mercoledì 16 ottobre 2019

L'orsa col nodo sulla coda

Questa storia inizia una ventina di anni fa, ma con quell'inizio l'oggetto del post ha ben poco a che vedere. Erano gli anni in cui avevo ormai messo da parte le letture di fantascienza che avevano monopolizzato il mio interesse nella mia prima giovinezza per passare a qualcosa di più, se così si può dire, "mainstream". Sul finire degli anni Novanta (ma forse erano già i Duemila) mi ero intestardito a leggere i romanzi di Dean Koontz, che al tempo trovavo piacevoli (anche se maledettamente superflui, col senno di poi) e non mi facevo mai scappare un suo titolo quando e se me ne saltava uno all'occhio frugando nelle bancarelle dell'usato. Non era difficile visto che i Koontz, allora come ora, te li tirano dietro un tanto al chilo. Oggi quasi tutti quei romanzi di Koontz sono tornati a vivere nel loro ambiente naturale (la bancarella): tutti tranne, forse, "Ladri di tempo" (Time Thieves, 1972), scampato al suo destino solo perché uscito nell'inviolabile collana "Urania". Non mi è rimasto nulla di "Time Thieves" (e questo la dice lunga), ma ricordo perfettamente quel "sense of wonder" che mi lasciò quel breve racconto-extra posto in appendice di quel numero di Urania datato 1973.
"Musica nello spazio" era il titolo di quel racconto, curiosa traduzione dell'originale "The Bear With the Knot on His Tail", 1971) a firma di tal Stephen Tall. Ai tempi non mi ero assolutamente posto il problema di chi fosse quel tale: me lo pongo però oggi a causa di questo post, che non posso evidentemente lasciare privo di tale prezioso dettaglio. Stephen Tall è quindi lo pseudonimo di un semi-sconosciuto scrittore americano di fantascienza di nome Compton Newby Crook (1908-1981), il cui vertice espressivo è proprio rappresentato da quel racconto, finito in finale al Premio Hugo del lontano 1972. Da qualche parte negli Stati Uniti esiste un "award" fantascientifico intitolato a lui, il che mi pare essere un traguardo a cui molti scrittori, anche più noti, aspirerebbero volentieri.

"Musica nello spazio", l'ho scoperto molto dopo, è in realtà solo uno degli episodi incentrati sulle avventure della nave esplorativa Stardust, ideata da Stephen Tall sulla scia di una certa altra astronave, protagonista di una delle serie televisive più popolari di sempre (anche la Stardust, guarda caso, è "alla ricerca di nuove forme di vita e di civiltà" e, come essa, è destinata "ad arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima"). Il confronto è piuttosto impietoso, se ci fermiamo a considerare la forma (la Strardust è, per esempio, priva dei carismatici personaggi che hanno reso epica l'Enterprise), ma ciò che Stephen Tall lascia al suo lettore è una poetica interplanetaria, passatemi il termine, di rara bellezza. La musica a cui fa riferimento il titolo è in questo caso un grido di aiuto lanciato nel cosmo da una civiltà morente, proveniente da un sistema stellare lontano 85 anni luce dalla Terra, una civiltà il cui astro, Mizar, è ormai prossimo a trasformarsi in una supernova e a spazzare via tutto. Mizar, per inciso, esiste davvero, ed è una stella appartenente alla costellazione dell'Orsa Maggiore. Se vi state chiedendo quindi a cosa faccia riferimento "L'orsa col nodo sulla coda" del titolo inglese originale, vi invito ad osservare la posizione di Mizar nel grande carro celeste.
Estremamente poetico questo racconto, stavo dicendo. Poetico come può esserlo l'animo di una civiltà che non può opporsi in alcun modo alla propria annunciata estinzione. Cosa faremmo noi, mi e vi chiedo, se ci trovassimo a un passo dalla fine? Quali sarebbero le nostre priorità? Fuggire? E dove? Non c'è niente attorno a noi in grado di ospitare la vita. No, la priorità potrebbe (e dovrebbe) essere un'altra, e l'equipaggio della Stardust, partito alla volta di un pianeta morente (forse già morto da anni, vista la sua distanza), lo scoprirà in un commovente finale.

Alcune delle numerose pubblicazioni in cui è rintracciabile il racconto "The Bear With the Knot on His Tail".
A sinistra le uniche due uscite italiane, datate 1973 e 1977 rispettivamente.
Quattro anni dopo, nel 1977, "The Bear" riappare in Italia al'interno di un volume della collana "Cosmo" della Editrice Nord: nuova edizione, nuova traduzione e nuovo titolo, questa volta rigorosamente rispettoso dell'originale ("L'orsa col nodo sulla coda", come avrete intuito). La vera novità è che il volume ora raccoglie altre tre avventure della Stardust: "D'inverno gli uccelli volano verso sud" (Birds Fly South in Winter, 1971), "Gli dei sull'Olimpo" (The Gods on Olympus, 1972) e "Gli invasori" (The Invaders, 1973). Un totale di quattro racconti potrebbe sembrare poco, ma considerate che nessuno di essi (con l'eccezione di "Bear", apparso in un vecchio "Best of SF" portoghese) è mai stato tradotto altrove. Le storie sono ancora una volta piacevoli da leggere ma non arrivano a sfiorare lo struggente racconto portante. In "Birds" l'equipaggio giunge in vista di un'astronave alla deriva nello spazio, proveniente da un pianeta i cui abitanti non paiono affatto essere in condizione da aver sviluppato quel tipo di tecnologia; in "Gods" ci trasferiamo su un pianeta il cui segno distintivo è una maestosa montagna, del tutto simile a quella descritta dai miti greci; in "Invaders" la prospettiva viene invece completamente ribaltata, offrendoci una volta tanto il punto di vista di una specie aliena di aspetto canceroide che vede atterrare sul proprio pianeta un'astronave esplorativa terrestre.
Da queste serie (Star Trek e Spazio 1999, ndr) sono assenti i problemi che erano stati affrontati dalla fantascienza di vent'anni fa - gli spunti satirici dell'antiutopia - ed è assente anche lo spirito di fondo che ha animato per vari decenni la fantascienza americana, cioè il gusto per la correttezza delle ipotesi scientifiche. Resta solo la componente più elementare di tutta la fantascienza, cioè il piacere del narrare (e del leggere) avventure mirabolanti. [...] Astronave Stardust è [...] una storia priva di qualsiasi sotterfugio o tentativo di razionalizzazione scientifica: i nostri vanno sul pianeta A, trovano il mistero, lo risolvono, poi vanno sul pianeta B, incontrano il mistero, lo risolvono e così via. Le loro azioni non vogliono rappresentare niente d'altro, e questo, ci si lasci dire, non è poco. (Riccardo Valla, dalla prefazione di "Astronave Stardust", Editrice Nord, 1977)
Spulciando un po' in giro per il web, in particolare su quell'imprescindibile database fantascientifico che è ISFDB, scopro che le avventure della nave Stardust non sono tutte qui. Altre ne sono state scritte ma, ahimè, nessuna è mai sbarcata nel nostro paese. La raccolta statunitense "The Stardust Voyages", che in teoria dovrebbe essere l'equivalente di "Astronave Stardust", include per esempio il racconto "Mushroom World", omesso per motivi ignoti nell'edizione Cosmo. Un successivo racconto, "Merry Men of Methane", è invece rintracciabile solo in un vecchio numero del magazine "Fantasy & Science Fiction" (1980) e nel suo equivalente tedesco (1983).
Datata 1976 è invece l'unica edizione americana di "The Ramsgate Paradox", che possiamo ormai considerare il primo e purtroppo unico romanzo dedicato alla Stardust. In esso i nostri eroi atterrano su un pianeta alieno abitato da esseri sorprendentemente simili ai nostri antenati primitivi, ma c'è anche una strana e disabitata città che suggerisce l'esistenza di una precedente cultura, ormai dimenticata. Un romanzo che unisce i misteri dello spazio a quelli provenienti dal lontano passato della Terra e, perché no, a certi "Grandi Antichi" di lovecraftiana memoria.

Alcuni interessanti episodi della serie "Stardust" sono tuttora inediti in Italia
Avevo già messo in cantiere questo articolo quando, improvvisamente, mi sono reso conto di possedere, nel disordine della mia libreria, un altro racconto di Stephen Tall. E pure all'interno di un'antologia di cui mi ero occupato anni fa proprio qui sul blog. Questo, detto tra noi, la dice lunga su quanto grave sia il mio vizio di acquistare libri compulsivamente senza nemmeno avere il tempo materiale non solo di leggerli, ma nemmeno di catalogarli un attimino, magari anche solo per essere consapevole di ciò che ho accumulato negli anni. Il racconto in questione non c'entra nulla con la saga della Stardust, ma è interessante accennarne perché recupera parzialmente l'idea di "Bear", ma sposta l'ambientazione nel nostro sistema solare. Ne "L'uomo che salvò il Sole" (The man who saved the Earth, 1977) è il nostro astro a mostrarsi instabile, sinistro presagio di un'apocalisse imminente. L'esito, come suggerisce il titolo, è quanto di più filosofico possa esistere, in barba a qualsiasi logica scientifica... ma è proprio questo che rende Stephen Tall un autore insolito (nel senso buono) nel vasto scenario della new wave fantascientifica anni Settanta.

9 commenti:

  1. L'idea di cosa sarebbe più opportuno fare in caso di apocalisse annunciata è un'idea sfruttata ma sempre originale per la vastità di opzioni che implica e offre all'autore. Mi chiedo quale sia la poetica scelta del mondo cui manca poco alla fine e che viene poi raggiunto dalla Stardust...

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    1. Non posso raccontarti il finale perché finirei per spoilare chi magari lo sta leggendo o lo leggerà. Cosa sarebbe opportuno fare? Beh, forse solo sperare che tutti si risolva in un attimo come nel film "Melancholia". Le realtà temo sia ben diversa e la maggior parte dei film catastrofici punta proprio su questo aspetto...

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  2. Non amando la fantascienza voglio concentrarmi su una questione: io ADORO quando avvengono queste cose.
    Tu comprasti un volume e ti sei trovato un raccontino in appendice, che ti colpì molto e guardacaso ne è scaturito tutto questo.
    Sono bellissimi questi contatti fortuiti, sembra che alcune cose siano lì per noi.

    Non conosco ovviamente questa serie di racconti, forse addirittura meglio di Star Trek... perché mi sembrano (almeno dall'impressione) quasi più alla Galaxy Express.
    Strano che nessuno abbia pensato a una loro trasposizione... ;)

    Moz-

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    1. A queste piccoli "contatti fortuiti" si fa molto più caso quando si ha un blog da gestire, essendo sempre alle ricerca di nuovi spunti. IN tutti gli altri casi si sarebbe trattato di un episodio come mille altri, che si dissolve in un solo giorno concludendosi in niente.
      Non credo che qualcuno abbia mai pensato ad una trasposizione, visto che la serie Star Trek si era già presa tutto lo spazio disponibile (tra l'altro con personaggi molto meglio caratterizzati).

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  3. Vado un poco O.T. affrontando la "questione" Koontz, a mio modesto parere ha avuto il destino parzialmente segnato dal fatto che editori e curatori per gran parte della sua carriera lo abbiano per forza (e per motivi puramente di marketing) voluto presentare come "lettura alternativa" se non proprio come rivale a Stephen King. Questo è avvenuto forse più in Italia (oltre che negli States) che nella maggioranza degli altri paesi e non è accaduto solo per Dean Koontz ma anche per tantissimi altri scrittori: John Saul; Withley Strieber e Peter Straub. Di conseguenza molti lettori (forse non tu ma parecchi altri lettori italiani ed americani) quando compravano i loro libri non volevano leggere veramente Koontz; Saul o Straub ma in verità cercavano un altro King in attesa che il vero King scrivesse un altro inedito che loro potessero comprare.Immaginati poi la delusione di quegli stessi lettori quando poi si trovavano davanti a stili,tematiche ed autori molti diversi da Stephen King, magari anche meno bravi di King non spetta a me dirlo, ma sicuramente molto diversi da lui. Questo ha determinato anche il successivo destino editoriale (leggi "bancarelle") di parecchi romanzi del buon Koontz.
    Oltre al fatto che indubbiamente il "buon" Dean è un autore da "un tanto al chilo" ;)
    P.S
    Altro O.T. presto dovrebbe arrivare una certa recensione.

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    1. Sai che concordo?
      A parte Straub, che comunque ha uno stile di scrittura molto più accademico di King, Koontz l'ho sempre visto o meglio mi sono fatto condizionare dal fatto che è stato sempre considerato come uno scrittore da carrello da stazione di servizio.
      Sebbene all'epoca lessi un suo romanzo e devo dire la verità mi lasciò piuttosto freddino.
      Però ha sempre avuto qui in Italia una nomea da scrittore di serie B.

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    2. Avete entrambi ragione. Dean Koontz è uno dei tanti ad essere stato inizialmente promosso come il "nuovo Stephen King", fallendo il confronto non tanto per demerito, ma perché con King ha sempre aviuto poco da spartire. È proprio un altro genere di letteratura, più "suspense" che "horror" e, tra l’altro, Koontz scrive storie dai ritmi serratissimi, che non ti lasciano tregua; tutto il contrario di King che preferisce raccontare storie ad ampio respiro che spesso si trascinano all’infinito, al punto da teleportare il lettore negli ambienti e nelle situazioni da lui immaginate.
      La stessa sorte l'aveva subita anche Clive Barker agli inizi, ma quest'ultimo è stato poi bravo a staccarsi l'etichetta scrivendo il “capolavoro”, ovvero il romanzo che si distingue e che diventa un cult anche al cinema. Nella produzione di Koontz non c’è nulla che sia riuscito ad elevarsi sul resto. La prova è che se chiediamo in giro di nominare un titolo di Koontz, avremmo ben poche possibilità di avere risposte immediate come le avremmo chiedendo un titolo di King o di Barker…

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  4. Fantascienza poetica? E' assimilabile a certo Bradbury o tutt'altra cosa? Leggendo il post mi è venuto un po' da pensare a "Cronache marziane".

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    1. Mi sa che ho un po' esagerato usando il termine "poetico". Struggente, quello si, se penso ad un popolo orgogliosamente imponente di fronte al suo destino...

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