profondità nelle tradizioni di un paese che a sua volta non ha mai cercato un contatto con il mondo esterno. 
Lo speciale “Bangkok Haunted seguirà quindi, da qui alla fine del suo percorso, questa logica, tentando di scavare là dove pochi hanno mai osato scavare. Se poi dai nostri scavi verrà fuori qualcosa di buono, è ancora troppo presto per dirlo. Nell’articolo di oggi ci concentreremo sulla creatura più strana e repellente fra quelle a cui ho accennato finora: Krasue. Questo fantasma femminile è formato praticamente da una testa e, sotto il collo, tutte le interiora penzolanti. Tuttavia il suo viso, a dispetto dell’espressione bramosa, è giovane e bello. Krasue esce di notte alla ricerca di cibo fluttuando in una luce verde. Da dove viene? Perché non trova pace? Come mai appare così anomalo, più strega che spettro, rispetto alle altre figure della tradizione tailandese?
Le ipotesi sulle sue origini sono diverse. Una delle più suggestive narra che esso sia lo spirito di un’aspirante strega che per errore avrebbe praticato un incantesimo su se stessa, separando la sua testa dal resto del corpo. Alcuni, tuttavia, sono convinti che a generare Krasue sia la legge del karma che colpisce colei che si macchia di un peccato odioso (omicidio o aborto), che pratichi la magia nera o che semplicemente appartenga a una famiglia in cui questa viene praticata.

Krasue Valentine (Ghost of Valentine, 2006)
La leggenda più famosa fa però risalire la sua origine all’Impero Khmer, ovvero a un’epoca imprecisata fra l’800 a.C. e il XV secolo d.C.: Krasue sarebbe il fantasma di una principessa condannata al rogo per essere stata sorpresa in intimità con il suo amante, un semplice soldato, mentre era promessa a un principe siamese. Una strega Khmer aveva promesso alla principessa di renderla invulnerabile al fuoco, ma l’incantesimo aveva cominciato a fare effetto troppo tardi, quando ormai quasi tutto il suo corpo era stato bruciato dalle fiamme. L’anima della principessa era però sopravvissuta all’interno delle sole parti rimaste intatte: la testa e parte degli organi interni. In seguito, quel che restava della fanciulla era stato maledetto e costretto a continuare a vivere come un fantasma. Una maledizione peggiore della morte, che spiegherebbe in parte perché sia così malvagia e letale. 
Da allora, Krasue si trasmette da un corpo all’altro, tramite la saliva, come una malattia: assumendo le sembianze di una donna giovane e bella, può nascondersi fra i vivi e condurre una vita apparentemente normale di giorno, e sfruttare la notte per andare a caccia. Non appena fa buio, infatti, la testa si stacca dal collo, trascinando con sé le viscere, e va alla ricerca di feci, sangue, corpi decomposti e sangue puerperale (il suo nutrimento preferito), che lecca con la sua lunga lingua. Krasue è in grado di percepire se nei paraggi c’è una donna in stato di gravidanza: entrata nella sua stanza, si apposterà sul soffitto proprio sopra al letto della partoriente, emettendo grida stridule fino al momento dell’aggressione. È importante quindi proteggere le donne in gravidanza, specialmente in prossimità del parto o subito dopo: per via delle sue abitudini alimentari e della sua tendenza a razzolare nello sporco, anche se l’attacco di Krasue non fosse fatale, causerebbe ferite e infezioni potenzialmente mortali alla donna e al bambino. Per lo stesso motivo, se ci si ferisce è importante fasciarsi molto bene, di modo che Krasue non possa sentire l’odore del sangue, che la attirerà irresistibilmente verso il nostro giaciglio mentre stiamo dormendo.

Krasue Krahailueat (Bloodthirsty Krasue, 1995)
Poiché Krasue teme che oggetti appuntiti possano intrappolarle o strapparle gli intestini, i parenti della partoriente hanno l’abitudine di piantare bambù o rami acuminati attorno alla casa, e arbusti e viticci attorno a tutte le finestre, e dopo il parto seppelliscono la placenta il più possibile lontano dalla casa e molto in profondità perché lei non sia in grado di trovarla. 
Krasue deve ricongiungere la testa con il corpo dormiente prima dell’alba, oppure morirà fra atroci tormenti. Per ucciderla occorre dunque distruggere, bruciare o nasconderne il corpo in modo che non possa più ritrovarlo, oppure - se vi riesce! - strapparle gli intestini con un coltello o un bel colpo di machete. 
L'appetito di Krasue è leggendario e delle persone troppo golose o che mangiano troppo in fretta si dice che “mangiano come Krasue”. Se i fluidi e i residui corporei sono il suo cibo, è sempre tramite un fluido che Krasue può migrare da una vittima a quella successiva, ma queste sono in genere inconsapevoli di essere possedute: le donne che vengono infettate non vengono scelte da Krasue perché sono malvagie, benché forse siano state incaute – per esempio nel maneggiare sostanze “impure”, come l’infermiera protagonista del film “Krasue Valentine” di cui parlerò fra breve. 

La leggenda appena menzionata, con alcune variazioni, costituisce l’ossatura di “Tamnan Krasue” (Demonic Beauty), il film del 2002 con cui il regista Bin Bunluerit ha voluto omaggiare questa figura del folclore. La prima parte del film è molto simile alla leggenda originale: nel film, però, poco prima della sua esecuzione la principessa Tarawatee viene informata che in un vicino villaggio esiste una fanciulla che le somiglia come una goccia d’acqua e manda il suo spirito alla sua ricerca, non sapendo che nel frattempo questa, il cui nome è Daow, è stata uccisa da un sortilegio. Lo spirito della principessa si trova quindi intrappolato nella defunta Daow e immediatamente questa risorge fra lo sconcerto generale, ma se di giorno continuerà a vivere una vita normale, di notte si trasformerà nella tremenda e potente Krasue, una minaccia mortale per il villaggio.

Krasue Sao (Ghosts of guts eater, 1973)
Se, come detto, la leggenda più famosa fa risalire la sua origine all’Impero Khmer, non è affatto certo che le cose stiano davvero così, perché anche se il retaggio khmer nella società tailandese è enorme, ci sono figure simili a Krasue anche nel folclore dei paesi vicini alla Tailandia; qualcuno, anzi, afferma che quel riferimento nella sua versione originale fosse assente e si sia diffuso solo dopo la realizzazione del film di Bunluerit. Poiché le leggende tailandesi sono sempre state tramandate oralmente non abbiamo modo di conoscere la verità, tuttavia il tema del doppio all’interno del film dà sicuramente da pensare: la principessa khmer viene prima “corrotta” da una strega khmer e poi a sua volta corrompe una fanciulla che è il suo doppio speculare, e così facendo sconvolge la vita del villaggio, che in tal senso diviene un’immagine del paradiso perduto, l’idilliaco regno del “buon selvaggio”. 
Anche se alla fine verrà sconfitta, Krasue non perirà, ma si limiterà a trovare un nuovo corpo da possedere. Questa, per alcuni, è una metafora di come la cultura khmer continui a mescolarsi intimamente con quella tailandese, perseguitandola come il fantasma di un passato ingombrante e impossibile da dimenticare. Una metafora forse nata dalla voglia di riaffermare e nobilitare l’unicità della cultura e dell’identità tailandese dopo la crisi economica e sociale di fine anni ‘90, ma forse neppure scevra da elementi di giudizio storico e culturale, perché l’etnia khmer viene tacciata di praticare le forme più estreme della magia nera e dell’occulto. 
Il film di Bunluerit, dunque, ha un’attrattiva che va oltre il suo valore cinematografico: se all’apparenza non è altro che una favola nera di puro orrore soprannaturale, testimone della presenza di forze che nel sentite popolare sono invincibili, oltre il mero intrattenimento può diventare un manifesto patriottico e un po’ discriminatorio.

La carriera di Bunluerit sembra essere legata a doppio filo alla figura di Krasue. Oltre ad aver diretto un altro film a lei dedicato dal titolo “Krasue krung khon” solo l’anno scorso, Bunluerit aveva già partecipato a un progetto su Krasue nei panni di attore: il film in questione è “Krasue Fat Pop” (1990), del quale fu girato un remake nel 2009 (“Krasue Fad Pob”). 
Fatto curioso è che “Krasue Fat Pop” riabilita e in parte nobilita la figura di Krasue (perché, fra Krasue e Pop, è quest’ultima a fare la parte dello spirito più nefasto); non si tratta nemmeno di un caso isolato, perché altri film hanno donato a questo spirito dall’aspetto inquietante e ripugnante un’aura ora romantica e ora esplicitamente sensuale. 

Kra Sue fat Pop (Krasue meets Phi Pop, 1990)
Al primo tipo, l’horror romantico, appartiene ad esempio il già citato “Krasue Valentine” (Ghost of Valentine, 2006) di Yuthlert Sippapak. Protagonista è Sao, un’infermiera che comincia a lavorare in un vecchio ospedale: con il suo bell’aspetto, le sue buone maniere e la sua professionalità, la giovane donna suscita in tutti quelli che la conoscono ammirazione e amore, ma nessuno sa che di notte si aggira per i bui corridoi dell’ospedale nei panni di Krasue. Mentre fra lei e un collega comincia una delicata storia d’amore, purtroppo stroncata troppo presto, sarà Sao per prima a rendersi conto che qualcosa di tremendo la affligge, qualcosa di soprannaturale con cui non è pronta a fare i conti. 
Al secondo tipo appartengono invece di diritto i due film erotici “Krasue rak Krasue sawat” (2014) e “Wan Krasue sao” (2013). Il segreto di “Krasue Valentine” e di altri film dello stesso genere sembra essere proprio questo: più che sulla mostruosa Krasue, sulle cui malsane abitudini spesso e volentieri si sorvola, la narrazione si concentra sulle pene delle sue sfortunate e infelici alter ego umane.
Krasue, non dimentichiamolo, è in parte umana, ed è la sua componente umana a donarle una possibilità di redenzione, se pure solo cinematografica. Un punto di vista, questo, che appare ben diverso da quello dei più vecchi film a lei dedicati, come “Krasue Sao” (Ghosts of guts eater) del 1973 o “Krasue krahai lveat” (“Filth eating spirit”) del 1985 (un film di qualità infima come pochi).
Oltre a quelli già citati ci sarebbero anche “Itthirit Nam Man Phrai” (1984), “Krasue krahailueat” (Bloodthirsty krasue, 1995), “Krasue the gluttonous fear” (2007), “Fullmoon devil” (2011), il cortometraggio “Krasue” del 2016 e numerosi altri in cui essa compare pur non essendo la protagonista, oltre ai lakorn (così sono chiamate le soap opera tailandesi) “Krasue” (1994), “Krasue cham sin” (2011) e “Krasue Mahanakhon”, ma c’è da dire che sono quasi tutti irreperibili in inglese o in una qualunque lingua europea. 

Krasue fad Pob (Krasue vs Phi Pop, 2009)
Se tirare le somme della vita cinematografica di Krasue è arduo, lo è ancora di più se si varcano i confini della Tailandia. Nei paesi contigui infatti esistono creature simili: la malese Penanggalan è in tutto e per tutto affine a Krasue, ma si nutre esclusivamente di sangue (quello puerperale e quello della madre e del neonato); ancora più spaventosa se possibile è la filippina Mananggal, ovvero “colei che separa se stessa”, che ha ali da pipistrello e la cui lunga proboscide può penetrare nel ventre della puerpera e afferrare il cuore del feto ed è conosciuta anche come Tik-Tik, nome onomatopeico che si riferisce al rumore che fa volando. Mananggal aborrisce l’aglio, ma in generale tutte queste creature hanno più di un punto in comune con i vampiri della tradizione occidentale.
Simili sono anche l’indonesiana Palasik, Kuyang o Leyak (il nome varia nei tre principali gruppi etnici del paese), la laotiana Kasu, la cambogiana Ap e la vietnamita Mai Lai. Ognuna di queste ha generato una propria cinematografia, di cui dar conto è onestamente al di fuori delle mie possibilità… almeno per il momento. 
Creature con la testa fluttuante, a dire il vero, esistono anche al di fuori del sudest asiatico e, anche se hanno poco o niente a che fare con Krasue a parte questo particolare, vale la pena citarle: sono la giapponese Nukekubi (uno yokai la cui origine sembra da attribuirsi all’era Muromachi, un periodo in cui in Giappone faceva commercio con i paesi del sudest asiatico e con la Cina), la Chonchon di Cile e Argentina e la Kanontsistóntie, o testa volante, degli irochesi. Davanti a creature e miti così bizzarri viene sempre da chiedersi da cosa abbiano potuto originarsi, ma trovare una risposta è molto difficile.
Nel caso di Krasue, alcuni credono che la luce verde fluttuante nella quale appare sia il prodotto di una reazione chimica, quella delle fiamme che si sprigionano dal metano emesso dalle sostanze organiche in decomposizione che si trovano nei campi o nelle paludi (e un particolare fungo luminoso, tipico della provincia di Khonkaen, viene chiamato “fungo krasue”). Anche se nessuno studioso accetta appieno questa tesi, essa suggerisce che la figura di Krasue possa effettivamente essere nata dall’osservazione di un qualche tipo di fenomeno naturale. Tuttavia, è anche molto probabile che questa figura sia nata per trovare una spiegazione razionale alle morti spesso misteriose che avvenivano nella Tailandia rurale. 
Per esempio, se una donna giovane e sana moriva di parto senza che fosse possibile trovare un motivo per quanto successo, ecco allora che la tragedia veniva attribuita a Krasue. Se nessuna delle persone vicina alla defunta poteva essere incolpata di quella morte, la fase di accettazione e rassegnazione era più semplice. È anche possibile che disturbi come il sonnambulismo abbiano fatto nascere la leggenda di persone che di notte si trasformano in “esseri” capaci di cose che alla luce del giorno non saprebbero nemmeno concepire. Non è nemmeno escluso che spiriti e fantasmi come Krasue, se pure nati spontaneamente dalla fantasia popolare, siano divenuti uno strumento di controllo sociale, tramite il quale si raccomandavano o sconsigliavano certi comportamenti o abitudini utilizzando lo spauracchio del mostro come deterrente. In quest’ottica, un film che racconti tutto questo è un documento e una testimonianza preziosa.

La leggenda di Krasue vista oltre confine. LtoR: Krasue Mom (My Mother is Arb, Cambogia, 1980); Leák (Mystics in Bali, Indonesia, 1981); Fei tou mo nu (The Witch with Flying Head, Taiwan, 1982)

6 commenti:

  1. La leggenda in se stessa è suggestiva, però mi chiedo l'effetto che possa fare una creatura del genere in una trasposizione cinematografica, specialmente se si tratta di una produzione low budget...

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    1. Se fai una piccola ricerca per immagini su Google puoi trovare facilmente scene da Krasue Valentine, che tra tutti i titoli è il più diffuso in rete. Ovviamente ciò che ne viene fuori, nella rappresentazione di Krasue, rasenta il ridicolo.

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  2. Nonostante le leggende sull'origine di Krasue siano affascinanti, questa figura è davvero repellente. Mi chiedo se in Europa o negli Stati Uniti esista qualcosa di simile, ma non mi risulta... a parte il classico spettro senza testa, che al confronto di Krasue sembra un autentico gentleman.

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    1. Le creature che più si avvicinano a Krasue sono le Kanontsistóntie, le teste volanti delle leggende irochesi. Come Krasue anch'esse hanno alcune caratteristiche proprie dei vampiri, ma a parte questo non vedo altre somiglianza: direi che si tratta più che altro di una coincidenza. L'aspetto bizzarro di Krasue è proprio quello tipico delle leggende dell'est e, se dovessimo andare a scavare in profondità, probabilmente ne scopriremmo un origine cinese (che, per quanto se ne dica, è la vera culla di tutte le culture asiatiche).

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  3. Quelle foto sono davvero inquietanti: solo gli asiatici potevano pensare ad una testa con budella volanti!!! :-P
    Seppellire la placenta lontana è un gesto per nere lontani gli animali selvaggi dal nuovo nato, quindi forse anche questi miti asiatici hanno radici in comportamenti sociali condivisi. (Comportamenti cioè nati per la migliore sopravvivenza e poi ammantati di mistica.)
    Ricordo un bel documentario dove raccontavano la scoperta di alcune sostanze allucinogene in punti dove proprio non le si sospettava (tipo nel grano, ma non ricordo bene). La morale era che forse molte delle credenze nate nelle civiltà rurali per il mondo siano nate da allucinazioni dovute a queste sostanze. Peccato non aver conservato quel documentario...
    Comunque ti rinnovo come sempre i complimenti: lavorone splendido!

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    1. È esattamente quella tesi! Meno male che l'hai scritta, così non rimane una mia memoria labile. Davvero è un fenomeno intrigantissimo che spiegherebbe tutto il bestiario europeo!

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